martedì 10 ottobre 2023

"L'Anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari" [seconda parte]

 


STORIA DELL’ANARCHIA seconda parte


George Woodcock, "L'Anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari"  (1962)


[Recensione, seconda parte]

Qui la prima parte


Le origini, "L'uomo della ragione" (William Godwin), "L'egoista" (Max Stirner), "L'uomo del paradosso" (Pierre-Joseph Proudhon)


Eccoci alla seconda parte della mia recensione, la quale, oltre a poche righe sulle origini, sarà dedicata alle prime tre delle sei figure di pensatori, che George Woodcock ha scelto per il loro significativo contributo, ritenendole, non quelle più importanti e rappresentative, ma quelle maggiormente determinanti per gli sviluppi successivi del pensiero anarchico.

Una scelta per dei versi arbitraria, ma che ha una sua logica, proprio perché mette in evidenza l'evoluzione di un processo storico.

Ad ognuno dei sei pensatori, Woodcock dedica un apposito capitolo, con un titolo che ne indica la caratteristica principale.


"Chiunque abbia nelle mani un’autorità tiranneggia gli altri; quanti mariti, padri, padroni, magistrati, che vivono secondo la carne, si comportano come oppressori con coloro che sono in loro dominio, dimenticando che mogli, figli, servi, soggetti sono creature come loro e hanno un diritto eguale al loro di godere della benedizione della libertà."

Gerrard Winstanley (1648)


“V’è solo un potere al quale posso prestare un’obbedienza convinta: la decisione della mia intelligenza, il comando della mia coscienza.”

William Godwin


“Chiunque metta le mani su di me per governarmi è un usurpatore e un tiranno: lo dichiaro mio nemico!”

Pierre-Joseph Proudhon


L'idea di anarchia come visione genericamente sociopolitica si va affermando gradatamente a partire dal XIV secolo e si sviluppa poi nei secoli successivi, all'interno della rivolta contadina inglese, di quella tedesca, del movimento Anabattista e della Rivoluzione inglese (come i Diggers di Gerrard Winstanley), di quella americana e di quella francese (gli Enragés). Tuttavia, queste restarono posizioni assai minoritarie e marginali, e mai del tutto politiche, per la scarsa o assente rilevanza che si diede all'individuo in quanto detentore di diritti.


Anche se il primo autentico pioniere del pensiero anarchico fu uno dei più brillanti intellettuali dissidenti della storia, il filosofo inglese William Godwin (1756 - 1836), il quale però conservava ancora un'idea negativa del termine "anarchia", e mai si definì tale, Woodcock fa nascere l'anarchismo con Proudhon, il primo pensatore che ne capovolse il diffuso significato dispregiativo, definendo sè stesso come anarchico, in un momento in cui nessuno avrebbe avuto il coraggio di farlo.


A parte Godwin, rimasero comunque fuori dal movimento anarchico ufficiale, anche due pensatori che tanta elaborazione dedicarono al pensiero libertario, seppure per motivi diversi tra loro e con lo stesso Godwin: Lev Tolstoj e Max Stirner.

Woodcock, a tal proposito, dedica molto spazio all'analisi di "Political Justice", opera maggiore di William Godwin, reputandola di enorme e fondamentale importanza per le origini del pensiero anarchico e libertario.


Ecco, come in due passi della sua lunga analisi, Woodcock indica due concetti fondamentali contenuti in "Political Justice": 

«Dapprincipio, nella democrazia estrema vagheggiata da Godwin, assemblee e tribunali dovranno forse impartire ordini. Ma la necessità della forza ha origine non “nella natura dell’uomo, bensì nelle istituzioni, che lo hanno già corrotto.” Quando queste istituzioni saranno ridotte a un numero esiguo, avviato a un’ulteriore diminuzione, gli uomini potranno progredire verso la condizione in cui sarà necessario soltanto esortarli ad astenersi da azioni pregiudizievoli per i loro simili. E alla fine giungeremo ad una società in cui la saggezza si trasmetterà senza l’intervento di nessuna istituzione, la società di uomini morali che vivranno in rapporti fondati sulla giustizia — o, come potremmo dire in linguaggio moderno, la società dell’anarchia pura.»


«In quest’opera, come ha detto Sir Alexander Gray, “Godwin riassume, come nessun altro ha fatto, tutti gli aspetti essenziali dell’anarchia, e si presenta così come l’esponente di un’intera tradizione.” Ciò che è più sorprendente è il fatto che questa tradizione egli la rappresenta e riassume profeticamente.»


Max Stirner, alias Johann Caspar Schmidt, era un uomo mediocre, tutto il contrario di ciò che ci si può immaginare leggendo la sola opera di rilievo che ci ha lasciati: "L'Unico e la sua proprietà". 


«Il grande egoista, il poeta dell’eterno conflitto, colui che esaltò il delitto e l’assassinio era infatti nella vita reale, quando pubblicò L’Unico nel 1843, un uomo mite, dall’esistenza infelice. Insegnava al collegio femminile berlinese di Madame Gropius. Si chiamava Johann Caspar Schmidt. Il nom de plume che sostituì a quello vero, così comune gli fu suggerito dallo straordinario sviluppo della parte anteriore del suo cranio: Stirne, in tedesco, significa fronte.

Come Schmidt assunse un nuovo nome per pubblicare il suo libro, così per scriverlo si creò una nuova personalità o, quanto meno, diede voce ad un io violento, solitamente ignorato, soffocato nell’esistenza quotidiana. Nell’infelice, sfortunata, disordinata esistenza del timido Schmidt non v’era infatti nulla del libero egoista, nulla che somigliasse al sogno appassionato di Max Stirner; il contrasto fra l’uomo e la sua opera è un classico esempio del potere della letteratura come compenso alle frustrazioni della vita reale.»


Woodcock, giustamente, pone più l'accento sul valore letterario che su quello teorico del libro, anche se eccessivamente prolisso e noioso, considerata la follia visionaria ed estremista che lo pervade.


In ogni caso, una sua fondamentale importanza nella formazione del pensiero anarchico, Stirner ce l'ha: l'apologia dell'egoismo punta alla possibilità della costruzione di una società senza schiavi né padroni, dove il singolo individuo possa esistere in piena realizzazione di sé, collaborando senza costrizioni con altri liberi individui, fuori da ogni orizzonte collettivista. Una paradossale nuova forma di fratellanza. Ma per arrivare a questo è necessario liberarsi dello stato, con qualsiasi mezzo, anche attraverso il delitto, che Stirner esalta entusiasticamente.


Purtroppo, Stirner anticipa la furia omicida di alcuni marginali movimenti anarchici di fine ottocento, senza averne una responsabilità diretta, ma che a prescindere da questo, pur nella loro irrilevanza numerica, hanno gettato discredito sull'idea di fratellanza e libertà dell'anarchismo. 

Tuttavia, nel bene, Stirner ha anche anticipato l'idea di ribellione individuale, distinguendola da quella di rivoluzione. Quindi, il maggior merito di Stirner è stato quello di aver posto l'accento sulla rivendicazione passionale dell'unicità di ogni essere umano.


Quasi agli antipodi di Stirner, si colloca Proudhon. È il primo a definirsi anarchico, anche se un anarchico individualista sociale, dalla personalità contraddittoria, ma colui il quale influenzerà maggiormente il socialismo francese fino agli anni trenta del XX secolo compresi. L'individualismo di Proudhon è sociale in quanto l'individuo non può essere separato dalla comunità e dai rapporti sociali.

Un uomo dalla vita ben più che spericolata.

Woodcock gli dedica un notevole spazio, paragonabile solo a quello dedicato a Bakunin. Cosa assolutamente giustificabile. Così mi dilungherò anch'io dedicando uno spazio molto più lungo, rispetto a Goodwin e a Stirner, all'analisi che ne fa Woodcock.


Proudhon era, altresì, ammirato per le sue notevoli qualità letterarie addirittura da scrittori quali Flaubert, Baudelaire e Hugo.

«La vastità del pensiero, il vigore dello stile, l’ampia influenza che esercitò dalla sua solitudine contribuiscono a fare di Proudhon uno fra i grandi europei del diciannovesimo secolo, inferiore per statura, fra gli anarchici, soltanto a Tolstoj.»


Il suo amore più grande era per la giustizia, valore che superava quello di patria, a cui il pensatore francese era altresì così attaccato, nonostante il suo anarchismo.

Nel suo libro più famoso "Che cos'è la proprietà?", lui risponde che la proprietà è un furto, non intendendo la proprietà in assoluto, ma quella dei mezzi di produzione, e quindi condanna il proprietario che non lavora.

Woodcock sostiene che, quando Proudhon parlava di anarchia, intendesse «una società in cui potranno fiorire insieme eguaglianza, giustizia, indipendenza, riconoscimento di meriti individuali, in un mondo di produttori uniti da un sistema di liberi contatti.»


Proudhon, nel corso della sua esistenza si è sempre identificato con la classe più povera, in considerazione anche delle sue umili origini. 

Come Winstanley e Godwin punta molto sul potere della ragione e non auspica rivoluzioni violente.


A Parigi incontrò anche Karl Marx, i due inizialmente, invano, cercarono punti di contatto per una collaborazione anche dal punto di vista organizzativo.

In ogni caso, questo incontro «riveste un’importanza storica in quanto si manifestarono in esso i primi segni di quel conflitto inconciliabile fra socialismo autoritario e anarchia che avrebbe toccato il suo punto di massima violenza venticinque anni dopo, in seno alla 1a Internazionale.»


Proudhon fu critico nei confronti del comunismo perché nei fatti promuoveva il monopolio dello stato. Era a favore invece, come tutti gli anarchici, del mutualismo e della dissoluzione dello stato, di una forma di collaborazione fra liberi individui, e di equa distribuzione delle proprietà. 

Fu, primo tra gli altri, un duro critico della concezione di Dio.


«La negazione dell’esistenza di una divinità trascendente e l’anticlericalismo che vi si accompagna non precludono però un atteggiamento per certi versi religioso. Proudhon non fu mai un ateo nel vero senso della parola. Detestava il dogmatismo dell’ateo non meno di quello del sacerdote, e considerava l’idea di Dio — anche se creata dall’uomo — come qualcosa che esisteva e perciò andava combattuta. Dio e l’Uomo rappresentavano anzi per lui la contraddizione ultima, i poli manichei del suo cosmo, nella cui lotta stava il segreto della salvezza sociale.»


Credeva nella continua lotta, più che nella vittoria. Per lui valeva combattere per una società dinamica, non statica. Una società della perpetua trasformazione. 

Proudhon partecipò attivamente alla rivoluzione del febbraio 1848, che aveva, tra l'altro, previsto, anche se la criticò aspramente, la definì: «una rivoluzione senza idee», dominata da giacobini e da liberali sentimentali. Ma sostenne anche la rivolta operaia di giugno.


In quel periodo, mise in atto una serie di progetti sia teorici che pratici: soprattutto, il successo di una testata giornalistica e il fallimento dell'unica esperienza parlamentare, vicenda contraddittoria e inspiegabile di un uomo che avversava il parlamentarismo, fu sostenuto in campagna elettorale anche da Charles Baudelaire.


«Ben presto gli fu chiaro che, con le sue teorie anarchiche, all’Assemblea era assolutamente fuori posto. Certo l’esperienza accrebbe la sua diffidenza per i metodi politici e contribuì all’anti-parlamentarismo che caratterizzò i suoi ultimi anni e che egli avrebbe lasciato in eredità a tutto il movimento anarchico.»


La sua coerenza gli costò anche tre anni di carcere, per la dura opposizione a Luigi Napoleone, di cui un anno prima profetizzò il colpo di stato. Carcere che, però, affrontò con vigore, non si fece schiacciare da questa esperienza. Anzi, mise a frutto le sue energie che gli servirono per ampliare le sue conoscenze e per scrivere nuove opere.


«Nella generalizzazione del principio del contratto, nella trasformazione della società in una rete di volontari accordi fra individui liberi, Proudhon vede il nuovo ordine di organizzazione economica, nettamente distinta da quella politica. Una volta instaurato quell’ordine, non vi sarà più nessun bisogno d’un governo e, tornando alla sua vecchia dottrina serialista, Proudhon conclude che l’anarchia è la fine della serie di cui l’autorità è l’inizio.»


Il decentramento, il federalismo e l'autogestione dei lavoratori sono i punti essenziali del programma anarco-socialista di Proudhon.

Una libera società che espone in questi termini nella sua opera "L'idea generale della Rivoluzione":

«In luogo delle leggi porremo contratti: non più leggi votate dalla maggioranza o addirittura all’unanimità. Ogni cittadino, ogni città, ogni unione industriale farà le sue leggi. Ai poteri politici sostituiremo le forze economiche… Agli eserciti permanenti, le associazioni industriali; alla polizia, l’identità di interessi; alla centralizzazione politica, la centralizzazione economica.»


In questo e altri suoi libri, viene fuori tutta la ricchezza del pensiero di Proudhon e lo sforzo profuso nel cercare di dare una razionalizzazione a una proposta sistemica. Ma emerge anche tutta la sua ingenuità. Le estreme difficoltà di mettere in atto questo suo schema divennero presto evidenti. Non tutti i rapporti sociali e la loro complessità possono trovare soluzione nella buona volontà e in un vago sistema fondato su contratti.

Il suo è un ottimismo apprezzabile, ma estremamente utopico.


Fu comunque fondamentale per la teorizzazione dell'idea del federalismo libertario, pose le basi del sindacalismo anarchico, affermando che la salvezza dei lavoratori era compito dei lavoratori stessi, idea che fu ripresa da tutti i movimenti anarchici successivi.

Non fu formalmente il fondatore del movimento, perché morì mentre nasceva la Prima Internazionale. Tale compito spettò a Bakunin. Ma ne fu il principale ispiratore.


[continua]

[Prossima puntata: Michail Bakunin, Pëtr Alekseevič Kropotkin, Lev Nikolàevič Tolstòj]


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