Consigli di lettura
Classici
Inge Scholl, “La Rosa Bianca” (1952 - 2006)
«Per un popolo civile non vi è nulla di più vergognoso che lasciarsi «governare», senza opporre resistenza, da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti.»
«Ma possiamo veramente chiamarli eroi? Non hanno fatto nulla di sovraumano. Hanno difeso una cosa semplice, sono scesi in campo per una cosa semplice: per i diritti e la libertà dei singoli, per la loro libera evoluzione e per il loro diritto a una vita libera. Non si sono sacrificati per un’idea fuori del comune, non perseguivano grandi scopi. Ciò a cui aspiravano era che gente come te e me potesse vivere in un mondo umano. E la cosa grande è forse proprio questa, che hanno difeso, mettendo a repentaglio la vita, una cosa così semplice, che hanno avuto la forza di difendere, con suprema dedizione, i diritti più elementari dell'uomo.»
«”Libertà” era stato scritto a grandi lettere sui muri dell'università, “Abbasso Hitler” sulle strade. Erano stati lanciati di notte dai volantini incitanti alla resistenza, e la città ne era rimasta sconvolta come da un terremoto. Tutto era sì ancora in piedi come prima, la vita continuava come sempre; ma qualcosa era segretamente cambiato.»
«Se ognuno aspetta che sia l'altro a dare il via, i messi della Nemesi vendicatrice si avvicineranno irresistibilmente sempre più e anche l'ultima vittima sarà stata gettata assurdamente nelle fauci dell'insaziabile dèmone. Perciò ogni singolo, cosciente della responsabilità che gl’incombe come membro della civiltà cristiana e occidentale, deve difendersi più che può in quest'ora estrema, deve opporsi al flagello dell'umanità, al fascismo e ad ogni sistema simile di stato assoluto. Fate resistenza passiva, resistenza, ovunque vi troviate…»
“Non abbiamo grandi possibilità di scelta. Disponiamo di un mezzo solo: la resistenza passiva.
Il senso è il fine della resistenza passiva consistono nel far cadere il regime nazionalsocialista. In questa lotta non dobbiamo esitare davanti a nessuna strada, a nessuna, a nessuna azione; in qualunque campo si trovino.”
Pochi giorni fa, il 22 febbraio, ricorreva l'anniversario della morte dei fratelli Scholl, Hans e Sophie, e del loro amico Christoph Probst (tutti e tre ritratti da sinistra a destra nella foto sulla copertina di questo libro). In quel giorno del 1943 furono assassinati dai nazisti. Furono barbaramente giustiziati, successivamente, sempre quell’anno, anche altri loro amici della "Rosa Bianca”, tutti giovani dai 21 (Sophie) ai 25 anni, e il professore Kurt Huber di 49 anni. Tutti tedeschi.
“La Rosa Bianca” era un gruppo, sorto spontaneamente, di opposizione e resistenza al nazismo, composto da un piccolo nucleo di attivisti, ma tutti molto determinati e agguerriti. Operarono per lo più a Monaco.
Questo libro, preziosissimo documento storico, biografico e autobiografico, assai commovente, da conservare gelosamente e lasciare come testimonianza ai posteri, porta la firma della sorella degli Scholl, Inge, che lo scrisse dopo la guerra, per lo più negli anni cinquanta, come tributo e memoria ai fratelli e agli amici morti.
Inge, infatti, all'epoca non fu coinvolta nel loro progetto clandestino.
Ne porterà il peso per tutta la sua esistenza, e sentì come un dovere renderne testimonianza, tenendo vivo per sempre l’esempio di quei giovani e del professor Huber.
Erano giovani di estrazione cristiana: cattolica, luterana e ortodossa.
Sul nome Rosa Bianca circolano diverse ipotesi, ciò che si sa di quasi certo è che Hans amasse molto i fiori e che il bianco doveva probabilmente simboleggiare la purezza d'animo.
Non dovrebbe essere difficile immaginare quanto questo piccolo gruppo di ragazzi abbia avuto coraggio in un contesto di generale sottomissione, paura e consenso diffuso verso il regime nazista, durante il quale ben poche espressioni di resistenza vi furono. Ed è facile capire perché divennero un modello a cui far riferimento anche per le generazioni future.
Le memorie scritte da Inge aiutarono molto la trasmissione del loro esempio.
Il vincolo che univa questo gruppo era innanzitutto un vincolo affettivo, erano già amici da prima. Erano cresciuti insieme, oppure si erano incontrati come accade ad anime gemelle, non fu un immediato vincolo politico che li tenne insieme. Avevano condiviso scelte, passioni, percorsi scolastici. Alcuni di loro, come i fratelli Scholl, avevano fatto parte della Gioventù Hitleriana.
Infatti, Inge, raccontando della famiglia, scrive che inizialmente avevano vissuto tutti con grande entusiasmo e speranza l’avvento del nazionalsocialismo, erano giovani e volevano sentirsi parte di un gran disegno.
Avevano subito, equivocando, il fascino di promesse di riscatto e libertà, per loro c’era anche la novità del gruppo in cui potersi riconoscere e fare nuove amicizie. Sentire un’identità di anime e prospettive di un mondo nuovo che apriva grandi possibilità. Ma non ci volle molto a capire che era tutta un’illusione, e che era solo un modo per irreggimentare e omologare le giovani generazioni.
Il padre aveva da subito espresso grandi riserve: «Non credete a tutto quello che dicono; sono dei lupi e dei ciarlatani, e abusano terribilmente del popolo tedesco». Anche lui venne chiuso in prigione per qualche mese solo per aver espresso un’opinione su Hitler in una breve frase: «gran flagello mandato da Dio all’umanità».
Hans disse al fratello Werner che la detenzione del padre doveva essere considerata “un onore”, anche se era un duro fardello da sopportare.
Vivevano nell’organizzazione giovanile tra censure, obblighi e coercizioni, l'esatto contrario della libertà che vivevano in famiglia. Cominciarono a trapelare anche le notizie di abusi e di crimini. E allora i dubbi divennero indignazione.
Si rifugiarono nel calore familiare e nell’aria di libertà dei gruppi giovanili semi clandestini della Jugenschaft, che teoricamente era già proibita, e fu soppressa poi definitivamente dalla Gestapo operando anche una serie di arresti.
La famiglia, queste esperienze, gli studi e alcuni incontri decisivi con persone speciali e con le teorie del vescovo von Galen, furono assai formativi per Hans e Sophie e per quello che avverrà dopo: per la scelta chiara e netta di opporsi al dispotismo. Ma l'incontro in un certo senso determinante fu col professor Huber, insegnante di filosofia di Sophie, che già si considerava uno di loro.
Quando tornarono dal fronte russo, Hans e i suoi amici erano ancor più determinati ad opporsi.
Tuttavia, non erano i fratelli Scholl i soli a tenere in piedi questo gruppo. Erano in pochi ma ben organizzati. Come lo dimostrarono anche i volantinaggi fatti in diverse città. Molto lo si dovette anche ad Alexander Schmorell, a Christl Probst e a Willi Graf. Hans e Alex furono i più attivi, una sorta di leader.
Riscoprirono anche lo spirito più intimo del cristianesimo, non quello dei vertici ecclesiastici, ormai compromessi con il regime, ma quello dei semplici fedeli. Molti cristiani, infatti, si erano avvicinati spontaneamente alla resistenza. Quindi ci fu parallelamente un processo di avvicinamento anche alla fede, dal basso, non promosso dalla Chiesa. Un cristianesimo il loro che, come era naturale che fosse, divenne strumento di critica sociale.
Non è tanto quello che fecero che fu importante, in definitiva poche azioni, incentrate sulla diffusione dei volantini e di qualche scritta, ma perché lo fecero e come lo fecero in un arco di pochi mesi, facendo credere ai nazisti di essere molti e ben ramificati. I volantini non erano come li possiamo immaginare oggi, erano colmi di poetica, di richiami colti, erano veri e propri brevi trattati politico-filosofici, durissimi pamphlet che esortavano il popolo tedesco alla resistenza, lo scuotevano dall’apatia e lo mettevano di fronte alle sue gravi responsabilità. Fa tenerezza l’ingenuità e l’entusiasmo giovanile che li contraddistingue, ma stupisce anche l’acume di alcune analisi.
Tra le azioni strategiche proposte nei volantini, merita attenzione quella di resistenza passiva, intrecciata a quella di sabotaggio. Sono, in sostanza, semplicemente espresse in altro modo le tecniche di disobbedienza civile che possono essere messe in atto in svariati campi, da subito, con il rifiuto di partecipare a eventi, parate del partito, collette di beneficenza, resistenza nelle scuole e nelle università, nella ricerca scientifica, boicottaggio dei giornali e della raccolta dei materiali per uso bellico, aiuto agli oppressi, appoggio agli ebrei e ai lavoratori stranieri.
Avevano capito perfettamente che il modo migliore per mobilitare la gente in un regime come quello, era la disobbedienza civile o l’obiezione di coscienza. I piccoli gesti. Anche perché Hitler era ossessionato dal consenso.
E a ben vedere, sono tecniche che, mutati il contesto e le condizioni, dovrebbero valere sempre, in ogni situazione in cui ci troviamo a vivere di fronte a sistemi o a dispositivi totalitari.
Ci tenevano a precisare che loro non erano legati a nessuna forza politica o nazione esterna. Il loro messaggio nasceva in Germania e ai tedeschi era rivolto. Ma prima di qualsiasi redenzione, il popolo tedesco avrebbe dovuto riconoscere le proprie colpe e le proprie responsabilità nel sostegno non solo attivo al mostro, e doveva far seguire ciò da una lotta incondizionata, in tutte le sue forme.
Si dissero subito convinti di mettersi in gioco, perché anche se non avessero avuto successo, era loro dovere osare e testimoniare per amore della vita. Era duro dover augurare la sconfitta militare al proprio paese, ma era quella l'unica possibilità di liberarlo dal parassita.
Hans ad un certo punto si sarebbe potuto rifugiare in Svizzera, qualora il rischio di essere catturato potesse aumentare. Ma preferì restare per non mettere in pericolo amici e familiari.
Il 18 febbraio, subito dopo un volantinaggio, Hans e Sophie furono arrestati. Andarono con serenità e coraggio verso la condanna a morte e si addossarono tutte le colpe, pur di salvare gli altri. Furono giudicati e condannati insieme a Christl Probst. I tre dimostrarono una grande dignità. Poco tempo dopo furono condannati a morte anche il professor Kurt Huber, Willi Graf e Alexander Schmorell.
Inge descrive con grande partecipazione il processo, le condanne e la cupa atmosfera di quel periodo, quando si accumulavano ingiustizie ad altre ingiustizie, in attesa che la Bestia cadesse.
Il libro, dopo l’introduzione di Tanja Piesch, curatrice di una mostra su “La Rosa Bianca, e dopo la parte più lunga scritta da Inge Scholl, contiene anche il testo dei volantini distribuiti dal gruppo; alcune annotazioni sugli scopi della Rosa Bianca, sempre a firma di Inge; il racconto di vari testimoni; e alcuni commenti sulla vicenda, tra cui quello di Ferruccio Parri e quello di Thomas Mann.
Di particolare interesse la testimonianza di Falk Harnack, fratello di Arvid Harnack, giustiziato il 22 dicembre del 1942 insieme alla moglie, sui tentativi di contatto tra Schmorell, i fratelli Bonhoeffer e il gruppo Schulze-Boysen e Harnack, in cerca di creare un collegamento con tutti i gruppi di opposizione, compresi gli studenti di Monaco della “Rosa Bianca”, per la creazione di un fronte antifascista al di sopra dei singoli partiti. Fu processato insieme a Huber, Graf e Schmorell, che furono condannati a morte, lui no, doveva tornare dalla Gestapo, ma riuscì a fuggire in Grecia, dove continuò la lotta antifascista.