giovedì 19 settembre 2024

Anthony Burgess, “Arancia meccanica” (1962)

 


Classici


Anthony Burgess, “Arancia meccanica” (1962)


«Essere buoni può non essere affatto bello, piccolo 6655321. Essere buoni può essere orribile. E mentre te lo dico mi rendo conto di quanto sembri contraddittorio. So che passerò molte notti insonni per questo. Che cos’è che Dio vuole? Dio vuole il bene o la scelta del bene? Un uomo che sceglie il male è forse in qualche modo migliore di un uomo cui è stato imposto il bene?»


Non tutti sanno che “Arancia Meccanica” di Kubrick nasce come adattamento cinematografico di questo romanzo. In pochissimi sanno che prima di Kubrick, Andy Warhol ne diresse una riduzione in forma di cortometraggio, che non so quanti abbiano avuto la “fortuna” di vedere. Io non lo conosco.

Mentre, però, il film di Warhol, da quel che ho letto, modifica completamente la trama, mediante un’operazione minimalista, quello di Kubrick gli resta fedele assumendo linguaggio e storia, ma esaltandone la componente visiva.


L'ultraviolenza è una filosofia di vita, è la pretesa di voler rendere più palese, attraverso l’applicazione di un diverso codice comportamentale, ciò che la bruta realtà già regola con l’abuso della prevaricazione, dell’arbitrio e della sopraffazione. E proprio per questo ogni regime organizzato, legittimo o illegittimo, statuale e non, riesce sempre, alla lunga, a essere molto più crudele di qualsiasi “ganga” di criminali adolescenti.

Chi avrà visto il film, si renderà conto leggendo il romanzo quanto le due rappresentazioni siano legate.


A conferma di questo legame, come appendice al libro, ci sono una breve testimonianza dell’autore e un’intervista a Kubrick.

Credo che la maggior parte dei lettori di “Arancia ad orologeria”, questo il titolo del romanzo anche in italiano prima dell'uscita del capolavoro di Kubrick, lo abbiano letto come me dopo aver visto il film. Ciò condiziona molto la lettura, e questo ovviamente avviene in qualsiasi altro caso analogo. La cosa qui è ancora più accentuata per l’evidente somiglianza tra libro e pellicola.


Lo scrittore, così come anni dopo il regista, mandano un messaggio chiaro e ben definito a favore della libera scelta, non si può imporre la scelta di essere buoni, le persone devono avere la libertà di poter scegliere assumendosene la responsabilità. Eppure, il messaggio in molti casi è stato frainteso. La rappresentazione della violenza in modo esplicito, come cerca di chiarire Burgess, non va intesa in senso di compiaciuta giustificazione, ma si rende necessaria per poter cogliere il messaggio complessivo dell’opera.


In fondo, se la rappresentazione del protagonista, come afferma anche Kubrick, non fosse stata resa in maniera così estrema e realistica, magari stemperando la malvagità del protagonista, la reazione di rifiuto dello spettatore alla Cura Ludovico non sarebbe stata completa ma molto più relativizzabile. Mentre l’intento era proprio quello di provocare un rifiuto assoluto sul metodo, a prescindere da quanto fossero cruenti i delitti.


Considerato ciò, non è casuale che uno dei personaggi del romanzo sia uno scrittore che sta scrivendo un libro intitolato proprio “Arancia meccanica”, come non è casuale lo stupro della moglie, visto che anche la moglie di Burgess subì violenza sessuale a Londra nel 1942, da tre disertori americani, durante i bombardamenti.


Kubrick spiega anche alcune cose circa le varie interpretazioni del film, così come anche del libro, che vanno, sì, intesi in senso letterale, ma che possono anche avere una spiegazione metaforica e simbolica dell’ultraviolenza e della Cura Ludovico: il passaggio da stato di natura a civilizzazione, una decodificazione che provoca il meccanismo inconscio di identificazione con Alex.


Kubrick ci tiene a evidenziare anche un punto di vista interessante offerto dalle forme di rappresentazione della realtà, quello di un’accusa volta alla strumentalizzazione degli individui da parte delle due tendenze politiche e ideologiche opposte, entrambe autoritarie: di disprezzo per l’umano, quella di destra, rappresentata in “Arancia meccanica” dal governo, e quella di sinistra, dei presunti riformatori.


Ma non ci troviamo di fronte solo a un’analisi duramente critica del tradizionale potere politico, un pericolo ben peggiore viene dallo scientismo, senza dubbio molto più inquietante e potenzialmente più distruttivo. Infatti, ciò che potrebbe rendere accettabile la Cura Ludovico dall’opinione pubblica è che avrebbe basi sperimentali solide, che sia efficace nel raggiungimento degli obiettivi e che sia superfluo tener conto degli scrupoli di natura etica.


Il film differisce sostanzialmente dal libro solo per il finale. In una prima edizione, quella letta da Kubrick, non era stato aggiunto l’ultimo capitolo che poi è anche quello presente nella traduzione italiana. Successivamente, si presume che, sotto insistenza dell’editore, Burgess si sia lasciato convincere a cambiare il finale, che ovviamente, non anticiperò per rispetto di chi ancora non ha letto il libro, e che ha  lasciato perplesso il regista, che lo ha letto solo anni dopo l’uscita del film.


Anthony Burgess in questo romanzo fa sfoggio della sua arte di glottoteta, colui cioè che crea linguaggi artificiali. Il Nadsat è la lingua inventata dallo scrittore, derivante dall'inglese con influenze dal russo.

A proposito del linguaggio usato, è stato più che eccellente il lavoro di Floriana Bosi, la traduttrice infatti riuscì a rendere molto bene l'intenzione di Burgess, ma arricchendola con locuzioni italianizzate, derivate dai nostri dialetti. La prima edizione di Einaudi è del ‘69, La mia è una ristampa del 2004.

Un glossario inserito in appendice, sarebbe stato più che utile. Si può comunque trovare qui.


La manipolazione linguistica che tenta Burgess in questo libro ha del sensazionale, vista soprattutto l’epoca, ed è per dei versi affine a quella di Bukowski. Ma è più radicale, più di avanguardia, assumendo il punto di vista di Alex, voce narrante, presenta da subito al lettore qual è la percezione di una mente perversa, che attraverso la narrazione gergale, delimita i confini di un universo, al quale sono estranee le convenzioni sociali del mondo normale.


La rappresentazione grottesca, crudele, caricaturale, paradossale e persino ironica della realtà che caratterizza queste pagine, gli conferisce un sapore molto particolare, surreale e paradossalmente poetico. Tuttavia, rende il racconto di Alex assai credibile, anche se inserito in una sorta di universo fantastico di un futuro non ben definito, un mondo assurdo delle coincidenze. È un po’ quello che accade in altri universi distopici, è la stessa dimensione alienata, ma coerente di “1984”, del “Mondo nuovo” e di “Fahrenheit 451”.

È un mondo ottuso, quasi del tutto privo di umanità quello di Alex.


E così il “gergame moschetto” (il Nadsat) coi suoi termini è parte integrante dell'universo: cinebrivido, planetario, ciangotta, truglio, locchiare, soma, martino, mottata, mammola ecc. sono il corrispettivo dei principi della neolingua orwelliana. 

Le sublimi composizioni di musica sinfonica di Bach, Beethoven, Mozart e Haendel si inseriscono in questo contesto malato, degradate a volgari strumenti di tortura della Cura Ludovico, che è l'apoteosi dell'ultraviolenza che scorre come un fiume in piena nel corso di tutto il libro.


La più inquietante parte è, infatti, quella dove viene descritta minuziosamente la tortura della Cura Ludovico, a cui viene sottoposto Alex, con la sua graduale discesa negli inferi del disumanizzante ricondizionamento.

Il “Vostro Umile Narratore” Alex è in fondo un povero Cristo, tradito due volte, e messo in croce per il sacrificio di una nuova redenzione dell'intera umanità, verso il Bene, verso la più completa alienazione, diventando «il primo diplomato del nuovo istituto Statale per la Redenzione dei Criminali.» 


Ma nella vita reale non esiste redenzione, non c'è perdono per chi ha sbagliato, nonostante le buone intenzioni.

Il sacrificio è assoluto e senza alcuna possibilità di salvezza.

E anche quella che può apparire tale si paga con l’omologazione.

La parabola esistenziale di Alex all’interno di queste pagine fa sì che il libro possa benissimo essere considerato anche come un crudele e ambiguo romanzo di formazione che traghetta un adolescente nell’età adulta.


«Poi, fratelli, venne. Oh, estasi, estasi celeste. Giacevo tutto spalandrato verso il soffitto, il planetario sulle granfie, fari chiusi, truglio aperto per la beatitudine, snicchiando il fiotto di suoni meravigliosi. Oh, era magnificenza e magnificità fatte carne. I tromboni sgranocchiavano oro rosso sotto il mio letto, e dietro il planetario le trombe fiammeggiarono argento per tre volte, e là vicino alla porta i timpani rotolarono dentro le mie viscere e poi uscirono e si sgretolarono come tuoni di zucchero. Oh, era la meraviglia delle meraviglie! E poi, come un uccello dei più rari che vorticava metalceleste, o come vino d’argento che scorreva dentro una nave spaziale, con la gravità che non aveva più senso, arrivò il violino solista sopra tutti gli altri archi, e quegli archi erano una gabbia di seta intorno al mio letto. Poi il flauto e l’oboe perforarono come vermi di platino la spessa, grossa caramella oro e argento. Ero in piena estasi, fratelli.»


«E la Nona fu, O fratelli. Tutti cominciarono a uscire zitti e cheti mentre io stavo lì a snicchiare quella bellissima musica coi fari chiusi. Il Min disse: - Bravo, bravo ragazzo, - battendomi la granfia sulla mestola, e poi pistonò via. Rimase soltanto un martino che disse: - Una firma qui, per piacere -. Io aprii un momento i fari per firmare senza sapere cosa stavo firmando e anche fregandomene di saperlo, O fratelli. Poi fui lasciato solo con la gloriosa Nona di Ludwig van.

Oh, era magnificenza e gnamgnamgnam. Quando arrivò lo Scherzo locchiai molto chiaramente me stesso che correvo e correvo su patte tipo luminose e misteriose tagliando l’intera biffa del mondo scricciante con la mia lisca tagliagola. E l’adagio e l’ultimo movimento cantato dovevano ancora venire. Ero guarito davvero.»

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