domenica 30 aprile 2023

The Style Council “Our Favourite Shop” (1985)


Storia del Rock

The Style Council

“Our Favourite Shop” (1985)


Una delle più originali "onde anomali", nate in Inghilterra in seno alla new wave negli anni ottanta, fu quella che potremmo definire del "British new jazz/soul".

Tutto prese l'avvio da buona parte delle canzoni tratte da quel memorabile disco dei Clash che fu "Sandinista". Fonte di ispirazione di molta della musica che seguì e fonte di ispirazione di questo genere musicale che vide esprimersi diverse band e artisti britannici. Basti ricordare alcuni nomi: Dexys Midnight Runners (questi con evidenti influenze di musica celtica), Everything But The Girl, Carmel, Working Week, Sade, Animal Nightlife e soprattutto The Style Council.


Le componenti di questa musica erano essenzialmente il beat bianco anni sessanta e la black music. In più, alcuni di loro erano connotati politicamente in senso abbastanza radicale, seguendo la strada tracciata appunto dai Clash, ma non solo. Altri avevano spiccate caratteristiche multietniche, sia musicalmente che nella composizione delle formazioni.


Gli Style Council erano per lo più un duo, attorno al quale giravano una serie di musicisti diversi: Paul Weller, chitarra e voce; Mick Talbot, tastiere.

Paul Weller veniva dal punk e dintorni. Leader dei Jam, gruppo che aveva sposato l'estetica dei mods e che già all'epoca inseriva nelle sonorità punk alcune tracce più melodiche, che si svilupperanno in maniera più concreta proprio con l'esperienza degli Style Council. Mick Talbot veniva invece dai Dexys Midnight Runners di Kevin Rowland.


Weller e Talbot diedero vita tra il 1983 e il 1985 a tre dischi fenomenali (un EP e due LP). Sonorità che si rifacevano chiaramente ai Beatles, ai Clash, al soul, al jazz, al rythm'n blues e al rap. "Cafè Bleu" e "Our Favourite Shop", i capolavori del duo. Il secondo è uno dei dischi più politicizzati del nuovo rock inglese. L'originalità del contrasto tra la musica, basata sul divertimento funk e sui toni romantici, e i testi impegnati politicamente, rende questo prodotto unico e godibilissimo.


La voce di Paul Weller è a tratti soft e a tratti più marcatamente black. Le quindici composizioni sono tutte a livelli qualitativamente molto alti, alcune delle quali resteranno dei classici: "Hombreakers", "Come to Milton Keynes", "Boy Who Cried Wolf", "The Lodgers", la title track e "Internationalists".


Gli Style Council infatti erano impegnati contro il thatcherismo e avevano patrocinato iniziative a favore delle lotte dei minatori inglesi.

Nel 1986 ho assistito ad un loro concerto qui a Roma. Un'esibizione commovente e altamente coinvolgente. Il tendone che ospitava il live si era trasformato in un'enorme, frenetica e sconvolta sala da ballo. Indimenticabile.

venerdì 28 aprile 2023

Giorgio Galli Hitler e il Nazismo Magico (1989)


 Consigli di lettura 


Giorgio Galli

Hitler e il Nazismo Magico (1989)


«La rivoluzione scientifica e il razionalismo illuminista hanno schiacciato ed emarginato modi di conoscenza che hanno antiche radici nella storia umana e che sono state di volta in volta variamente definite come magia, stregoneria, occultismo, esoterismo, ermetismo, astrologia, alchimia: espressioni di modi di essere e di tentativi di approccio alla realtà che hanno caratteristiche differenziate, ma che la cultura egemone classifica sotto il comune denominatore dell'irrazionalità. Queste culture tentano costantemente di riemergere.

Quelle libertarie ed egualitarie si sono manifestate nei termini che ho descritto in Occidente misterioso. Quelle volte a far acquisire un'eccezionale potenza e a stabilire ferree gerarchie, sono riapparse come componenti di quei fenomeni complessi che sono stati il movimento nazista e il Reich hitleriano.»

Dalla introduzione dell'autore.


«il gruppo di personalità che è all'origine del nazismo è un'associazione di intellettuali formatasi in un ambiente culturale la cui nota dominante è la componente occultista. Partendo da convincimenti comuni questo gruppo di intellettuali deve aver visto nel Fuhrer un uomo ricco di quelle particolari doti che rendono adatti ad assumere una determinata leadership. Doti forse quasi medianiche.»

Da un'intervista a Galli.


Giorgio Galli è stato uno storico e un politologo assai rigoroso, esperto di esoterismo, ma non solo. Oltre a questo saggio, su tale tema scrisse altri due libri imperdibili: "Occidente misterioso", appunto, e "La politica e i maghi". Studioso dei legami e delle connessioni che ha il potere politico con il potere esoterico di tutti i tipi, lo ha fatto con grande scrupolo e serietà.


Molti anni or sono, una fortunata puntata (divisa per l'esattezza in due parti) della trasmissione televisiva de "La Grande Storia", dal titolo "I misteri del nazismo", prese spunto da questo eccellente libro e si avvalse della collaborazione dello stesso Galli. 


Un ottimo esempio di giornalismo televisivo e di documentarismo storico, esente da sensazionalismo e caratterizzato, al contrario, da grande sobrietà espositiva e da notevole livello di approfondimento. Doti assai rare nel panorama televisivo italico, anche quando si tenta una presunta operazione culturale.

Non è facile trattare storicamente il fenomeno del nazismo, ed è ancora più difficile, se a ciò aggiungiamo anche il tentativo di volerne analizzare le radici magiche ed esoteriche.


La tesi del libro di Galli è che Il nazismo "il male assoluto" ha avuto, accanto alle motivazioni economiche, storiche e politiche ben conosciute e lungamente analizzate, anche, appunto, più oscure radici esoteriche, che pur non essendo le uniche cause, hanno avuto un ruolo di rilievo per il processo politico in atto nella Germania di quel periodo, un ruolo tutt'altro che ininfluente, come sosteneva buona parte della storiografia tradizionale. Sarebbe, tra l'altro, evidente, che anche come reazione al trattato di Versailles, in Germania le società occultiste acquisirono pure un marcato carattere politico.


Giorgio Galli ha avuto il merito di essere tra i primi ad avanzare questa ipotesi. Questo suo saggio è ormai un classico. 

All'epoca la reazione degli accademici non fu tra le migliori, al massimo ignorato, se non trattato con sufficienza.

Oggi, questa interpretazione, con una serie di varianti e accenti diversi, non è più messa in dubbio dalla maggior parte degli storici del nazismo.


Galli ha continuato ad approfondire l'argomento anche successivamente, fino alla sua morte, tramite libri, interviste e articoli.

Lo ha sempre fatto con rigore e serietà lontano anni luce da certe semplificazioni che vedono simboli massonici e satanisti dappertutto, e che cercano perfino di sdoganare l'immondizia antisemita dei "Protocolli dei Savi di Sion".


Il suo studio parte dal presupposto che anche l'orrore debba essere studiato meticolosamente e senza pregiudizi. Perché l'analisi accurata, libera da condizionamenti di natura morale e ideologica, non solo ci permette di scoprire  molte connessioni, ma soprattutto, un approfondimento esente da pregiudizi, può rivelare che componenti filosofiche e culturali di notevole spessore, grandi intelligenze e soggetti in possesso di piene facoltà mentali possono benissimo dar vita al "demoniaco" e a regimi criminali. Queste componenti non rendono il nazismo più accettabile, ma semmai, molto più inquietante. È la scusa della follia, al contrario, che fornisce delle attenuanti.


L'autore ricostruisce la nascita di tali radici, oltre che nella "Loggia luminosa" o "Società del Vril", soprattutto nella "Thule Gesselschaft", di cui il partito nazista era diretta emanazione, fondata sul mito dell'ubermensch ariano, e fortemente connotata da antisemitismo. Traeva ispirazione dalla cultura alchemica e rosacrociana, e dalle idee razziste di Guido von List, di Gobineau, di Chamberlain e dalla Società Teosofica di Madame Blavatskij, con la sua fantastoria e la sua fantageografia. Lo stesso "Mein Kampf" avrebbe una doppia chiave di lettura: essoterica ed esoterica.


La Thule, di cui fu fondatore von Sebottendorff, era idealmente collegata pure alla sua omologa, ma molto più illustre, storicamente e culturalmente, Golden Dawn inglese (Ordine Ermetico dell'Alba Dorata), che era stata però attraversata anche da conflitti di opposta natura politica. 

La Golden Dawn vide tra i suoi ispiratori Eliphas Levi, e tra i membri Bram Stoker, William Butler Yeats e Aleister Crowley. 


Il pensiero ermetico a cui da vita la Thule viene denominato "ariosofia", un misto tra la teosofia di Madame Blavatskij, il mito della superiorità della razza e della tradizione ariana e spinte tecnocratiche "progressiste".

La tesi centrale di questo saggio, e più volte riproposta nelle sue pagine, ruota, infatti, attorno al legame, che alla fine del XIX secolo c'era tra le società occultiste di Inghilterra e Germania, e che sarebbe stato il motivo principale del viaggio di Rudolph Hess in terra d'Albione per cercare alleanze che portassero ad un'intesa tra le due nazioni.


Originale la motivazione che Galli dà in merito alla decisione di dare il via all'Operazione Barbarossa, legata proprio alla missione di Hess. Sulla quale si innesta un'errata valutazione di Hitler, rispetto alle alleanze, alle forze in campo e al fronte nel Mediterraneo.


Ma oltre al progetto immediato di alleanza con l'Inghilterra, ci sarebbe anche quello conseguente più a lungo termine, e sempre su base esoterica, più ambizioso e più complesso di costruzione dell'Eurasia, al quale proprio l'Operazione Barbarossa è collegato.


Un progetto nel quale vedrebbe la piena realizzazione del cosiddetto "spazio vitale", con il suo ampliamento, e i propositi eugenetici ed "ecologici". Non è difficile, per me, individuare delle inquietanti analogie con le odierne élites, con la transizione ecologica digitale e con lo spirito di dominio mondialista, da una parte, e di certo multipolarismo dall'altra.


Ruolo fondamentale ebbe anche Karl Haushofer, con la sua "Geopolitica dell'Autodeterminazione" su base magica. 

Galli analizza poi compiutamente le posizioni di Ernst Junger e Carl Schmitt, intellettuali sostenitori del regime, che però manifestano perplessità circa l'entrata in guerra e le motivazioni esoteriche legate alla stessa.


Lo storico ricostruisce con accuratezza legami, coinvolgimenti, motivazioni e manie filosofico-religiose del "gotha" del nazismo, non solo di Hitler, analizza anche il coinvolgimento di Anton Drexler, di Alfred Rosenberg, di Himmler e di Rudolph Hess. Questi ultimi due ebbero un peso enorme nella costruzione della weltanschauung esoterica nazista.


È insomma, un libro avvincente come un romanzo e di notevole levatura teorica, che riconsegna intatta, arricchendola di maggiori dettagli, tutta la mostruosità di questo sistema politico. 

Una lettura che oserei definire indispensabile, e che invita all'approfondimento.

mercoledì 26 aprile 2023

Trenta romanzi del Novecento


Trenta romanzi del Novecento 

Sul Novecento è stato scritto di tutto e di più. 

È stato il secolo, alla fine di un millennio, in cui la Storia è stata sconvolta da ben due guerre mondiali, con decine di milioni di morti. Il secolo delle rivoluzioni socialiste, dei totalitarismi, dei lager, dei gulag, dell'orrore dello sterminio degli ebrei, ma anche del genocidio degli armeni, del quale si tace da più parti per opportunismo politico.


È stato il secolo della Guerra Civile in Spagna, delle Guerre coloniali, di Hiroshima e Nagasaki, dell'imperialismo americano e di quello sovietico, del bipolarismo e dell'incubo nucleare, della guerre in Corea e in Vietnam e dell'inasprirsi del conflitto Israelo-Palestinese; del Trentennio Glorioso, dell'allargamento delle democrazie costituzionali e del'68. Ma anche della caduta del muro, del crollo dell'Unione sovietica e dell'unipolarismo; della Prima guerra del Golfo e di quella nella ex Jugoslavia. 

Il secolo di quella cosa nefanda che porta il nome di Unione Europea. 

Ma non è stato il secolo della fine della Storia, come qualcuno credeva e auspicava. 


Un secolo pieno anche di tanta narrativa di qualità e forse ancor più di saggistica di qualità.

Eccomi, quindi, di nuovo alla compilazione di una lista. Questa volta cedo alla letteratura. Sono trenta romanzi del Novecento. Non sono quelli che considero i migliori e non è una classifica, in questo campo non ne faccio. La lista è in ordine cronologico. 


Sono i romanzi che più di altri hanno condizionato la mia esistenza e la mia formazione culturale, con alcune eccezioni. Infatti, mi sono dato una regola, una di quelle regole artificiose valide solo per noi stessi: non più di un libro per autore. 


Questo mi ha messo di fronte ad alcune difficili scelte, per esempio, relativamente a Orwell, di cui preferisco "Omaggio alla Catalogna", rispetto a "1984", però la lista doveva avere anche una suo omogeneità. Stessa considerazione per Dick e Ballard. E riguardo a Sciascia, del quale almeno tre romanzi per me hanno lo stesso valore. Ho scelto "Todo Modo" per la grande suggestione politica e mistica. 


Ho dovuto escludere a malincuore Tommaso Landolfi, perché la sua migliore produzione letteraria è nei racconti. Nessuno dei brevi romanzi possiede le caratteristiche sulle quali mi sono basato, stessa cosa dicasi su un piano leggermente inferiore per Italo Calvino.

Ho escluso a malincuore anche Jorge Luis Borges, per lo stesso motivo di Landolfi. 

È probabile che compilerò una lista specifica solo per le raccolte di racconti. 


Sono stato costretto a inserire Huxley ed Eco, di cui poi col tempo, ho maturato una diversa considerazione, anche dal punto di vista letterario. Tuttavia, sarebbe stato ipocrita da parte mia escluderli, considerato sempre il criterio di selezione, e cioè il grande valore formativo che per me hanno avuto. 


Una precisazione circa le due opere di memorialistica inserite: "Memorie di un rivoluzionario" di Victor Serge e "Se questo è un uomo" di Primo Levi. Si potrebbe obiettare che sarebbe più corretto considerarli saggi autobiografici. Ma per come sono scritti, ritengo che essi siano a tutti gli effetti anche delle grandi opere di narrativa, e quindi, ho voluto inserirli nella lista. 


Sono disponibile a domande e chiarimenti.


"Il fu Mattia Pascal" (1903), Luigi Pirandello

"I Beati Paoli" (1909), Luigi Natoli

"Il processo" (1915/1925), Franz Kafka

"La montagna incantata" (1924), Thomas Mann

"Il lupo della steppa" (1927), Hermann Hesse

"Viaggio al termine della notte" (1932), Louis Ferdinand Celine

"Il mondo nuovo" (1932), Aldous Huxley 

"La maschera di Innsmouth" (1936), H. P. Lovecraft 

"Furore" (1939), John Steinbeck 

"Dieci piccoli indiani" (1939), Agatha Christie 

"Il deserto dei Tartari" (1940), Dino Buzzati 

"Il maestro e Margherita" (1940/1966), Michail Bulgakov

"Memorie di un rivoluzionario" (1901-1941/1951), Victor Serge

"Se questo è un uomo" (1947), Primo Levi

"1984" (1948), George Orwell

"Fahrenheit 451" (1953), Ray Bradbury 

"Io sono leggenda" (1954), Richard Matheson

"Il signore degli Anelli" (1954), J. R. R. Tolkien 

"Ragazzi di vita" (1955), Pier Paolo Pasolini 

"Lolita" (1955), Vladimir Nabokov

"Solaris" (1961), Stanislaw Lem

"La svastica sul sole" (o "L'uomo nell'alto castello") (1962), Philip K. Dick

"La storia" (1974), Elsa Morante 

"Todo modo" (1974), Leonardo Sciascia 

"Il condominio" (1975), J. G. Ballard

"Il nome della rosa" (1980), Umberto Eco

"L'insostenibile leggerezza dell'essere" (1984), Milan Kundera

"Cecità" (1995), José Saramago

"American Tabloid" (1995), James Ellroy

"Cherudek" (1997), Valerio Evangelisti 


[Nell'immagine: "Elasticità" (1912), Umberto Boccioni]

martedì 25 aprile 2023

XTC


Storia del Rock

Protagonisti 

XTC


La new wave inglese delle origini ha consegnato al rock molte opere e molti gruppi che hanno dato un considerevole contributo alla sua storia. Ma sono essenzialmente tre le band fondamentali del panorama britannico, che più di altre hanno influenzato decine e decine di musicisti e hanno portato ad evoluzione alcuni filoni di questo genere musicale.


Innanzitutto, i Clash, che partiti dal punk hanno poi condotto un personalissimo lavoro sul rock tradizionale, rinnovandolo inserendo sostanziali elementi di black music. Poi i Joy Division, capostipiti di tutto il dark, che con il loro messaggio musicale, radicato nel rock sanguigno degli anni sessanta, sono rimasti pressoché ineguagliati.


Ed infine gli XTC.

Un discorso compiuto su questo gruppo è alquanto difficile e complesso. L'importanza che hanno avuto nel rock dalla fine degli anni settanta in poi, ma soprattutto nel british pop è senz'altro pari a quella avuta dai Beatles negli anni sessanta, almeno dal punto di vista dei contenuti. Da quello della fama, purtroppo no. Il rock, come fenomeno di massa è anche questo. 


Troppo spesso, presi a seguire i fantasmi di gruppi assai sopravvalutati, che riscossero molto più successo commerciale di loro, il pubblico, ma anche molta parte della critica, non riuscirono a discernere quali fossero stati invece gli artisti da tenere in maggior debita considerazione. 


Inoltre, gli XTC hanno fatto di tutto per restare lontani dalle luci dello show business, limitando le loro apparizioni live solo a inizio carriera, per poi condurre una ricerca musicale attraverso lavori esclusivamente da studio, a causa soprattutto del crollo nervoso di Partridge, che, dal 1982, non volle più partecipare a concerti dal vivo.


Andy Partridge e Colin Moulding come John Lennon e Paul McCartney? In un certo senso, è un parallelo calzante, ma non solo per il fatto di incarnare l'anima dei loro rispettivi gruppi. Quanto soprattutto per il filo musicale analogo intessuto nel corso di tanti anni. Certo è innegabile che gli XTC essendo venuti dopo, senza i Beatles forse non sarebbero neanche esistiti. 


Ma è anche vero che Patridge, Moulding e compagnia non si limitarono alla pura emulazione, anzi il loro discorso musicale è stato del tutto originale e in parte anche più ricco di quello del quartetto di Liverpool, andando avanti con immutata freschezza per molti più anni. Quelle degli XTC non sono solo belle canzoni, sono anche esercizi intellettuali molto raffinati, lavorando in maniera precisa e dettagliata su alcuni aspetti della canzone pop, rinnovandola con gusto decisamente unico.


Quattro sono gli album di questo gruppo assolutamente imperdibili: "Drums & Wires", "Black Sea", "English Settlement" e "Skylarking". Il terzo è forse il disco più bello e raffinato. Originariamente, un doppio vinile dove ogni brano ha una sua essenziale importanza, dimostrando come la semplice canzone pop può evolversi, quando è trattata con diverse influenze. Una sorta di manifesto di certa new wave inglese. Dove troviamo fusi insieme al british, di volta in volta, la psichedelia, la musica etnica, il power pop, il progressive e il semplice rock'n roll. Quindici canzoni semplicemente esemplari.

lunedì 24 aprile 2023

Stanislaw Lem "Solaris" (1961)


Consigli di lettura
 

Stanislaw Lem

"Solaris" (1961)


“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)


Rileggendo "Solaris" dopo molti anni dalla prima volta, non posso non paragonare certi aspetti della storia alle mie vicende personali, sia in relazione ai rapporti umani che erano e non sono più, all'illusione di poter tornare indietro; sia rispetto ai sogni, a certi incubi ricorrenti; sia per quanto riguarda la mia malattia, alle allucinazioni e ai sogni vivi che ad essa erano collegati durante il coma farmacologico. Ma non è di questo che voglio parlare, il mio parallelo è inteso solo a sottolineare la potenza evocativa di queste straordinarie pagine.


Il capolavoro di Stanislaw Lem è stato reso celebre dalle due versioni cinematografiche, quella hollywoodiana del 2002, di Soderbergh, con George Clooney, e quella russa di Tarkovskij del 1972. Il primo è un film tutto sommato abbastanza onesto, ma poco più che mediocre, se confrontato con la precedente ottima versione data da Tarkovskij. 


Ora, già il film di Tarkovskij era un'altra cosa rispetto a questo libro, e, nonostante fosse anch'esso un capolavoro, lasciava, giustamente, perplessi i lettori di Lem. Ed io tra loro. Ma anche Lem stesso, che ebbe a criticarlo molto.

Tuttavia, il regista russo poteva permettersi di avventurarsi in territori abbastanza minati, la materia infatti non è particolarmente traducibile in forma cinematografica. Soderbergh no, compie un'operazione per lo più commerciale. 


Quindi, se non avete letto il libro, dimenticate le versioni cinematografiche, soprattutto, quella del 2002.

Detto questo, scrivere riflessioni critiche sull'opera di Lem è un'impresa quasi impossibile, tanto è ricco il romanzo di significati, simboli, concetti per lo più difficilmente riassumibili con una recensione o con quello che addirittura avrebbe la pretesa di esserlo, come le mie brevi parole. Una cosa è certa: è poetico fino all'inverosimile. 


Insomma, chi liquida la fantascienza con un'alzata di spalle, forse non ha mai letto "Solaris", non è mai stato in contatto con tanta potenza descrittiva e con la perfezione dei dialoghi, rese da questo assai particolare libro di fantascienza. 


Oltre, a essere un romanzo, può essere benissimo, tra l'altro, letto come un saggio, tanto è pieno di filosofia, di psicologia dell'inconscio, di fisica, di matematica e di fisiologia. Lo scrittore polacco opera una pregevole sintesi di tutte queste dottrine.


"Solaris" andrebbe innanzitutto letto, riletto, studiato e meditato a fondo, contenendo, senza esagerare troppo, il significato ultimo dell'esistenza umana.

Non voglio dire che sia il romanzo di fantascienza per eccellenza, ma fa parte di quella rosa di capolavori indiscutibili, senza i quali la fantascienza non sarebbe stata la stessa cosa. 


È comunque il miglior esempio di romanzo che riesca a conciliare la space opera con l'inner space ballardiano. Altri ci hanno provato non riuscendo a raggiungere lo stesso risultato. Inoltre, potrebbe essere catalogato anche nel sottogenere cosiddetto di "hard sf", essendo così pieno di nozioni scientifiche da procurare piacevoli vertigini ai lettori.


Ma è lo spazio interiore il vero protagonista, il viaggio nella coscienza dei protagonisti, nei loro sensi di colpa, la ricerca di un senso all'esistenza umana e il recupero dell'identità attraverso i ricordi e l'amore. Nessuno può essere separato dalla propria coscienza, neanche lo spazio infinito può farlo. 


Anzi qui c'è la presenza dell'oceano pensante di un pianeta sconosciuto, che è pronto a ricordare agli uomini la loro finitezza e il loro inutile dimenarsi alla ricerca di verità scientifiche impossibili, quando ancora non hanno risolto i problemi relazionali con gli altri e soprattutto con sé stessi.


Oltre a questo, è anche altre cose: una satira, a tratti anche comica, del mondo scientifico, perso nella foga e nell'ansia di decifrare a tutti i costi qualsiasi cosa, con le sue beghe interne, la sua produzione teorica fatta di centinaia di migliaia di pagine, di tomi, su tomi, non rassegnato a doversi "inchinare all'ignoto". Una sorta di insensata biblioteca di Babele, con la sua enormità e la sua inutilità.


L'impotenza della conoscenza umana di fronte all'imprevedibile e all'imponderabile è, infatti, un altro dei temi del libro. La storia grottesca della "Solaristica", la branca di scienza inventata dall' "ingegno" umano per giustificare la sua curiosità inestinguibile nei confronti del pianeta, che diventa una religione con tanto di fedeli, con sorprendente analogia con quell'insieme di credenze dogmatiche in cui è degenerata una parte della scienza del nostro mondo.


Come in altre sue opere, vedi per esempio "Eden", Lem affronta, poi, il tema dell'incomunicabilità con intelligenze altre, esterne, extraterrestri, aliene, con tutto ciò di vivente che non sia umano, e lo utilizza anche come metafora dell'incomunicabilità in senso più esteso, tra esseri umani, e della terribile solitudine che ne deriva, ma lo fa attingendo anche all'inesauribile fonte generata dalla speranza. L'uomo in fondo preferisce l'illusione alla sterile, fredda realtà. Ed è sicuramente meglio così.


A me, ancora oggi, piace immaginare Chris Kelvin, lassù da qualche parte nello spazio, da solo, in compagnia del suo unico amico, il pianeta Solaris, in attesa che qualcuno torni a trovarlo. E qualcuno sicuramente arriverà, cosicché Chris potrà di nuovo essere felice.


[La presente edizione della Sellerio è stata la prima con una traduzione in italiano eseguita direttamente dalla versione integrale originaria in polacco, ripristinando quindi i tagli fatti dalla versione in inglese del 1971, tradotta precedentemente in Italia dalla Nord, da Urania, da Mondadori e da altre case editrici.]

sabato 22 aprile 2023

"Il sogno e il cambiamento"


 Pensieri di vita quotidiana

"Il sogno e il cambiamento"


Dedicato con amore agli amici e alle persone care.


Molti di noi coltivano l'illusione che il sogno da realizzare sia legato alla ricerca di noi stessi, del nostro io. Un'identità che non conosciamo e che ci illudiamo di raggiungere con un preciso percorso di crescita che porti al raggiungimento di un obiettivo. Io non credo sia così. Sono convinto che ognuno di noi sia predisposto potenzialmente alla continua crescita interiore, e che non smetta mai di mutare e di sognare.  Ritenere di essere arrivati, sia in senso negativo, che positivo, è come aver rinunciato alla vita. 


Io credo che il problema della ricerca ossessiva di una vaga crescita interiore sia veramente un falso problema.

L'esistenza è fatta di tappe, anche di continue ricadute all'indietro, di dolore, di dubbi e di spezzoni isolati in cui tanti "io" operano in maniera differente. Pensare di avere un io rigidamente strutturato che abbia un senso compiuto, una finalità, è un'altra delle illusioni. 


Non sono mai del tutto quello che penso di essere, ma sono anche quello che appaio agli altri. L'apparire non è sempre, come di solito si crede, solo un'immagine di superficie. Può essere invece sostanza, più sostanza di tante belle costruzioni interiori.

Io sono anche le mie contraddizioni, che ho necessità di accettare e sulle quali lavorare. Io sono la mia continua trasformazione.


Rifiutare la poliedricità dell'io vuol dire condannarsi alla sofferenza. Alla sofferenza dello sforzo interiore che nega sé stesso, sé come singolo individuo. Non posso arrivare ad una sintesi ultima dei miei tanti "io", è uno sforzo titanico che porta solo all'artificio e alla castrazione della spontaneità.


Gli altri non potranno conoscere tutti i miei io, ma neanche io avrò mai modo di averne per intero il controllo. Sfuggirà sempre il senso ultimo dell'estrema mutevolezza dell'essere. E così come cambia la mia struttura caratteriale, allo stesso modo mutano i miei sogni. Alcuni si amplificano, altri crescono, e alla fine ne arrivano sempre di nuovi, in maniera tale che ogni presunta fine venga ulteriormente dilazionata.


E allo stesso modo in cui cambiano i sogni, cambia la mia percezione, la mia visione del mondo, cambia in definitiva, la prospettiva, in base all'esperienza vissuta. Resistere a questi cambiamenti, può portare alla sclerosi del pensiero, al dogmatismo, alla frustrazione e a un inutile irrigidimento, al dibattersi all'interno di una gabbia mentale e ideologica; alla nevrosi, e alla depressione.


L'importante è non smettere mai di sognare, non smettere di sperare e lasciarsi andare alla dolce onda, al continuo flusso del cambiamento interiore e di quello culturale. Solo così possono essere in qualche modo gestiti. Pronto ad affrontare le avversità e la distruttività del male esterno e di quello interno.


La felicità sta nella consapevolezza di qualcosa che dentro di me si modifica e che potrà anche non essere la stessa cosa. In questa consapevolezza sta, di conseguenza, l'essere sempre pronto allo stupore, alla gioia fanciullesca nel ricevere i doni che la vita mi riserva, senza chiudermi mai alla possibilità di essere felice.


[Nell'immagine: "Galatea delle Sfere", Salvador Dalì (1952)]

Derek Raymond "Aprile è il più crudele dei mesi" (1985)


Consigli di lettura 

Derek Raymond

"Aprile è il più crudele dei mesi" (1985)


“Aprile è il più crudele di tutti i mesi, genera lillà dalla terra morta, mescola memoria e desiderio, desta radici sopite con pioggia di primavera.” 

T.S. Eliot, "The waste Land."


Una necessaria premessa: questo libro, un piccolo grande gioiello, è il secondo capitolo della "Serie della Factory", che comprende cinque diversi capitoli.

Si potrebbe dire che, date le tematiche un po' forti, e se si ha timore di essere condizionati da una visione così nera, quest'opera è altamente raccomandata solo agli amanti del genere. D'altronde, il noir è noir, ed è necessario saperne contestualizzare il senso.


Derek Raymond, nato a Londra nel 1931 e morto sempre a Londra nel 1994, è stato sicuramente uno degli scrittori più neri e pessimisti che abbia mai letto, anche se il suo genere non può dirsi solamente noir, ma anche decisamente hard boiled alla James Ellroy. Una via di mezzo, insomma. Le tinte fosche comunque sono tutte proprie del noir.


E quindi come il grande Ellroy, la sua era una visione del tutto cinica e assolutamente cruda della realtà. Tuttavia, Raymond andava oltre, non solo non lasciava speranza, ma il mondo, che descriveva, era come se non fosse in grado di contemplare in nessun modo un'idea pur minima di speranza, anche solo potenzialmente. Pregno di assoluto nichilismo.


Un mondo già da un pezzo al di là del bene e del male, dove le figure che si alternano all'interno delle sue storie sono solo ombre che vagano in un lurido inferno. I sentimenti sono annullati e si respira un'atmosfera claustrofobica, in cui la legge, nella migliore delle ipotesi, è solo un alibi per il riscatto personale oppure l'inerte conseguenza di un ruolo che non può fare a meno di riprodurre se stesso all'infinito, come un rito beffardo e funereo. Perché così va il mondo e non serve a niente opporvisi. Il senso di nausea è debordante e non si può far nulla per porre un argine a tutto questo schifo, solo sopravvivere e a volte più neanche quello.


In questo contesto il protagonista e voce narrante, un sergente di polizia, si muove come un'ombra tra altre ombre, circondato da una cieca, agghiacciante, efferata violenza ed eventi incredibilmenti legati tra loro, che hanno origine, non solo nel mondo del crimine, ma anche in quello della politica londinese.


Derek Raymond ebbe una vita assolutamente spericolata, viaggiando e vivendo nei posti più disparati del globo, arrangiandosi in mille modi ed esercitando mestieri diversissimi: dall'insegnante, al tassista, ad alcune attività ai confini del lecito, come il riciclaggio di automobili e il traffico di materiale pornografico. 


Tutto ciò si rifletteva ovviamente nelle sue opere letterarie, nella sua prosa e nella visione che aveva della realtà, dalla quale non era difficile avvertire anche l'influenza di un certo esistenzialismo tipico di certa letteratura, rielaborato secondo il filtro del romanzo nero e hard bolied, in cui la violenza va oltre ogni pur minimo concetto di sopportazone, facendo tabula rasa di qualsiasi giustificazione logica e razionale. È e può essere solo così, senza nessun altra mediazione.

venerdì 21 aprile 2023

Il recinto dell'informazione


Vorrei provare a scrivere un racconto distopico su quanto si riesca a manipolare il dissenso attraverso i social con l'immissione di notizie sensazionali. La materia a disposizione è davvero ampia. 

Io poi, povero me, non sono provvisto di rilevanti capacità di multitasking, come molti elevati dissidenti vantano, anzi sono alquanto scarsino in questo. Amo prestare attenzione a tutto, ma senza farmi ossessionare da qualcosa in particolare, con la scusa del multitasking da ubermensch.


Sono convinto che nel campo dell'informazione indurre ossessione produca distrazione. E quale miglior elemento di distrazione di quello del sensazionalismo?

Sono dinamiche tra l'altro molto vecchie, studiate e analizzate nei minimi particolari da filosofi del linguaggio e della comunicazione e da spin doctor. 

La nostra è essenzialmente una società dello spettacolo, che i social amplificano a dismisura, operando una catastrofica distorsione della realtà.


Neanche tre anni di sperimentazione di massa sono riusciti ad aprirci gli occhi. Perché c'è chi l'ha vissuta soprattutto come sperimentazione di carattere medico, e gli è sfuggita, ha ignorato, o ha al massimo sottovalutato l'essenza manipolativa a livello di controllo sociale, e la connessa compressione delle libertà. Se no non si spiegherebbero certi pruriti di carattere autoritario in buona parte dell'area del dissenso.


Ogni narrazione riempie in modo abnorme lo spazio del nostro recinto.

Ci trattano, non a torto, come bambinoni mai cresciuti, che dormono ancora abbracciati al peluche, o con la pistola da cowboy sotto il cuscino, con il personaggio dai tratti lombrosiani, da scegliere come nemico o come eroe, a secondo dello schieramento. 

E la battaglia da rollerball virtuale può scatenarsi indisturbata nel recinto.

giovedì 20 aprile 2023

Frank Zappa “The Grand Wazoo” (1972)


Storia del Rock

Frank Zappa

“The Grand Wazoo” (1972)


Una cosa è certa: a Frank Zappa spetta di diritto un posto d'onore tra i grandi compositori del novecento. Se c'è un personaggio nella storia della musica rock, che ha saputo con genialità trascendere i generi e lasciare nella musica del secolo scorso un'impronta indelebile, questo è Zappa.


Una straordinaria carriera durata quasi quarant'anni, durante i quali si è cimentato ai massimi livelli con tutti o quasi i generi musicali: sinfonica, jazz, rock, canzone pop e addirittura stupid song e jingle. Poteva suonare e comporre qualsiasi cosa, come e quando voleva, sicuramente l'unico a poterlo fare. In più, come ogni genio si permetteva lo sberleffo e l'irriverenza.


Un musicista e un compositore trasgressivo, la cui trasgressione non aveva nulla di costruito. Era sempre un gradino sopra le aspettative, pronto a stupire. Uno dei grandi autentici innovatori, di cui non si contano le influenze e le imitazioni.

Una discografia ai limiti dell'assurdo, talmente sterminata da perderci la testa. Quasi impossibile riuscire ad orientarsi.


Zappa in ogni caso si prendeva anche molto sul serio. Questo album, uno dei suoi massimi capolavori, lo dimostra ampiamente. Musica concepita per big band e quasi esclusivamente strumentale, ad eccezione di qualche sperimentalismo vocale in "For Calvin" e nel gustosissimo breve scherzo di "Cleetus Awreetus-Awrigthus".


La prima volta che ascoltai "The Grand Wazoo" ero un imberbe adolescente e rimasi letteralmente folgorato, senza parole di fronte a un miracolo che andava ben oltre la mia comprensione. Col tempo imparai a comprenderne i particolari, i passaggi, la geniale logica compositiva.


Cinque composizioni per lo più in forma di suite, nelle quali musica contemporanea, rock e soprattutto jazz sono miscelati col solito taglio zappiano. Zappa si avvale della collaborazione di un notevole numero di musicisti, tra i quali: Sal Marquez ai fiati, George Duke alle tastiere, Don Preston al moog e Aynsley Dunbar alla batteria.


"Zio Frank" non eccede mai, si pone come musicista tra altri musicisti, il suo ruolo è prevalentemente da compositore e da arrangiatore, anche se non mancano suoi straordinari assoli. Quella che viene fuori è musica raffinatissima, che pur avendo più di cinquant'anni, conserva inalterata la sua freschezza. 


Da segnalare soprattutto: la title track, dal ritmo travolgente e durante la quale si alternano gli assoli di una serie di musicisti; "Eat That Question", dall'andamento jazz rock e caratterizzata dall'indimenticabile piano di George Duke; e infine la dolce "Blessed Relief".

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