venerdì 30 dicembre 2022

Nani e principi


Da "I Re Maledetti" - citazione

 «A quell’epoca i prìncipi avevano bisogno di un nano. Era quasi una fortuna per una coppia di povera gente mettere al mondo un aborto di questo tipo; erano sicuri di venderlo a qualche grande signore, se non addirittura al re.

I nani infatti, nessuno si sarebbe mai sognato di dubitarne, erano esseri intermedi fra l’uomo e l’animale domestico. Animali, perché si poteva mettere loro un collare, imbacuccarli, come cani ammaestrati, in abiti grotteschi e dargli pedate sulle natiche; uomini, perché parlavano e si prestavano volontariamente, mediante salario e mantenimento, a questo compito degradante. Dovevano quando glielo ordinavano, fare i buffoni, saltellare, piangere o frascheggiare come bambini, e questo anche quando i loro capelli erano divenuti bianchi. La loro piccola statura faceva risaltare la grandezza del padrone. Venivano trasmessi per testamento come una proprietà qualsiasi. Erano il simbolo del «suddito», dell’individuo per natura sottomesso agli altri, e appositamente creato, almeno in apparenza, per dimostrare che la specie umana era composta di razze diverse, alcune delle quali esercitavano sulle altre un potere assoluto.
Questa degradazione comportava anche dei vantaggi, in quanto il più piccolo, il più debole e il più deforme, veniva a trovarsi fra i meglio nutriti e i meglio vestiti. Inoltre, questo sventurato aveva il permesso, anzi addirittura l’obbligo, di dire ai padroni della razza superiore ciò che non sarebbe stato tollerato da nessun altro.
Ognuno si vedeva scaricato per interposta persona delle frasi di scherno e persino degli insulti che ogni uomo, anche il più devoto, indirizza mentalmente a chi lo comanda, grazie alle tradizionali familiarità spesso assai grossolane del nano.
Esistono nani di due tipi: quelli dal naso lungo, dal viso triste e dalla doppia gobba, e quelli dalla faccia grossa, dal naso corto e dal torso gigantesco montato su minuscole membra nodose. Il nano di Filippo di Valois, Giovanni il Matto, apparteneva a quest’ultimo tipo. La sua testa arrivava giusto all’altezza delle tavole. Portava sonagli in cima al berretto, e abiti di seta decorati di ogni sorta di strane bestiole.
Fu lui che un giorno si avvicinò a Filippo e, volteggiando e ridacchiando, gli disse:
— Sai, sire, come ti chiama il popolo? Ti chiama «il re trovato».
Il venerdì santo infatti, il 1° aprile dell’anno 1328, la signora Giovanna d’Evreux, vedova di Carlo IV, aveva partorito. Raramente nella storia il sesso di un bimbo fu osservato con maggior attenzione all’uscita dal ventre materno. E quando si vide che era nata una bambina, ognuno proclamò che si era espressa la volontà divina e ne provò grande sollievo.
I baroni non dovevano più tornare sulla scelta fatta alla Candelora. E immediatamente, in un’assemblea dove soltanto il rappresentante dell’Inghilterra fece udire, per principio, una voce discordante, confermarono a Filippo la concessione della Corona.»

Maurice Druon, da "I Re Maledetti vol.6 - Il Giglio e il Leone" (1960)

lunedì 26 dicembre 2022

"I re maledetti", Maurice Druon (1955 - 1960)



CONSIGLI DI LETTURA


"I re maledetti", Maurice Druon (1955 - 1960)


I. Le Roi de fer (Il re di ferro)


II. La Reine étranglée (La regina strangolata)


III. Les Poisons de la couronne (I veleni della corona)


IV. La Loi des mâles (La legge dei maschi)


V. La Louve de France (La lupa di Francia)


VI. Le Lis et le Lion (Il giglio e il leone)


VII. Quand un Roi perd la France (Quando un re perde la Francia)


«Il potere, senza il consenso di coloro sui quali viene esercitato, è un inganno che non può durare a lungo, in un equilibrio, straordinariamente precario fra la paura e la rivolta, che bruscamente si spezza quando un numero sufficiente di uomini prende contemporaneamente coscienza di avere in comune uno stesso stato d’animo.»


George R.R. Martin sostiene di essersi ispirato a questo ciclo di romanzi storici per il suo "Trono di Spade".


"I re maledetti" è una straordinaria saga in sei volumi, pubblicati tra il 1955 e 1960, più uno nel 1977, ma che si pone fuori dallo stile narrativo dei precedenti, e che non credo sia stato pubblicato in Italia, almeno io non sono riuscito a trovarlo. I primi sei volumi sono stati anche oggetto di due differenti adattamenti televisivi.


L'azione si svolge in Francia e in Inghilterra, prende il via dall'ultima parte del regno di Filippo IV il Bello, e, nello specifico, dal rogo di Jacques de Molay e dei suoi confratelli Templari, per dipanarsi fino ai primi decenni della Guerra dei Cent'anni, passando attraverso il regno di sei sovrani Capetingi, e quello dei Plantageneti Edoardo II ed Edoardo III, in un arco di tempo che va dal 1314 al 1361.


È un'opera sorprendente, sia per lo stile, che per il contenuto, tra rigore storico e leggenda (come la singolare vicenda di Giovanni I, detto il postumo) e con un bell'impianto di note.


Intrighi di potere, complotti, tresche amorose, di cui sono protagonisti personaggi storici realmente esistiti avvincono per il ritmo assai sostenuto. Il titolo del ciclo trae spunto dalla presunta maledizione lanciata dal rogo da Jacques de Molay alla stirpe Capetingia.

sabato 17 dicembre 2022

«American Tabloid» (1995) di James Ellroy


CONSIGLI DI LETTURA.

«American Tabloid» (1995) di James Ellroy

«L’America non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto. Non si può ascrivere la nostra caduta dalla grazia ad alcun singolo evento o insieme di circostanze. Non è possibile perdere ciò che non si ha fin dall’inizio.

La mercificazione della nostalgia ci propina un passato che non è mai esistito. L’agiografia santifica politici contaballe e reinventa le loro gesta opportunistiche come momenti di grande spessore morale. La nostra narrazione ininterrotta è confusa al di là di ogni verità o giudizio retrospettivo. Soltanto una verosimiglianza senza scrupoli è in grado di rimettere tutto in prospettiva.»

Ci sono stati e ci sono tuttora geni della letteratura e del cinema che vengono definiti reazionari. In realtà, la loro presunta appartenenza alla reazione, oltre a essere frutto dello schematismo ideologico, tipico della nostra epoca, deriva dalla loro assoluta libertà narrativa, priva di moralismi, imposizioni e limiti dettati dal politically correct, e, appunto, da "una verosimiglianza senza scrupoli". Si può certo riconoscere in loro un irriducibile individualismo, che è esistenziale e tutt'altro che ideologico. Possiamo iscrivere in questa categoria innanzitutto Dostoevskij e Celine, ma poi anche, nel cinema, Sam Peckinpah, Michael Cimino, Clint Eastwood, e nella letteratura contemporanea, Michel Houllebecq, e, appunto, James Ellroy.

Ellroy, definito da alcuni il Dostoevskij americano del XX secolo, viene di norma catalogato come scrittore noir o hard boiled, ma è solo una semplificazione. È la dimostrazione che un autore considerato di genere può saper raccontare la realtà molto meglio e con maggior stile letterario di migliaia di scrittori di letteratura "alta" attuali.

La vera narrativa è "sangue e merda", come disse qualcuno.

È da molti perbenisti progressisti liquidato come omofobo, razzista e reazionario. Ce l'ha insomma tutte.

In un'intervista si definisce comunque nazionalista di destra, ma non si sa mai se prenderlo davvero sul serio.

Questo volume è il primo atto della cosiddetta "trilogia americana", ed è anche un romanzo storico, visto che è ambientato negli USA tra fine anni cinquanta e primi anni sessanta, e che vede come protagonisti, personaggi inventati, e personaggi reali, come Joe, J.F. (Jack) e Robert Kennedy, Edgar J. Hoover, Howard Hughes, Jimmy Hoffa, Frank Sinatra e altri. 

Ellroy, come in altre sue opere, fa a pezzi il sogno americano, demistifica la sua Storia e realizza un capolavoro letterario completamente privo di eroi e di buoni.

Qui riserva bei colpi, anche a CIA, FBI, castristi, Ku Klux Klan e a trafficanti mafiosi.

«Jack Kennedy è stato la punta di diamante mitologica di una fetta particolarmente succosa della nostra storia. Spandeva merda in modo molto abile e aveva un taglio di capelli di gran classe. Era Bill Clinton senza l’onnipresente scrutinio dei media e qualche rotolo di grasso.

Jack venne fatto fuori al momento ottimale per assicurarne la santità. Le menzogne continuano a vorticare attorno alla sua fiamma eterna. È giunto il momento di rimuovere la sua urna e illuminare le azioni di alcuni uomini che spalleggiarono la sua ascesa e facilitarono la sua caduta.»

venerdì 16 dicembre 2022

"Io sono Helen Driscoll" (1958) di Richard Matheson

Consigli di lettura.

«Pensai a quanto terribile sarebbe potuto diventare il mondo se gli uomini si fossero resi conto, tutto a un tratto, del loro potenziale, e se tutti avessero saputo cosa pensavano gli altri. Sarebbe stata la fine della società civile. La società come la conosciamo non sarebbe potuta esistere, se ognuno fosse un libro aperto per chi gli sta vicino.»

Stephen King sostiene che è stato lo scrittore che lo ha influenzato più di ogni altro. E non è difficile crederlo. Anche se la differenza, con tutto il rispetto per King, è che Matheson aveva il dono geniale della sintesi, cosa che spesso manca a lui. L'autore di "Io sono Helen Driscoll", infatti, aveva una prosa essenziale, stringata e dal ritmo assai sostenuto. Ne sono prova: questo romanzo, gli altri due capolavori, "Io sono leggenda" e "Tre millimetri al giorno", ma anche i tanti racconti che ci ha lasciato, a cominciare dall'indimenticabile "Duel".

"Io sono Helen Driscoll", volendo molto schematizzare, si presenta come una novella horror, con implicazioni paranormali, e con una suspence da thriller.

Tuttavia, c'è anche molto altro. È in definitiva una metafora dell'esistenza.

Matheson manipola la materia con grande maestria, condendola di molteplici colpi di scena e calandosi con estrema naturalezza nei più profondi abissi dell'animo umano. 

Un romanzo di 64 anni fa (la mia stessa età), anche se Matheson lo ha ritoccato nel 1986, e che non è invecchiato di un anno.

sabato 3 dicembre 2022

Robert Sheckley, "Gli orrori di Omega" (1960)


CONSIGLI DI LETTURA 

«Le droghe servono a molti scopi» continuò il giudice. «Non voglio enumerare quelle che sono le qualità desiderabili per chi le usa. Dal punto di vista dello Stato vi dirò che una popolazione assuefatta alla droga è una popolazione leale. Le droghe sono una delle maggiori fonti di gettito fiscale. Le droghe simboleggiano il nostro modo di vita. Vi dirò infine che le minoranze non assuefatte hanno sempre dato prova di ostilità verso le istituzioni di Omega.»

John Carpenter, che conoscerà sicuramente Sheckley, deve aver pensato a questo romanzo nella stesura della sceneggiatura di "1997 fuga da New York".

Infatti, il maggior comun denominatore del film e del libro sta nell'idea di un mega carcere, dove confinare i fuorilegge. Nell'isola di Manhattan, in Fuga da New York, e in un intero pianeta, Omega, nel romanzo di Sheckley.

Due distopie in cui le analogie non riguardano solo questa trovata, ma si possono rintracciare anche in altri aspetti: a cominciare dall'eroe solitario, con particolare destrezza fisica, e nella trama avvincente, fatta di ritmo assai elevato e di continui colpi di scena.

Ma negli "Orrori di Omega" si va ben oltre, e la tematica distopica è ancora più marcata, con elementi anche abbastanza impressionanti, per le loro affinità con diversi aspetti del mondo attuale, compreso il globalismo.

“Otello” (1951) regia di Orson Welles

  Cinema Cult movie “Otello” (1951) regia di Orson Welles con: Orson Welles, Michael MacLiammoir, Robert Coote, Suzanne Cloutier. «Fosse pia...