martedì 2 luglio 2024

“Amleto” (1948) - regia di Laurence Olivier

 


Cinema - Cult Movie 


“Amleto” (1948)


regia di Laurence Olivier

con Laurence Olivier, Jean Simmons, Eileen Herlie, Basil Sydney, Peter Cushing, Christopher Lee


«Credo che in realtà Amleto abbia ben poco a che fare con lo spirito cristiano. La sua sensibilità è certamente più protestante che cattolica, ma nell'intimo è un ermetico e un nichilista, non privo di atteggiamenti umanisti. Il suo ruolo somiglia a quello del Gesù del Vangelo di Marco che è scettico, e continua a chiedere chi sia, a cercare la propria identità, e i suoi discepoli sembrano non capirlo. Sono caratteristiche che ha anche Amleto, anche nei confronti di chi lo circonda.»

(Harold Bloom)


«Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella tua filosofia.»


«Non è mostruoso che un attore, nient'altro che per un simulacro di passione, un sogno, si immedesimi tanto nella parte che il suo aspetto cambia, il volto gli si sbianca, gli occhi umidi, la voce spezzata, e in lui tutto incarna sentimenti suggeriti? E questo per niente!»


«Lì, sui rami pendenti mentre s’arrampicava per appendere le sue coroncine, un ramoscello maligno si spezzò, e giù caddero i suoi verdi trofei e lei stessa nel piangente ruscello.

Le sue vesti si gonfiarono, e come una sirena per un poco la sorressero, mentre cantava brani di canzoni antiche, come una ignara del suo stesso rischio, o come una creatura nata e formata per quell'elemento. Ma non poté durare a lungo, finché le sue vesti, pesanti dal loro imbeversi, trassero la povera infelice dalle sue melodie alla morte fangosa.»


Non ci sono parole adatte a descrivere quella che è una pietra miliare nella storia del Cinema e il continuo susseguirsi di sequenze memorabili.

Olivier è il primo che sulla pellicola ha reso pienamente giustizia al teatro del Bardo, il suo "Amleto", nonostante quella altrettanto bella e conosciuta di Kenneth Branagh, è senz’altro la versione cinematografica più famosa della tragedia shakespeariana, la prima versione del cinema sonoro, e probabilmente il miglior film del regista britannico.


Il film fu girato interamente a Elsinore in Danimarca, ed è la seconda trasposizione con la regia di Olivier di una tragedia shakespeariana. La prima fu “Enrico V” nel 1944 e la terza sarà “Riccardo III” nel 1955.

Laurence Olivier fu il primo regista a vincere un Oscar come miglior attore in un film in cui era anche regista. Vincerà l’Oscar anche come miglior film, migliore scenografia e migliori costumi.


Senza timore di offendere Shakespeare, si potrebbe dire che questa opera teatrale ha anche le caratteristiche assai marcate di un horror gotico, particolarità che nelle sapienti mani di Olivier viene enfatizzata ancora di più: l’atmosfera cupa, nebbiosa, ossessiva, con l’apparizione dello spettro, viene resa alla perfezione. Dietro questa messa in scena c’è il tormento inestinguibile di Amleto, il suo conflitto interiore, verso la ricomposizione a tutti costi di un equilibrio che è stato turbato e alla ricerca della sua identità.


Olivier non cerca di portare il teatro nel cinema, fa esattamente l’operazione opposta, porta il cinema nel teatro. La scenografia dilatata del cinema è però del tutto teatrale, soggiace all’estetica, ai tempi e alla struttura del teatro. Ne consegue che la fedeltà al testo non può assolutamente essere disattesa, anche se questa non è una versione integrale.


Il ritmo, la velocità e la spontaneità degli attori hanno del miracoloso.

I luoghi dei convegni, delle feste, delle riunioni rimandano tutti a questa sensazione di provvisorietà, di fine imminente, i protagonisti sono tutti sotto l’influsso della morte, e ne sono ben consapevoli. La nera atmosfera glaciale, che avvolge il film dall’inizio alla fine, non lascia scampo.


L’Amleto dark di Laurence Olivier, ovviamente, eclissa tutti gli altri pur bravi attori. La sua energia è assolutamente dirompente, incontenibile.

La sequenza madre della disperazione di Ofelia, con la cinepresa che in soggettiva insegue Amleto che giunge su una piattaforma della torre, fino al monologo del “to be or not to be” ha fatto scuola, e inizia con la celebre inquadratura da dietro la testa.


È una versione della tragedia che insiste molto sul rapporto morboso, quasi incestuoso tra Amleto e la madre, con decisi accenti edipico freudiani. Un’interpretazione del personaggio decisamente psicoanalitica.

La rappresentazione del dolore dei personaggi principali è resa a livelli di vera e propria intollerabilità, così come è resa in maniera pienamente tragica la follia di Amleto e quella di Ofelia.


Sembra un mondo che emerge dall’inferno per poi tornarci alla fine, come inghiottito in un’orgia di morte.

Tuttavia, c’è anche un pizzico  di commedia, una tragica commedia nera. L’ironia del destino dei personaggi, così autodistruttivi, talmente goffi, quasi al limite del caricaturale, ridicoli, è più che percepibile, tutto si volge in farsa. Il regista Laurence Olivier sembra godere dell’incapacità dei personaggi di voler porre un limite a tutto questo. E la sensazione che chi guarda prova è che lo spettacolo crudele ricomincerà di nuovo e ancora di nuovo, in un circolo vizioso senza scampo. 


L’Ofelia, ninfa delle acque, in una delle sequenze clou del film, rende omaggio al famoso dipinto, dedicato proprio all’eroina dal pittore preraffaellita John Everett Millais del 1852.

L’uso frequente dei piani sequenza e della profondità di campo conferisce all’opera un tono drammatico di grande intensità visionaria e un ritmo assai vorticoso, ai quali è impossibile restare indifferenti.


Da notare, cosa non consueta, l’ottimo doppiaggio in italiano con Gino Cervi a prestare la sua voce a Olivier.

Da segnalare l’apparizione di un insolito Peter Cushing, la dolcezza disarmante di Jean Simmons nei panni di Ofelia e il fascino di una dolente Eileen Herlie in quelli di Gertrude.


Ultima curiosità: una piccola parte fu assegnata anche all'allora giovane Christopher Lee, che esordiva sugli schermi proprio in quell’anno. Quasi dieci anni dopo, lui e Peter Cushing torneranno insieme questa volta da protagonisti, prima nella “Maschera di Frankenstein”, poi in “Dracula il vampiro”, e ancora nel 1959 nella “Furia dei Baskerville”, tutti diretti da Terence Fisher, quasi che il loro destino fosse stato già scritto nell’Amleto di Olivier.

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