«American Tabloid» (1995) di James Ellroy
«L’America non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto. Non si può ascrivere la nostra caduta dalla grazia ad alcun singolo evento o insieme di circostanze. Non è possibile perdere ciò che non si ha fin dall’inizio.
La mercificazione della nostalgia ci propina un passato che non è mai esistito. L’agiografia santifica politici contaballe e reinventa le loro gesta opportunistiche come momenti di grande spessore morale. La nostra narrazione ininterrotta è confusa al di là di ogni verità o giudizio retrospettivo. Soltanto una verosimiglianza senza scrupoli è in grado di rimettere tutto in prospettiva.»
Ci sono stati e ci sono tuttora geni della letteratura e del cinema che vengono definiti reazionari. In realtà, la loro presunta appartenenza alla reazione, oltre a essere frutto dello schematismo ideologico, tipico della nostra epoca, deriva dalla loro assoluta libertà narrativa, priva di moralismi, imposizioni e limiti dettati dal politically correct, e, appunto, da "una verosimiglianza senza scrupoli". Si può certo riconoscere in loro un irriducibile individualismo, che è esistenziale e tutt'altro che ideologico. Possiamo iscrivere in questa categoria innanzitutto Dostoevskij e Celine, ma poi anche, nel cinema, Sam Peckinpah, Michael Cimino, Clint Eastwood, e nella letteratura contemporanea, Michel Houllebecq, e, appunto, James Ellroy.
Ellroy, definito da alcuni il Dostoevskij americano del XX secolo, viene di norma catalogato come scrittore noir o hard boiled, ma è solo una semplificazione. È la dimostrazione che un autore considerato di genere può saper raccontare la realtà molto meglio e con maggior stile letterario di migliaia di scrittori di letteratura "alta" attuali.
La vera narrativa è "sangue e merda", come disse qualcuno.
È da molti perbenisti progressisti liquidato come omofobo, razzista e reazionario. Ce l'ha insomma tutte.
In un'intervista si definisce comunque nazionalista di destra, ma non si sa mai se prenderlo davvero sul serio.
Questo volume è il primo atto della cosiddetta "trilogia americana", ed è anche un romanzo storico, visto che è ambientato negli USA tra fine anni cinquanta e primi anni sessanta, e che vede come protagonisti, personaggi inventati, e personaggi reali, come Joe, J.F. (Jack) e Robert Kennedy, Edgar J. Hoover, Howard Hughes, Jimmy Hoffa, Frank Sinatra e altri.
Ellroy, come in altre sue opere, fa a pezzi il sogno americano, demistifica la sua Storia e realizza un capolavoro letterario completamente privo di eroi e di buoni.
Qui riserva bei colpi, anche a CIA, FBI, castristi, Ku Klux Klan e a trafficanti mafiosi.
«Jack Kennedy è stato la punta di diamante mitologica di una fetta particolarmente succosa della nostra storia. Spandeva merda in modo molto abile e aveva un taglio di capelli di gran classe. Era Bill Clinton senza l’onnipresente scrutinio dei media e qualche rotolo di grasso.
Jack venne fatto fuori al momento ottimale per assicurarne la santità. Le menzogne continuano a vorticare attorno alla sua fiamma eterna. È giunto il momento di rimuovere la sua urna e illuminare le azioni di alcuni uomini che spalleggiarono la sua ascesa e facilitarono la sua caduta.»