lunedì 30 ottobre 2023

Jorge Luis Borges, "Manuale di zoologia fantastica" (o "Il libro degli esseri immaginari"), 1957

 


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Jorge Luis Borges, "Manuale di zoologia fantastica" (o "Il libro degli esseri immaginari"), 1957

[In collaborazione con Margarita Guerrero]

(Traduzione di Franco Lucentini)


«Di otto zampe dicono provvisto (o carico) il cavallo del dio Odin, Sleipnir, che è di pelo grigio e va per la terra, per l'aria e per gli inferni; sei zampe attribuisce alle prime antilopi un mito siberiano. Con simile dotazione era difficile, o impossibile, raggiungerle; il cacciatore divino Tunk-poj fabbricò pattini speciali col legno di un albero sacro che scricchiolava incessantemente, e che i latrati d'un cane gli rivelarono. Anche i pattini scricchiolavano e correvano con la velocità d'una freccia; per trattenere, o moderare, la loro corsa, dovette aggiustarvi cunei fabbricati col legno di un altro albero magico. Per tutto il firmamento Tunk-poj inseguì l'antilope; finché questa, spossata, si lasciò cadere a terra. Tunk-poj allora le tagliò le zampe di dietro, dicendo:

— Gli uomini diventano ogni giorno più piccoli e deboli. Come potrebbero cacciare antilopi a sei zampe, se io stesso appena ci riesco?

Da quel giorno, le antilopi sono quadrupedi.»


«Dio creò la terra, ma la terra non aveva sostegno, e così sotto la terra creò un angelo. Ma l'angelo non aveva sostegno, e così sotto i piedi dell'angelo creò una montagna fatta di rubino. Ma la montagna non aveva sostegno, e così sotto la montagna creò un toro con quattromila occhi, nasi, bocche, lingue e piedi. Ma il toro non aveva sostegno, e così sotto il toro creò un pesce chiamato Bahamut, e sotto il pesce mise acqua, e sotto l'acqua mise oscurità, e la scienza umana non vede più oltre…

…La finzione della montagna sopra il toro e del toro sopra Bahamut e di Bahamut sopra un'altra cosa qualsiasi, sembra illustrare la prova cosmologica dell'esistenza di Dio, in cui si argomenta che ogni causa suppone una causa anteriore, e si afferma la necessità di porre una causa prima per non continuare all'infinito.»


«Il centauro è la creatura più armoniosa della zoologia fantastica. «Biforme» lo chiamano le Metamorfosi di Ovidio; ma nulla costa dimenticarne l'indole eterogenea, e pensare che nel mondo platonico delle forme ci sia un archetipo del centauro, come del cavallo o dell'uomo. La scoperta di questo archetipo richiese secoli; i monumenti primitivi e arcaici mostrano un uomo nudo, cui s'adatta scomodamente la groppa di un cavallo. Nel frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia, i centauri hanno già zampe equine; di dove dovrebbe nascere il collo dell'animale, s'erge il torso umano.»


Il grande genio delle Finzioni, così è intitolata non a caso anche una sua raccolta di racconti, oltre a finzioni sui libri inesistenti, sulla biografia di personaggi mai vissuti, sulla descrizione di luoghi immaginari, non poteva certo mancare all'appuntamento con la zoologia fantastica.

Questo fantastico, in tutti i sensi, breve manuale è una delle cose più famose prodotte dalla fertile e fervida mente di Borges.


Non è precisamente narrativa, non è precisamente saggistica, è qualcosa che si pone in quel territorio indefinito, dove si trovano oggetti letterari affascinanti, fuori da ogni definizione. È un bestiario come solo Borges poteva ideare.

Nel Prologo, infatti, si porta ad esempio lo sguardo di un bimbo che condotto in quel terribile luogo che è un giardino zoologico, viene preso da stupore di fronte ad animali che non ha mai visto e di cui ignora l'esistenza. Sono per lui esseri fantastici.


Il mistero sta nel perché, anche se terrorizzato, il bambino interiorizzi l'orrore, se a causa di un archetipo, di una capacità di identificarsi o per semplice fiducia nei genitori. Sta di fatto che il fascino ha la meglio sull'orrore.

Stessa cosa potrebbe dirsi di una zoologia del fantastico che tragga ispirazione dai mostri della mitologia e che da questi possa poi dedurre miriadi di incroci pazzeschi, in un'arte combinatoria quasi infinita.


In questo manuale, Borges e Margarita Guerrero, sempre nel Prologo, ci avvertono che ne hanno inserito un numero limitato. Hanno esplorato letterature classiche e orientali, procedendo a una selezione, ma sono consapevoli del fatto che il tema è infinito, così com'è infinita, aggiungo io, la "Biblioteca di Babele" la finzione più famosa dello scrittore argentino.

Le voci che compongono il manuale sono alla stregua di piccole fiabe per adulti.


A me, misero recensore dilettante, è però impossibile elencarle tutte in una breve riflessione, perché, nonostante sia un numero limitato, sono pur sempre tante, alcune delle quali sono di pochissime pagine, altre, addirittura di poche righe. Ma è la fascinazione dell'insieme che offre al lettore l'opportunità di trovarsi come al cospetto di un meraviglioso, ma non terribile, giardino zoologico, perché nessuno animale ne è recluso.


La cosa che è più evidente è che questi profili non sono solo un puro esercizio della fantasia, ma il risultato dell'espressione dotta di una cultura enciclopedica, come era quella di Borges. Un esercizio retorico di profonda erudizione, anche se può apparire inutile. Ma che inutile non è mai. È un delizioso speculare in cui si fa riferimento alla filosofia, alla mitologia, alla teogonia e alla cosmogonia, oltre che alla letteratura.


Così, per esempio, insieme alla chimera, alla sfinge, al drago, al golem, al minotauro, alle sirene e ad altri mostri noti, ci sono anche la statua sensibile di Condillac, l'animale ipotetico di Lotze, la Terra come animale sferico di cui le maree rappresentano il respiro, un animale sognato da Kafka, un altro sognato da C.S. Lewis (che sogna anche un rettile), quello sognato da Poe, i mostri di Plinio, quelli di Flaubert e ovviamente Dante.


E sempre di Kafka, troviamo anche i brevissimi racconti "Un incrocio" e "Le preoccupazioni del padre di famiglia" sull'odradek.

Persino poetiche sono le voci dedicate al basilisco e alle sue controversie, all'ippogrifo e al biblico behemoth di Giobbe.


A proposito del drago, Borges ci riporta una cosa che sfugge a molti e che molti ignorano:

«La gente credeva alla realtà dei draghi. Verso la metà del secolo XVI, li troviamo descritti nella Historia animalium di Conrad Gesner, opera di carattere scientifico.

Ma il tempo ha intaccato notevolmente il loro prestigio…


…il drago è forse il più noto, ma anche il meno fortunato degli animali fantastici. Ci sembra puerile, e suole contaminare di puerilità le storie in cui figura. Conviene non dimenticare, tuttavia, che si tratta qui d'un pregiudizio moderno, forse provocato dall'eccesso di draghi che c'è nei racconti di fate…

… Jung osserva che nel drago ci sono il serpente e l'uccello, l'elemento della terra e quello dell'aria.»


Tanto ritiene importante la figura del drago che a questi dedica due voci, la seconda è al drago cinese:

«La cosmogonia cinese insegna che le Diecimila Cose (il mondo) nascono dal gioco ritmico di due principi complementari ed eterni, che sono lo Yin e lo Yang. Corrispondono allo Yin la concentrazione, l'oscurità, la passività, i numeri pari e il freddo; allo Yang lo sviluppo, la luce, l'impeto, i numeri dispari e il caldo. Simboli dello Yin sono la donna, la terra, il colore arancione, le valli, il letto dei fiumi e la tigre; dello Yang l'uomo, il cielo, l'azzurro, le montagne, le colonne, il drago.»


Ma nessun animale fantastico ha goduto di tanti miti quanti sono quelli dedicati alla fenice, metafora dell'universo che muore nel fuoco e rinasce dalle sue ceneri, così come lo è della resurrezione della carne, secondo Sant'Ambrogio e Cirillo di Gerusalemme. 

Anche alla fenice e all'unicorno dedica due voci, e in questi due casi, la seconda è di nuovo la versione cinese.


Tuttavia, la voce più lunga è quella dedicata alla salamandra, che non è solo un piccolo rettile insettivoro, ma anche un animale fantastico che con il solo contatto del suo corpo spegne il fuoco o che vive in esso; infatti spesso appare in coppia con la fenice.


Quindi, questo libro non è puramente un insieme di finzioni e di miti rielaborati da Borges, ma anche un'antologia di finzioni inventate, o semplicemente redatte da altri scrittori.

L'unica regola seguita dallo scrittore argentino è un rigoroso ordine alfabetico con cui è organizzata la raccolta, come ogni dizionario che si rispetti, segno anche della minuziosa fissazione per la catalogazione da cui è caratterizzato il suo genio.

Peccato non poter disporre delle immagini per le voci corrispondenti. Tuttavia si trovano facilmente in rete, anche se le descrizioni riportate stimolano già molto l'immaginazione. 


domenica 29 ottobre 2023

"L'Anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari" [terza parte]

 


STORIA DELL’ANARCHIA terza parte


George Woodcock, "L'Anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari"  (1962)


[Recensione, terza parte]


Prima parte


Seconda parte


"L'impulso distruttivo" (Michail Bakunin), "L'esploratore" (Pëtr Kropotkin), "Il profeta" (Lev Tolstoj)


In questa terza puntata della mia recensione, la parte del "leone" la fa Kropotkin, nonostante lo spazio maggiore che Woodcock dedica a Bakunin perché quest'ultimo fu protagonista assai attivo della sua epoca, quasi iperattivo si potrebbe dire. Tuttavia, a mio parere, il lascito teorico del pensiero di Kropotkin ha contribuito più degli altri ad arricchire il movimento anarchico, oltre al fatto che a lui va tutta la mia simpatia per la sua pacifica e generosa indole.


Ci tengo comunque a sottolineare che, nel recensire quasi in forma antologica questo imperdibile saggio, e anche se mi dilungo molto, la selezione che compio è, quindi, dettata da scelte soggettive, tagliando anche fatti e questioni affatto secondarie, e che per questo il libro di Woodcock andrebbe letto per intero.


«Confidiamo nell’eterno spirito che distrugge e annichila solo perché è la fonte imperscrutabile ed eternamente creatrice di tutta la vita. L’impulso alla distruzione è anche un impulso creativo.»

Michail Bakunin 


«L’uomo non è un essere i cui unici scopi nella vita siano mangiare, bere, procurarsi un rifugio. Una volta soddisfatte le necessità materiali, si fanno sentire altre necessità che, generalmente parlando, si possono definire di natura artistica. Queste necessità sono diversissime; variano da un individuo all’altro, e quanto più civile sarà una società, quanto più sarà sviluppata l’individualità, tanto più diversi saranno i desideri.»

Pëtr Kropotkin 


«Lo stato moderno non è altro che una cospirazione per sfruttare, ma soprattutto per demoralizzare i suoi cittadini. Capisco le leggi morali e religiose, che non sono coercitive per nessuno, che sono fattori di progresso e promettono un futuro più armonioso; sento le leggi dell’arte, che portano sempre e soltanto felicità. Ma le leggi politiche mi sembrano menzogne così enormi, che non capisco come una di esse possa essere migliore o peggiore di un’altra… Di qui innanzi non servirò mai nessun governo, di nessun paese…

…Perché pensare che persone non investite di cariche pubbliche non sappiano organizzare per sé la propria vita, quando le persone investite dell’autorità la organizzano non per sé ma per altri?»

Lev Tolstoj 


Michail Bakunin fu il primo di una lunga serie di aristocratici che sposarono la causa anarchica. Coerente fino all'estremo limite, manifestò costantemente un'irriducibilità che a volte sfociava nel ridicolo e nel caricaturale, e in cialtronesche imprese assurde.


Possedeva un'energia fisica e intellettuale fuori da ogni norma e una grande cultura.

Le sue opere sono, dal punto di vista letterario, secondo Woodcock, inferiori a quelle di Godwin, Stirner e soprattutto di Proudhon, ma esprimono nella loro caoticità tutta la sua strabordante personalità. 


Ebbe però un ruolo determinante nel conflitto con Marx all'interno della Prima Internazionale, il merito di intuire il carattere autoritario del socialismo marxista e di prefigurare sostanzialmente nella pratica l'organizzazione di operai e contadini, cosa che rimase come patrimonio storico dell'intero movimento anarchico 

Senza questo fondamentale ruolo e queste intuizioni, sarebbe rimasto nella memoria storica solo come poco più che un personaggio pittoresco.


In un temperamento così estremo e impulsivo, la "conversione" al socialismo non poteva che avvenire in maniera passionale, quasi religiosa, apocalittica, coinvolgendo tutto sé stesso, in ogni sua più intima fibra.

Tutto questo non farà che influenzare profondamente il suo concetto di rivolta, dando «all’elemento distruttivo nel processo rivoluzionario un rilievo che esso conserverà attraverso il mutare dei suoi punti di vista, fino a divenire uno degli elementi chiave della sua versione dell’anarchia.»


«Con Bakunin la corrente principale dell’anarchia si stacca dall’individualismo, anche nella forma mitigata che ha in Proudhon; più tardi, nelle sessioni dell’Internazionale, i seguaci collettivisti di Bakunin si sarebbero battuti contro i seguaci mutualisti di Proudhon — gli altri eredi dell’anarchia — sulle questioni della proprietà e del possesso.»


Marx nel 1869 aveva vinto da poco lo scontro con i mutualisti proudhoniani, quando si dovette preparare ad affrontare quello coi bakunisti, in un primo tempo in merito all'abolizione del diritto di eredità, sostenuto dagli anarchici.

Da qui in poi, il conflitto si radicalizzò e andò avanti sia per motivi politici che per quelli relativi al potere personale. Erano molto simili d'altronde. 


«Entrambi avevano bevuto alla fonte inebriante dello hegelismo, e la loro ubriacatura durò tutta la vita. Entrambi avevano un carattere autoritario e amavano l’intrigo. Entrambi, nonostante i loro difetti, desideravano sinceramente la liberazione degli oppressi e dei poveri. Ma sotto altri rispetti erano diversissimi. Bakunin aveva un’espansiva generosità, una larghezza di vedute che mancavano a Marx, vanitoso, vendicativo, insopportabilmente pedante. Nella sua vita quotidiana Bakunin era un miscuglio di bohémien e di aristocratico, con una disinvoltura, una facilità nei rapporti umani che gli permettevano di superare tutte le barriere di classe, mentre Marx rimase sempre irrimediabilmente borghese, incapace di stabilire genuini rapporti personali con membri in carne ed ossa di quel proletariato che sperava di convertire. Senza dubbio Bakunin era migliore come uomo; la simpatia che sapeva suscitare, le sue capacità intuitive gli assicurarono spesso il vantaggio su Marx, nonostante la superiorità intellettuale e la superiore cultura di quest’ultimo.»


Ma le differenze sostanziali risiedevano soprattutto altrove: Marx sosteneva un socialismo autoritario e mirava alla conquista dello stato; Bakunin sosteneva un socialismo libertario e mirava alla distruzione dello stato.

«Marx voleva quella che chiamiamo oggi nazionalizzazione dei mezzi di produzione; Bakunin voleva che i mezzi di produzione fossero messi sotto il controllo dei lavoratori.»


Woodcock racconta anche l'inquietante vicenda del nichilista, demoniaco e dostoevskiano personaggio di Nečaev che inspiegabilmente esercitò tanta influenza su Bakunin.

Fu probabile autore del famigerato e delirante pamphlet del "Catechismo del rivoluzionario" copiando il titolo da un vecchio saggio di Bakunin.

I marxisti non persero occasione per questo di attaccare Bakunin, accusandolo di essere lui il vero autore. Ma nessuno riuscì a dimostrarlo.

La rottura era comunque solo questione di tempo, e fu sancita dal furto di documenti segreti, sottratti allo stesso Bakunin.


Con il fallimento della rivolta francese di Lione, Bakunin perse ogni speranza di liberare la Francia e l'Europa.

Gli ultimi due capitoli degni di nota della sua vita politica furono segnati dalla polemica con Mazzini e dalla sconfitta degli anarchici in seno all'Internazionale, grazie agli intrighi di Marx, che portarono però gradualmente alla fine dell'Internazionale stessa.

Bakunin morì in un ospedale di Berna nel 1876, dopo che sconfortato, aveva rinunciato a ogni lotta, circondato da pochissimi amici.


«Gli uomini che si raccolsero intorno alla sua tomba, Reclus e Guillaume, Schwitzguébel e Žukovskij, stavano già trasformando il movimento anarchico — la sua ultima creazione, l’unica riuscita — in una rete che entro un decennio si sarebbe stesa sul mondo, ispirando ai governanti un terrore che avrebbe forse fatto la delizia di Michail Bakunin, uomo generoso e spirito amante di romanzeschi intrighi, il più teatrale e forse il più grande rappresentante di una razza ormai scomparsa, quella dei rivoluzionari romantici.»



Mentre la vita di Bakunin era avviata verso il declino, emergeva una nuova stella nel firmamento anarchico: Pëtr Kropotkin, un altro aristocratico russo.

«...propagandista rivoluzionario con un notevole passato alle spalle, rinchiuso per qualche tempo nella fortezza di S. Pietro e Paolo ed eroe successivamente di una fuga sensazionale. Nel ’77 Bakunin era morto, e Kropotkin non tardò a prendere il suo posto come massimo rappresentante del movimento anarchico.»


«È giusto, in un certo senso, che Bakunin e Kropotkin non si incontrassero mai di persona; nonostante l’evidente affinità della loro formazione e delle loro convinzioni essi erano infatti molto diversi per carattere, e diversi furono i risultati che raggiunsero. Kropotkin credette sempre nell’inevitabilità e desiderabilità della rivoluzione, ma non fu mai un rivoluzionario attivo nel senso in cui lo fu Bakunin. Non combatté mai sulle barricate, preferì la discussione aperta e pubblica alla romantica segretezza della cospirazione e, pur ammettendo la necessità della violenza, vi era contrario per temperamento.»


Kropotkin era un uomo straordinariamente mite, in diversi lo descrissero come se fosse un santo. Uomo dalla grande preparazione culturale, fu anche esploratore e pregevole geografo, diede alla causa anarchica un notevole contributo teorico, e al contrario di Bakunin, teso sempre verso una visione ottimista. Come pensatore, fu rispettato e onorato in tutto l'Occidente e, come Bakunin, visse la maggior parte della sua vita in esilio; «…fu soprattutto merito suo se si cominciò a vedere nell’anarchia non un credo di violenza di classe e di distruzione indiscriminata, ma una teoria seria e idealistica volta alla trasformazione della società.»


Le differenze teoriche tra lui e Bakunin non furono tanto nella volontà di distruggere un mondo ingiusto, presente in entrambi, ma nella rivoluzione come processo naturale e non come distruttiva apocalisse.

In questo senso le loro idee furono complementari. Il mondo stava cambiando e le teorizzazioni di Kropotkin meglio si adattavano a far uscire il movimento anarchico dalla semiclandestinità e portarlo verso la luce.

Ma in definitiva il pessimismo di Bakunin, per certi versi, si rivelò più realista del sogno di Kropotkin.


Si recò in Svizzera, meta dei liberali russi. Scelse Zurigo, dove incontrò molti seguaci di Bakunin, seguendo anche il convincimento che i lavoratori occidentali fossero in possesso di una coscienza che ancora mancava ai contadini russi.

Da Zurigo si spostò a Ginevra e poi nel Giura. Era il decennio tra 1870 e il 1880.


«... i rapporti egualitari che trovai sui monti del Giura, l’indipendenza di pensiero e d’espressione che vedevo svilupparsi nei lavoratori, la loro illimitata devozione alla causa esercitavano una presa ancora più forte sui miei sentimenti; e quando scesi dai monti, dopo un soggiorno d’una settimana fra gli orologiai, le mie idee sul socialismo erano ormai chiare. Ero un anarchico.»


«Gradualmente cominciai a rendermi conto che l’anarchia rappresenta più d’un semplice modo d’azione e d’una semplice concezione di una società libera; che essa è parte di una filosofia morale e sociale che dev’essere elaborata in modo completamente diverso dai metodi metafisici o dialettici usati nelle scienze riguardanti l’uomo. Capii che dev’essere trattata nello stesso modo delle scienze naturali… sulla solida base dell’induzione applicata alle istituzioni umane.»


Secondo Kropotkin, la rivoluzione deve impedire qualsiasi formazione di "governo rivoluzionario" e favorire, invece, un sostanziale immediato progresso verso l'uguaglianza sociale, come garanzia contro il regresso prodotto dalle rivoluzioni del passato.

Il concetto di Comune è centrale nella teoria di Kropotkin, che non è da intendere sul modello delle Comuni parigine del passato, organi governativi locali, ma in un insieme spontaneo di individui con gli stessi interessi. Le Comuni le immagina collegate tra loro in una rete sociale di cooperazione destinata a sostituire lo stato.


Pone l'accento sul bisogno e non sulla quantità di lavoro svolto. Su queste basi deve avvenire la redistribuzione. Questo è l'aspetto che lo differenzia sia da Proudhon che da Bakunin. È, insomma, un comunista anarchico. Il sistema salariale è per lui una forma di coercizione, in qualsiasi modo si presenti. Su questo fu influenzato da Tommaso Moro, da Winstanley, da Campanella e da Fourier.

Le idee di Kropotkin sul comunismo anarchico si diffusero un po' dappertutto e nel tempo assunsero anche questa definizione. 


Nella "Conquista del pane", «Kropotkin non vi propone un’Utopia, non vi presenta cioè l’immagine di un mondo ideale illustrato fin nei minimi particolari: come tutti gli anarchici, egli pensa che la società, specialmente dopo la rivoluzione sociale, non cesserà mai di crescere e di cambiare, e che progetti troppo esaurienti per il suo futuro sarebbero solo un tentativo assurdo e dannoso da parte di uomini viventi in un disgraziato presente di stabilire come altri dovranno vivere in un futuro più felice.»


Ineguaglianza e proprietà privata devono essere abolite, e non vanno sostituite con la proprietà statale, ma con un sistema di cooperazione volontaria. 

La sua utopia era basata sull'attività creativa del lavoro volontario, insieme manuale e intellettuale da svolgere in poche ore al giorno, organizzato da associazioni cooperative, cosa che basterebbe per mantenere tutti e nel contempo assicurare un adeguato tempo libero per coltivare gli interessi di ogni individuo.


«Tanto basta, secondo Kropotkin, a respingere le obiezioni di quanti sostengono che in un mondo comunista anarchico, dove ciascuno potrà prendere liberamente dai depositi comuni ciò di cui avrà bisogno, verrà meno ogni incentivo al lavoro; il migliore incentivo non è la minaccia del bisogno ma la consapevolezza di fare qualcosa di utile.»


Tuttavia, Kropotkin non fa i conti col fatto che certi meccanismi non possono attuarsi immediatamente, che liberati gli uomini dalle catene economiche, dopo che hanno passato secoli abituati a convivere con lo stesso sistema, possano improvvisamente comportarsi responsabilmente. 


È però lui stesso a non escludere che individui asociali potrebbero continuare a esistere, l'unica soluzione sarebbe la pressione dell'opinione pubblica, oppure la generosità delle persone a loro affettivamente vicine.

«Una società libera in cui coloro che si rifiutano di vivere come gli altri, coloro che non stanno “nelle file” sono oggetto di condanna morale da parte dei vicini può sembrare una contraddizione. Tuttavia la stessa idea era stata espressa da Godwin un secolo prima di Kropotkin, e persino si accorda con quella inquietante vena di puritanesimo che corre per tutta la tradizione anarchica; come tutti gli estremisti teorici, gli anarchici soccombono spesso alla tentazione di condannare chi è diverso da loro.»


Visse in Inghilterra per trent'anni, dove raccolse molta stima e molto credito, soprattutto grazie alla sua autobiografia "Memorie di un rivoluzionario" e al suo saggio "Il mutuo appoggio". Il suo approccio teorico mutò, teso sempre più verso i cambiamenti graduali all'interno della società, raccomandando sempre meno l'uso della violenza. Fu influenzato in questo dall'atmosfera di tolleranza che si respirava all'interno del movimento socialista inglese e tra le varie correnti, un sentimento libertario così forte, che nel resto d'Europa non era possibile trovare.


Tuttavia, questo non determinò un compromesso nelle idee di fondo di Kropotkin, credeva ancora, come lo crederà sempre nel comunismo anarchico e che era necessario combattere contro il capitalismo. Quello che cambiò fu il metodo con cui lui riteneva fosse auspicabile per raggiungere tale fine. Ciò non fu dovuto solo all'ambiente inglese, ma soprattutto alla sua indole pacifica: gentile e paziente con tutti, l'esatto contrario della violenza verbale di Bakunin, ma diverso anche dall'auto compiacimento di Proudhon.


Nel "Mutuo appoggio", ultima opera di grande rilievo, Kropotkin si prodigò per confutare le tesi malthusiane neodarwiniane, opponendo alla dura e cruda selezione, una società fondata su un'evoluzione mediante la cooperazione tra umani. Gli anarchici non potevano che rigettare le odiose teorie di Malthus.


«…il soccorso reciproco è la regola nelle specie meglio affermate, come Kropotkin dimostra con un’imponente serie di osservazioni raccolte da lui e da altri scienziati; è anzi l’elemento più importante nella loro evoluzione.»

«…gli animali che meglio degli altri sanno vivere in società sono quelli che hanno maggiori possibilità di sopravvivere e di evolversi, anche se sono inferiori agli altri in tutte le facoltà enumerate da Darwin e Wallace, eccezion fatta per la facoltà intellettuale.» scrive Kropotkin.


Il suo sostegno alla Grande Guerra, giustificato dall'aver visto nella Germania un male che minacciava l'umanità, gli alienò per un certo periodo il sostegno e la simpatia dei suoi compagni anarchici, sostegno che divenne di nuovo saldo quando iniziò l'ultima sua battaglia, quella per contrastare il potere autoritario dei bolscevichi.


Morì l'8 febbraio 1921 e al suo funerale partecipò una folla lunga cinque miglia, che seguì la sua bara per le strade di Mosca.

Woodcock gli tributa in questo libro parole commoventi, esprimendo per l'anarchico tutta la sua simpatia, che è anche la mia: «Kropotkin credeva fervidamente nella solidarietà umana perché tutto nella sua natura lo predisponeva a essere attratto da quest’idea. Fu un uomo d’irreprensibile onestà, benevolo, sensibile alle necessità degli altri, generoso e ospitale, coraggioso e incapace di menzogna persino quando la sincerità poteva essere imbarazzante. La sua bontà sembra quasi troppo equilibrata e candida in tempi come i nostri, in cui si ama pensare che il genio debba nascere dalla frustrazione e la santità da qualche profonda tara di tipo dostoevskiano; tuttavia quella bontà era reale, ad essa dobbiamo la particolare benignità della concezione che ebbe Kropotkin della natura umana e, più indirettamente, la complessa eppure ingenua visione di una terrena ed agnostica Città di Dio con cui egli coronò lo sconnesso edificio del pensiero anarchico.»



Tolstoj non si definiva anarchico, perché ai suoi tempi l'anarchia veniva per lo più identificata con azioni violente, preferiva pensare a se stesso come un cristiano fedele al Vangelo. Tuttavia nella sostanza, vista la sua avversione nei confronti dello stato e della proprietà, sarebbe potuto rientrare a pieno titolo nell'anarchismo.


Non c'è alcun dubbio, inoltre, che aver conosciuto e incontrato Proudhon, e averne apprezzato le idee, lo influenzò chiaramente nell'elaborazione del pensiero. Ammirò grandemente anche Kropotkin che non incontrò mai, ma col quale intrattenne un rapporto epistolare. I due nutrivano un profondo rispetto reciproco. D'altronde il concetto di "mutuo appoggio" apparteneva alla stessa visione esistenziale.


«Considero tutti i governi [disse alla fine della vita], e non soltanto il governo russo, istituzioni intricate, santificate dalla tradizione e dal costume, il cui scopo è commettere con la forza e impunemente i delitti più rivoltanti. E penso che quanti desiderano migliorare la nostra vita sociale dovrebbero volgere i loro sforzi a liberarsi dai governi nazionali, la cui dannosità, e soprattutto la cui futilità, diventano ogni giorno più evidenti.»


Woodcock sostiene che non esiste nel concreto nessuna separazione in un prima e un dopo la conversione di Tolstoj. La sua essenza la si rintraccia sempre ovunque. Non smise mai di essere un letterato. La conversione religiosa non uccise in lui l'artista.


«… il suo radicalismo — come quello degli altri due grandi anarchici russi, Bakunin e Kropotkin — era fondato sul rapporto tradizionale fra aristocratico e contadino. Tutti e tre volevano invertire quel rapporto, ma esso rimase un elemento importante nel loro pensiero e nelle loro azioni.

Quel che ho cercato di dimostrare è che in Tolstoj la tensione fra scrittore e riformatore fu sempre presente, e in genere reciprocamente stimolante; divenne distruttiva solo alla fine, quando i suoi impulsi artistici erano in declino, ma negli anni più fecondi della sua attività di scrittore, talento letterario e preoccupazioni morali si alimentarono e sostennero a vicenda, anziché entrare in conflitto.»


«A questa esaltazione di una vita secondo la natura si accompagna un altro motivo, il desiderio di un’universale fratellanza umana, che corre attraverso tutti i romanzi e rappresenta la proiezione di un sogno che Tolstoj aveva condiviso con i fratelli nella prima infanzia, quando essi credevano che i rapporti esistenti nella loro piccola cerchia potessero essere estesi all’infinito, sino ad abbracciare tutta l’umanità.»


Nei tre grandi romanzi degli inizi, "I cosacchi", "Guerra e Pace" e "Anna Karenina", oltre al naturalismo, al populismo, alla fratellanza umana, alla sfiducia nel progresso, ci sono tematiche specificatamente libertarie: la critica alle gerarchie, al culto per i capi, al sistema politico centralizzato e al patriottismo. Tutte caratteristiche tipicamente anarchiche. La sua è una religione senza misticismo, addirittura senza fede. Cristo per lui è un maestro, non l'incarnazione di Dio. È la ragione al centro del suo sistema "religioso".


«…la cultura, la cultura utile, non perirà… Non per nulla gli uomini, nella loro schiavitù, hanno compiuto così grandi progressi in campo tecnico. Se solo capiremo di non dover sacrificare la vita dei nostri simili per il nostro piacere, diventerà possibile approfittare dei progressi compiuti dalla tecnica senza distruggere vite umane.»


Come tutti gli anarchici, Tolstoj rifiuta di delineare una teoria dell'utopia, un sistema di organizzazione della futura umanità, però sa che cosa è necessario per una maggiore giustizia: l'abolizione dello stato, della legge e della proprietà, sostituiti dalla cooperazione tra uomini liberi e uguali e dalla distribuzione dei prodotti a secondo delle necessità di ognuno.


Insomma, «ritiene necessaria una rivoluzione morale e non politica: la rivoluzione politica, infatti, attacca lo stato e la proprietà dal di fuori, mentre la rivoluzione morale opera all’interno della società e ne mina le basi stesse.»

La grande arma per la rivoluzione morale è la disobbedienza, rifiutarsi di cooperare con lo stato, in qualsiasi forma, e, nel contempo, utilizzare la ragione, la persuasione e l'esempio.


L'influenza che Tolstoj esercitò fu immensa, è difficile riuscire a riassumerla. Si espresse in patria, ma anche in Occidente, in maniera particolare nell'anarchismo cattolico. Tuttavia, chi raccolse di più la sua eredità fu Gandhi. Il Mahatma si ispirò molto al suo pensiero, ma, per quanto riguarda le comuni contadine, anche molto a Kropotkin.


[Prossima puntata: Il movimento (1): Iniziative internazionalistiche, L'anarchia in Francia, L'anarchia in Italia]





mercoledì 25 ottobre 2023

Dave Eggers, "Il cerchio" (2013)

  


Consigli di lettura 


Dave Eggers, "Il cerchio" (2013)


«Amici, siamo all’alba del Secondo Illuminismo. E non parlo di un nuovo edificio nel campus. Parlo di un’era in cui non permetteremo che la maggior parte del pensiero, dell’azione, delle conquiste e della cultura umana sfugga come da un secchio bucato. L’abbiamo già fatto. Si chiamava Medioevo, i secoli bui. Se non fosse stato per i monaci, tutto ciò che il mondo aveva appreso sarebbe andato perduto. Ebbene, noi viviamo in un’epoca molto simile, in cui stiamo perdendo la gran parte di quello che facciamo, vediamo e apprendiamo. Ma non è detto che le cose debbano andare avanti così. Non con queste videocamere, e non con la missione del Cerchio.»


«I SEGRETI SONO BUGIE; CONDIVIDERE È AVER CURA; LA PRIVACY È UN FURTO»


«La sorveglianza dilagherà ovunque senza provocare la minima reazione e la minima resistenza…

…Ci saranno quelli che vorranno vivere sotto la cupola di sorveglianza che state contribuendo a creare e quelli che ne vivranno, o cercheranno di viverne, lontani. Sono davvero terrorizzato per tutti noi.»


«Ora, tu e io sappiamo che, se riesci a controllare il flusso delle informazioni, puoi controllare ogni cosa. Puoi controllare la maggior parte di ciò che ognuno vede e sa. Se vuoi insabbiare una notizia in modo permanente, ci metti due secondi. Se vuoi rovinare qualcuno, sono cinque minuti di lavoro. Come può, uno, insorgere contro il Cerchio se controllano tutte le informazioni e l’accesso alle medesime? Vogliono che abbiamo tutti un account del Cerchio, e sono molto avanti sulla strada che renderà illegale non averlo. Poi che succederà? Che succederà quando controlleranno tutte le ricerche e avranno pieno accesso a tutti i dati su ogni persona? Quando conosceranno ogni mossa che fa ogni singolo individuo? Quando tutte le transazioni monetarie, tutte le informazioni sulla salute e il DNA, ogni brandello della propria vita, buono o cattivo, quando ogni parola detta passerà attraverso un solo canale?»


Fate attenzione. "Il Cerchio" è un libro divertente, apparentemente leggero, ironico, con risvolti persino comici, sembra un libro senza eccessive pretese, che si legge bene, assai scorrevole e in più molto recente. È anche un buon fanta thriller con colpo di scena finale. Ne è stato tratto un film carino, ma lontano mille miglia dal libro, che in sostanza, oltre a essere un'altra cosa, è qualitativamente assai superiore.

Dave Eggers è un abile scrittore americano con uno stile decisamente gradevole. 


Questo romanzo, però, riesce a parlare in maniera decisamente azzeccata del presente, e già nel 2013, quando è uscito, parlava del presente, ma prospettando alcune ipotesi sull'immediato futuro, un futuro non definito, ma sicuramente prossimo, più che un futuro, una sorta di possibile espansione del nostro mondo virtuale. Un mondo dell'iper digitalizzazione, del riconoscimento facciale, del sistema di microchip impiantati, dell'interfaccia retinica. In sostanza della sorveglianza totale. Tutto finalizzato al bene comune, contro l'egoismo individuale.

È divertente, sì, ma assai inquietante e davvero sorprendente.


Parla di tutti noi, di quello che siamo e che potremmo diventare. Ma non è la solita storia distopica che gira sempre attorno agli stessi argomenti e stereotipi. Le cose sono un po' più complicate.

Innanzitutto, è la riuscita miscela tra commedia ironica e inquietante incubo tecnologico che rende assai interessante questo romanzo. Questo deciso contrasto tra le due cose.

La scrittura è volutamente e genialmente scialba, senza spessore, vuota, come d'altronde è il mondo che descrive.


Eggers narra di un'ipotetica e originale variazione dell'uso della rete. Siamo negli USA, in un contesto assai simile a quello attuale, con le stesse dinamiche sociali e con un notevole livello di alienazione.

Una ragazza di ventiquattro anni di nome Mae è la protagonista del romanzo, che dopo aver lavorato per anni nel settore informatico di una grigia e squallida azienda pubblica, approda nel Cerchio. 


Il Cerchio, che occupa più di cinquanta edifici, è una società di servizi tecnologici, con creativi dalla bizzarra personalità, che si occupa delle innovazioni nei più svariati campi, la più importante al mondo, avveniristica, ospitata in un campus con costruzioni di vetro dal perfetto design, con servizi e negozi di tutti i tipi. Una sorta di incantevole paradiso. Tutto di vetro, tutto trasparente, dove nulla sfugge allo sguardo. Dove tutti possono vedere tutti, anche durante i pasti. 


Le porte del "paradiso" gliele apre Annie, senior executive del Cerchio, ex compagna universitaria, che ha fatto una carriera così  sfolgorante e sorprendente, vista la sua mediocrità e la sua effimera tendenza allo scarso impegno quando erano all'università.

Annie, ora fa parte della cosiddetta "Gang dei 40", una delle "quaranta menti più lucide" della società, che è a conoscenza delle informazioni segrete e ha ottenuto l'assunzione di Mae senza alcuna difficoltà. 


Nel Cerchio è tutto bellissimo, funzionale ed ecologico, e le persone che ci lavorano sono meravigliosamente empatiche. Sembra tutto perfetto e Mae è al settimo cielo. 

L'azienda gestisce soprattutto un servizio di connessione online di profili, social, metodi di pagamento, password e quant'altro, collegata a un'unica rete, a un'unica identità: TruYou, un'unica soluzione per tutti i servizi in rete. Esiste un singolo account una sola password per ogni cosa: navigazioni, pagamenti, email, video, social. Niente replicazione dell'account, nessun falso profilo. Un sistema eterno, affidabile, sicuro.


Mae viene a conoscenza di una serie di strumenti innovativi di sorveglianza, come le micro videocamere digitali, eco friendly, che possono essere condivise in rete con un sistema analogo alle amicizie sui social, e che è possibile controllare a distanza indefinita, fino a poter vedere e ascoltare tutto ciò che vuoi raggiungere.

«Tutto quello che succede dev'essere conosciuto», «così i tiranni non si potranno più nascondere». «L'alba di un Secondo Illuminismo». «Diventeremo onniveggenti, onniscienti.»


In questo romanzo ci sono delle intuizioni molto interessanti sull'ossessione per la trasparenza, che non è usuale leggere allo stesso livello in altre storie di genere distopico. 

La premessa a questa ossessione è che in un mondo perfetto non si farebbe nulla di cui vergognarsi e che deve quindi restare segreto. 


L'assoluta trasparenza serve a rendere il mondo migliore, e indirizzato verso la verità. Di conseguenza è indispensabile la perenne sorveglianza che conduca all'abolizione dei segreti («i segreti sono bugie»), di tutti i segreti, e che tutti siano costretti a essere "buoni".

Questo argomento è centrale nel dipanarsi della vicenda di Mae, che gradualmente si afferma come una sorta di guru. 

Eggers è bravissimo a descrivere le sensazioni della ragazza durante questa progressiva discesa negli inferi.


L'altra folle ossessione, è relativa alla nevrotica accumulazione di notizie, dati, foto, filmati, banalità della vita quotidiana, quasi una metafora dell'accumulazione capitalista o, per altri versi, di quello che la sta sostituendo, sempre per nutrire il nuovo sistema, un capitalismo che si ristruttura verso una nuova forma.


Mentre, l'alienazione colpisce in maniera variabile, i Circler, i dipendenti dell'azienda, sono inseriti in questa sorta di mega gioco autoreferenziale, sottoposti a varie pressioni emotive di carattere empatico che girano soprattutto attorno a un sistema di gradimento a punti, che va da 1 a 100, la cui media non deve scendere sotto i 95, e basato sui feedback dei clienti.


I capi del Cerchio sono soggetti al limite della psicopatia, caratterizzati da una personalità narcisistica a dir poco accentuata.

Le relazioni personali tra Circler sono altamente tossiche, inquinate da una ossessiva competitività, mascherata da solidarietà ed empatia, da una sollecitazione assillante alla produttività di interazioni sia lavorative che sociali, e sottoposti alla completa mortificazione della loro sfera privata.


Un lavoro che diventa intenso, elettrizzante, ma sempre più alienante.

Ogni Circler nella propria postazione è circondato da schermi che hanno funzioni diverse. Ognuno deve gestire i propri molteplici compiti, non solo lavorativi, ma anche sociali, di divertimento, di condivisione, di sorveglianza e di auto sorveglianza, di controllo reciproco e a più livelli. 


Lentamente, emerge l'enorme pressione indotta dalla sorveglianza tecnologica, sia verticale che orizzontale, anche sulle piccole azioni, sulle assenze alle feste e agli eventi mondani, sulle petizioni umanitarie, sulle omissioni, sui mancati feedback. È un gioco assai crudele, una continua sollecitazione alla partecipazione, in cui tutto è noto, trasparente, tutto deve essere condiviso con tutti, ben oltre il limite dello stalking. 


La condivisione diventa un imperativo etico, perché «condividere è prendersi cura». «Tutti abbiamo il diritto di sapere tutto.»

La privacy diventa un ostile retaggio del passato e un furto.

Il Cerchio nella sostanza è un universo concentrazionario, una sorta di prigione dorata, progressista e politically correct, un mondo che tende a fagocitare anche l'esterno. 


Il fatto che al suo interno circoli un flusso empatico esagerato, non lo rende meno pervasivo di qualsiasi altro sistema totalitario. Anzi, è concepito per la sorveglianza totale, per il controllo di ogni attimo della giornata, anche con la coercizione, con la "democrazia" diretta, plebiscitaria obbligatoria e attraverso la collaborazione entusiasta di ogni Circler.

Bisogna impedire che il Cerchio si chiuda e che arrivi il Completamento, questo è l'avvertimento angosciato che è l'essenza del messaggio contenuto nel racconto.

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