sabato 30 settembre 2023

George Woodcock, "L'Anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari" (1962) [Recensione, prima parte]

 


Consigli di lettura


Classici della saggistica 


George Woodcock, "L'Anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari" (1962)


[Recensione, prima parte]


Questa recensione sta venendo insolitamente lunga, per cui ho deciso di dividerla in più puntate, d'altronde il testo, per la sua fondamentale importanza, merita particolare attenzione. Questa è, quindi, la prima parte.

Per libri di questo genere, e quando se ne renderà necessario, la formula verrà ripetuta anche in futuro.


«Gran parte di quell’ordine che regna fra gli uomini non è effetto del governo. Ha le sue origini nei princìpi della società e nella naturale costituzione degli uomini; esisteva prima del governo, e continuerebbe ad esistere se la formalità del governo fosse abolita. La mutua dipendenza e il reciproco interesse dell’uomo per l’uomo, e di ogni parte della comunità civile per l’altra, creano quella grande catena di rapporti che la tiene insieme. Il proprietario terriero, il contadino, il manifatturiere, il mercante, il commerciante, tutti insomma, qualunque professione esercitino, prosperano grazie all’aiuto che ricevono gli uni dagli altri, e dal tutto. L’interesse comune regola le loro occupazioni e forma le loro leggi; e le leggi che l’uso comune ordina hanno un’influenza più forte che le leggi del governo.»

Thomas Paine (1776)


«...gli anarchici negano il diritto della maggioranza di imporre la sua volontà alla minoranza: il diritto non sta nel numero ma nella ragione; non si fa giustizia contando i voti, bisogna cercarla nel cuore degli uomini.»

George Woodcock


George Woodcock, scrittore e intellettuale anarco-pacifista canadese, pubblicò questo saggio, che oserei definire imperdibile, nel 1962. L'unico vero limite del libro è proprio questo (anche se ovviamente non imputabile all'autore), dato che esclude tutto il periodo successivo. Resta comunque uno strumento di analisi assai prezioso, gli aspetti teorici in comune del pensiero e del movimento anarchico sono, d'altronde, più o meno gli stessi in tutte le epoche.


Quella del saggista canadese è una storia dell'anarchia molto ragionata, in cui, con uno sguardo assai appassionato, vengono esposti pregi e difetti di alcuni singoli pensatori, in cui viene tentata una sintesi del cammino intrapreso e la storia dei movimenti anarchici a livello internazionale e nei vari paesi.

La prosa è brillante e il testo assai scorrevole, e nello stesso tempo lo scrittore canadese riesce a fornire un coerente e completo panorama d'insieme.


Già dal Prologo, primo capitolo del libro, Woodcock indica quale sarà l'oggetto della sua ricostruzione storica, un'impresa non certo semplice: trovare una definizione certa che stabilisca i limiti, entro i quali si può parlare di Anarchia, a dispetto di quanti danno ai termini di anarchia, anarchico e anarchismo una valenza denigratoria, o a quanti la definiscono sommariamente come negazione dell'autorità e lotta contro ogni sua forma.


Woodcock, invece, sostiene che questi confini possono essere rintracciati nell'enorme area che esprime la volontà di distruggere e ricostruire un mondo migliore, dall'abbattimento dell'autorità per favorire la nascita di una società giusta all'insegna della cooperazione tra individui. Nulla a che fare col nichilismo: il più grande equivoco sul concetto di anarchia, e che ancora oggi molti cercano di sostenere senza avere nessun riscontro oggettivo, ma solo con il sostegno di rozzi pregiudizi, e indicando espressioni del tutto marginali e per buona parte estranee all'idea complessiva di emancipazione e di fratellanza di cui è colma la storia del pensiero e dei movimenti anarchici.


Così come è sbagliata l'equazione tra anarchismo, violenza e addirittura terrorismo, anche perché tra gli anarchici, fin dalle origini, vi è stata tutt'altro che unanimità sui mezzi atti a raggiungere la società ideale. E persino quelli, non certo la maggioranza, che concedevano legittimità all'uso della resistenza e dell'atto violento, ne hanno sempre parlato come triste necessità. Nessun feticismo della violenza, dunque. Il fine non è la ribellione in sé, ma la libertà individuale.


Da qui, anche l'impossibilità di definire una sommaria teoria anarchica, considerate le caratteristiche non dogmatiche del concetto stesso. E da qui anche i pregiudizi di chi è ostile per partito preso, di chi è estraneo o sottovaluta la fondamentale importanza delle questioni sulla libera scelta individuale, comuni in linea di massima a tutte le correnti dell'anarchismo.


Altro elemento comune agli anarchici è la scarsa importanza che danno alla struttura organizzativa, e la piena e completa avversione per quella partitica, forma che riproduce automaticamente e inevitabilmente dinamiche fortemente autoritarie, ne negano quindi senza alcun dubbio la necessità. Proudhon diceva che «tutti i partiti senza eccezione, nella misura in cui si propongono la conquista del potere, sono varietà dell’assolutismo».


Due sono le cose, invece in sostanza, su cui essenzialmente sembrano dividersi i libertari: l'uso della violenza e l'organizzazione economica, anche se su quest'ultima l'idea generale è quella basata sulla cooperazione tra individui. Questi aspetti vengono approfonditi nella parte del libro dedicata ai pensatori e ai movimenti. E quindi ci tornerò nelle puntate successive.


Alcune considerazioni però accomunano tutte le correnti anarchiche: la prima è la natura sociale, in quanto tutti gli uomini potenzialmente sarebbero portati per natura a favorire la concordia e la libertà.

Non è, quindi, l'Anarchia a creare caos, ma l'autoritarismo di chi impone delle leggi, che ostacolerebbero il libero e ordinato evolversi della natura umana.


Per questo, gli anarchici sono anche contrari al concetto di utopia in senso stretto: la costruzione di una società perfetta costringerebbe l'umanità a cessare proprio questa continua evoluzione individuale, che non ha alcun fine ultimo e che sostanzialmente non termina mai, e la chiuderebbe di fatto in un distopico "paradiso terrestre".


Sostanziale è, quindi, la differenza tra anarchici e marxisti. Gli anarchici non credono nel progresso, nel sol dell'avvenire dell'utopia. Per cui, non sono progressisti in senso stretto, credono nel recupero del passato, soprattutto relativamente al senso comunitario proprio dei contadini, degli artigiani e delle libere arti. Ma non sono reazionari, né regressivi, l'evoluzione umana prescinde dal progresso industriale, tanto caro ai marxisti, alla loro utopia dello Stato socialista e alla dittatura del proletariato.

Il marxismo punta alla conquista del potere al fine di giungere al comunismo realizzato, l'anarchismo all'estinzione del potere e dello stato.


Si potrebbe supporre, quindi, aggiungo io, che sono gli anarchici i veri critici della modernità e gli autentici nemici del transumanesimo senza essere reazionari. Anzi, essendo nello stesso tempo anche nemici acerrimi della reazione, dato che questa si iscrive nel novero dall'autoritarismo, con posizioni in genere apparentemente contrarie, ma speculari ai progressisti, in quanto essenzialmente arbitrarie e con tendenze alla tecnocrazia, come quelle dei loro "avversari".


Gli anarchici, di conseguenza, sono fermamente contrari alla democrazia come forma di governo e come concezione istituzionale, subdola fucina di autoritarismo, che impone il potere della maggioranza e schiaccia la minoranza, e con essa il singolo individuo. 

L'individuo ha diritto naturale all'autodeterminazione, senza doversi sottomettere a nessun potere collettivo. 

Però, attenzione. Woodcock distingue tra lotta per la libertà e contro l'autorità, che affonda nei millenni, e nascita del movimento politico anarchico, che vede la luce nel XIX secolo. Ma questo lo vedremo nelle prossime puntate.


[continua]

[prossima puntata: le origini, Godwin, Stirner e Proudhon]

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