CULT MOVIE"Il Buono, il Brutto e il Cattivo" (1966)
Regia di Sergio Leone
Con Clint Eastwood, Eli Wallach, Lee Van Cleef, Aldo Giuffrè, Mario Brega, Luigi Pistilli, Rada Rassimov
Musiche di Ennio Morricone
Questa non vuole essere una vera e propria recensione, quanto un tributo a una storia unica e assolutamente irripetibile. Un tributo a un grande artista, uno dei massimi artisti che il nostro Paese ha avuto nel Novecento.
Ho scelto “Il Buono, il Brutto e il Cattivo” per parlare di Sergio Leone per un motivo molto semplice. Questo è in qualche modo il film manifesto del regista romano, arriva a metà della sua filmografia ufficiale e porta a compimento la “Trilogia del Dollaro”, dimostrando in maniera netta e limpida il suo modo di essere “sovversivo”.
Strana sorte è toccata a Sergio Leone. La crescita della sua fama e della sua influenza sul cinema mondiale è direttamente proporzionale al tempo che passa. Uno dei pochissimi esempi in assoluto. Anzi, la questione è ancor più evidente se prendiamo in considerazione il fatto che c'è stato un periodo in cui, Leone in vita, questi veniva liquidato poco più che come un onesto artigiano del cinema di genere, e i suoi film erano inseriti semplicemente nel sottogenere "spaghetti western". Solo dalla seconda parte della sua carriera in poi si è incominciato a valorizzarne la qualità.
Da un bel po' di tempo a questa parte, invece, molti registi fanno a gara a rivendicare una diretta derivazione del loro cinema da quello di Sergio Leone o quantomeno menano vanto dell'influenza esercitata da questo su di loro.
Tale fenomeno, inoltre, non è limitato solamente a chi del cinema di genere ne fa un motivo di esistenza, o ai soliti Tarantino, Eastwood, Scorsese e De Palma, ma anche ad esponenti tutt'altro che vicini a produzioni affini a quelle del regista italiano.
Tutto ciò assume un'importanza ancora più incredibile, se si considera il fatto che Leone ha agito per lo più in ambito western, con le uniche eccezioni di un film storico mitologico ("Il Colosso di Rodi") e di un epico affresco sull'America degli anni trenta ("C'era una volta in America"). Escluderei dalla sua filmografia sia "Gli ultimi giorni di Pompei", sia "Sodoma e Gomorra", episodi insignificanti, in cui l'apporto di Leone è stato solo di marginale sostegno ad altri registi.
Ma l'influenza dell'opera di Sergio Leone non si esaurisce con il cinema. Vi sono esempi più che chiari anche in letteratura.
È, però, proprio per questo, necessario spostare un attimo la questione. È fuor di dubbio che buona parte dell'influenza esercitata dal suo cinema sia dovuta alle tematiche trattate nei film, ma è anche abbastanza evidente che le capacità di regia di Leone prescindono dal genere.
Credo che ci siano, o ci siano stati, pochissimi altri registi che possano vantare la maestria con cui usava la macchina da presa e un tocco talmente personale ed inconfondibile.
D'altronde, Sergio Leone ha utilizzato il western per lo più come metafora, sia nei confronti del cinema stesso, sia seguendo il suo personale discorso sulla violenza umana e sul potere.
Non a caso anche i due film che esulano dal contesto western, posti ad inizio e fine carriera, completano in qualche modo questa ideale parabola.
Ho scelto, per questo regista, un film che è un po' la pietra angolare della sua produzione. Non oso dire che sia il più bello, ma è senza dubbio il più significativo.
Posto esattamente a metà della sua produzione, "Il Buono, il Brutto e il Cattivo" raccoglie in sé tutti gli aspetti più simbolicamente rilevanti dell'opera di Sergio Leone.
Guardiamo per esempio alla già citata metafora sul cinema: il cinema che guarda se stesso, oltre a farsi guardare, e che moltiplica i punti di vista. La durata del film e la trasformazione di questo in diverse linee narrative, in cui i tre protagonisti, non cessando mai di intersecarsi come fossero un unico personaggio dalla triplice personalità, ne costituiscono una delle chiavi di lettura metaforica.
Una sorta di Giano, non bifronte ma trifronte, in cui appunto la scena finale del cosiddetto "triello" è l'epilogo più simbolicamente logico.
I tempi si dilatano a dismisura e in determinati momenti il fulcro corrisponde all'apocalittica e ossessiva invasione dei primi piani, oppure all'oppressiva cura per i particolari più trascurabili, elemento che verrà poi ripreso e sviluppato ulteriormente in "C'era una volta il West", e che non è stato trattato e non sarà mai più trattato con la stessa efficacia e perizia da nessun altro, eccezion fatta per Alfred Hitchcock.
A tutto questo va unito il contenuto del film.
Ultimo atto della "trilogia del dollaro" con protagonista principale Clint Eastwood, "Il Buono, il Brutto e il Cattivo" è anche momento di passaggio fondamentale per i film che verranno dopo. Punto di svolta tra i cattivissimi "Per un pugno di dollari" e "Per qualche dollaro in più" (quest'ultimo forse, dal punto di vista formale, il film più riuscito di Leone) e i più meditati e politici "C'era una volta il West" e "Giù la testa".
Non a caso è un film dall'ampia complessità strutturale, in bilico tra l'anarchia individualista, antilegalitaria e qualunquista dei primi due della trilogia, e la coralità sociale e politica dei film che verranno successivamente, in maniera particolare "C'era una volta in America".
E poi la parte più delicata di tutto l'impianto: la critica della violenza e del potere, che sarà posta ironicamente come premessa a "Giù la testa" con la famosissima citazione di Mao Tse Tung.
Sergio Leone non se ne fa un particolare cruccio dell'esistenza della violenza. Pensa che questa sia ineluttabilmente insita nella storia umana, ma non degenera mai una in una visione moralistica delle relazioni di potere, né in un cinismo vuoto e inutile. Crede nella legittimità del riscatto da parte dei reietti, ma nello stesso tempo possiede una dose di notevole ironia, che gli permette di rifuggire da qualsiasi enfasi e da qualsiasi semplificazione ideologica.
Si diverte a prendere in giro i suoi due maggiori protagonisti, li alterna a turno nelle parti di carnefice e vittima, per poi precipitarli tragicamente e beffardamente in un viaggio fuori contesto, diretti nelle contraddizioni infernali della Storia, nella violenza allo stato puro, quella più grande di loro, quella della guerra.
Gioca con loro, trascinandoli ai limiti del grottesco, quasi fossero due novelli Stan Laurel e Oliver Hardy, ricordando a tutti, con crudeltà, che il confine tra tragedia e commedia è sempre molto labile; è lì a portata di mano e non ci si può far nulla.
A parte "Il Colosso di Rodi", che non è niente di più che un buon prodotto artigianale, ma già migliore di tanti altri del genere "peplum" (del resto è la sua pellicola d'esordio), i restanti film di Leone sono tutti dei capolavori. Non a caso, da "Per un pugno di dollari" in poi, potè contare sulla perfetta intesa con Ennio Morricone, così come, per citare ancora il caso di Hitchcock, il mitico Alfred aveva ottenuto le cose migliori con l'ausilio di Bernard Hermann.
Musica e cinema che si fondono in un'unica grande sinfonia, composta da sei movimenti, tanti quanti sono i gioielli dell'indimenticabile Sergio Leone.