Consigli di lettura
Vladimir Nabokov
"Ada o Ardore - Una cronaca familiare" (1969)
«“Tutte le famiglie felici sono più o meno diverse tra loro; le famiglie infelici sono tutte più o meno uguali” dice un grande scrittore russo al principio di un famoso romanzo (Anna Arkadievitch Karenina, trasfigurato in inglese da R.G. Stonelower, Mount Tabor Ltd., 1880). Questa asserzione ha poco, se non niente, a che vedere con la storia che verrà ora narrata, una cronaca familiare, la prima parte della quale è, forse, più vicina a un'altra opera di Tolstoj, Detstvo i otrocestvo (Childhood and Fatherland [Infanzia e patria], Pontius Press, 1858).»
[N.B.-citazione di Tolstoj intenzionalmente capovolta]
«Il nostro modesto Presente è, allora, il lasso di tempo di cui si è realmente e direttamente consapevoli, con l'indugiante freschezza del Passato ancora percepita come parte della sua immediatezza […] non ha nessuna importanza che noi non possiamo mai godere del vero Presente, che è un istante di durata zero, rappresentato da una grossa macchia, così come il punto senza dimensioni della geometria è rappresentato da un bel punto di inchiostro su un palpabile foglio di carta.»
«La vita di un individuo, secondo Ada, consisteva di un certo numero di classificazioni: le «cose vere» erano rare e non avevano prezzo, le «cose» e basta formavano il materiale ordinario della vita; e poi c'erano le «cose fantasma», altrimenti dette «foschie», come la febbre, il mal di denti, le delusioni atroci, e la morte. Se tre o più «cose vere» si verificavano contemporaneamente si formava una «torre», se si verificavano in un'immediata successione di tempo si otteneva un «ponte». Le «vere torri» e i «veri ponti» erano le gioie della vita, una serie di torri equivaleva al rapimento supremo che, però, non si verificava quasi mai. In alcune circostanze, in una certa luce, una «cosa» neutra poteva sembrare, o perfino diventare, realmente «vera», o anche, per converso, poteva coagularsi in fetida «foschia». Se capitava che le gioie e le assenze di gioia si mescolassero, simultaneamente o per gradi lungo la rampa della loro durata, ci si trovava di fronte a «rovine di torri» e «crolli di ponti».»
Questa è una recensione esagerata, con aggettivi esagerati, per un libro esagerato e minuziosamente "esasperante", ma in un senso, per così dire, positivo. Perché si può, e a volte si deve, essere anche dolcemente esasperanti.
Nabokov in questo era un genio assoluto. Un genio letterario di un'originalità disarmante, non solo per quello che scriveva, ma soprattutto per come lo scriveva.
Questa è una recensione scritta con grande difficoltà, per miei limiti personali, ma anche perché una qualsivoglia recensione mal si adatta alle opere di Nabokov, tanto sono ricche di particolari e sfumature difficilmente riassumibili e questo romanzo lo è ancora di più.
Una prosa sublime che è un incanto, col suo estremismo descrittivo e con le sue coloratissime iperboli. Un incanto che ti prende, ti rapisce e ti conduce per mano in dimensioni inesplorate.
Leggere Nabokov non è mai facile. Pretende un'intensa concentrazione nel momento in cui ci si abbandona alla sua lettura. Coi suoi continui estenuanti riferimenti letterari, culturali e artistici, con le sue ossessive annotazioni, le torrenziali divagazioni e con il contrappunto dei suoi interludi.
Magari, è necessario anche dover rileggere più volte, non solo per capire, ma per assaporare meglio, con un fremito di piacere, che solo la lettura di grandi scrittori può dare.
Lo scrittore russo era un autore autenticamente fuori dagli schemi, e in questo romanzo lo conferma in maniera radicale.
"Ada o ardore" è qualcosa di inesplicabile, forse addirittura più penetrante di "Lolita", l'altro suo grande capolavoro del periodo americano, senz'altro più folle.
È un romanzo totale e totalizzante. Una provocazione letteraria di grande spessore.
A introduzione della storia, c'è un albero genealogico, nudo e crudo, che attraversa un arco di tempo di qualche secolo, dal diciottesimo, fino agli inizi del ventesimo. Ma con una particolarità: il mondo non è il nostro.
All'inizio del libro, si viene travolti da una vertigine, perché non si riesce a capire di che luoghi geografici si stia parlando, di quale contesto, e che personaggi siano quelli. Si resta completamente disorientati. "Ada o ardore" ha tutto l'aspetto di un romanzo ucronico e di universi paralleli con trovate steampunk, anche se ogni definizione è limitante. Perché potrebbe anche essere una saga familiare, un romanzo di formazione, un dramma sentimentale, un romanzo erotico su un amore proibito, un omaggio al grande romanzo ottocentesco, con chiari riferimenti a Tolstoj, Dickens, Dostoevskij, Puŝkin, Henry James e Proust, se non fosse per il fin troppo esplicito, voluttuoso, anche se incredibilmente poetico, contenuto erotico.
È tutto questo insieme. Però è anche molto di più: è un libro scandaloso, ma nel senso più ampio del termine. Scandaloso innanzitutto perché abbatte le convenzioni letterarie.
Il tutto condito dalla prosa travolgente, magnifica, eccitante ed eccitata, lussureggiante, perversa, allucinata, gotica, paradossale fino all'inverosimile, con un amore maniacale per il dettaglio, e con continue citazioni letterarie, deliziosamente e abilmente contraffatte, ma prese da autori reali del nostro mondo.
Il romanzo si apre con la famosa citazione di Tolstoj sulle famiglie felici e infelici, ma esattamente capovolta, la cui ironia ha come bersaglio le traduzioni letterarie che sovente deformano i concetti, ma anche per annunziare che il mondo ivi narrato non è il nostro.
La storia d'amore tra Ada e Van è il leitmotiv che fa da sfondo al romanzo, e che si protrae per una vita intera.
Tra tappeti volanti, immaginifiche larve, misteriose macchine, una flora lussureggiante e complice, avviene l'incontro con un inevitabile andamento voluttuoso.
Tutta la prima parte, di gran lunga la più estesa, è dedicata alla minuziosa descrizione dell'estatico, "impudico", ma nel contempo innocente, innamoramento preadolescenziale dei due bambini, e più tardi, di quello, con accenti decisamente più perversi, dei due ragazzi.
Frequenti sono i richiami a "Lolita". La narrazione in terza persona dell'autore sfuma in quella preponderante del primo protagonista Van Veen, un racconto senza una delimitazione certa, e a sua volta, alternando la terza e la prima persona, e in quella delle immaginarie annotazioni di Ada.
Così, veniamo a scoprire che i luoghi hanno nomi diversi, che le nazioni si estendono oltre i loro limiti, che i popoli vivono entro diversi confini da quelli noti a questa nostra dimensione, si mischiano e si scambiano di posto. Si favoleggia che la nostra Terra sia un'altra versione della Antiterra, il mondo di questo romanzo che sarebbe invece quello reale, mediante la finezza di un abnorme ed efficace capovolgimento.
Quando le persone muoiono, una comune credenza vuole, "ovviamente", che finiscano su Terra.
Per lo più, l'azione si svolge in un immaginario Estotiland Orientale, una parte del Canady, un mondo che è un insieme di Russia, Francia, Inghilterra e America, che è poi una rielaborazione immaginaria della regione reale così denominata, che appare nella Carta di Zeno, una mappa dell'Atlantico del nord del sedicesimo secolo, e che comprendeva i territori del Labrador, del Quebec e di Terranova, regioni attuali del Canada orientale.
Probabilmente, questo espediente narrativo rispondeva alla proiezione di un desiderio di Nabokov, appunto, su Russia, Francia, Inghilterra e America, riunite insieme. Il territorio che invece corrisponde con qualche approssimazione alla Russia di Terra si chiama Tartaria.
Non sono comunque molte le descrizioni di questo universo che concede lo scrittore ai lettori, lasciandole in buona parte alla loro immaginazione, facilitata dalla forza suggestiva della sua narrazione.
Ma non è un esercizio fantascientifico pretestuoso fine a sé stesso. È invece il desiderio di ricreare un mondo e un tempo, adatti alle speculazioni filosofiche di cui è caratterizzato il romanzo, all'ambigua duplicità dell'esistenza, e che tornano più volte tra le sue pagine, in particolare quelle sul Tempo e sullo Spazio, alle quali è dedicata quasi per intero la quarta parte, con il libro di Van Veen la "Tessitura del Tempo".
Era il modo in cui Nabokov cercava di rendere una pur vaga dimensione del suo immaginario, delle sue percezioni rispetto alla realtà. Della futilità e, al tempo stesso, della concretezza della vita.
Tutto ciò stimolato ancor più dalla sinestesia (ossessiva associazione di due parole appartenenti a due sfere sensoriali diverse) di cui lui stesso autore si diceva affetto.
Con la seconda parte, cominciamo a capire meglio le differenze tra Antiterra (anche detta Demonia) e Terra, grazie al riferimento a un romanzetto di fantascienza "Lettere da Terra", scritto da un Van ormai non più adolescente, nel quale immagina la nostra Terra.
Intanto, dopo una pausa di qualche anno, e il racconto delirante della conseguente separazione, la storia tra i due riprende con contorni ancora più inquietanti, con un primo inaspettato, provvisorio, drammatico epilogo.
Con la terza, quarta e quinta parte, via via sempre più brevi, ma sempre più intense, il romanzo si conclude.
Lo scrittore russo crea un universo letterario originalissimo e personaggi di grande spessore, senza, tuttavia, prendere parte per nessuno di loro, come aveva già fatto anche in "Lolita". Non concede al lettore di empatizzare. Resta sempre in bilico tra la doppia prospettiva.
Questo romanzo è, infatti, anche un luminoso, decadente, impietoso, ma pur tuttavia, in qualche modo, apologetico affresco della classe aristocratica e di quella alto borghese con i loro vizi, manie, ipocrisie e splendori, a cavallo tra due secoli, aldiquà e aldilà della linea temporale. Aspetti che lo scrittore conosceva molto bene, date le sue origini.
Il suo sguardo è distaccato. Cosa che gli permette di evitare qualsiasi moralismo. Uno sguardo da entomologo, attività che, tra l'altro, Nabokov aveva realmente praticato.