lunedì 2 ottobre 2023

Dino Buzzati, "Il grande ritratto" (1960)

 


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Dino Buzzati, "Il grande ritratto" (1960)


«Dapprima, a un distratto ascolto, non si percepiva niente. Poi, a poco a poco, dal silenzio stesso usciva una impalpabile risonanza. Era come se dall'intero complesso della macchina, dalla vastità totale dell'apocalittico vallone, scaturisse un brusio di vita, vibrazione delle profondità, irraggiamento indefinibile. Lentamente, nelle attonite orecchie, si formava un rombo melodioso di una corposità così tenue che si restava in dubbio se fosse vero o suggestione. Forse un respiro immenso che saliva e scendeva lentamente, sovrana onda di oceano, che ogni tanto si spegneva con rimescolii gioiosi nelle cavità delle lisce scogliere. O forse era soltanto il vento, l'aria, il movimento dell'atmosfera, perché mai era esistita al mondo cosa simile che era insieme rupe, fortilizio, labirinto, castello, foresta e le cui innumerevoli insenature di innumerevoli forme si prestavano a mai udite risonanze.»


«Al fresco vegetale, il sudore della corsa le si raffreddò sul corpo nudo. Ebbe un brivido.

Restò il grande silenzio meridiano dell'alpe con il mormorio, nelle sue profondità, della vita che in certo modo trionfava là, sui prati abbandonati al sole, giovani e freschi, nella gioia della prima estate.

Ma, confuso con questo brulichio di infinitesime voci, un altro suono.

Anch'esso vasto, indefinibile, fatto di una quantità innumerevole di particelle che formavano un coro di sussurri, soffi, scatti, battiti, tremiti, strisciamenti, esili fischi, sospiri, remoti tonfi, echi di lontane cavità in vibrazione, soffice vorticare di ruotismi, fruscii di condutture, flussi viscosi, elastici contatti. La voce dell'automa, del Numero Uno, sterminata creatura artificiale adagiata sul paesaggio.»


Dino Buzzati è stato uno scrittore dallo stile inconfondibile, ma dal notevole eclettismo. 

Si è cimentato, nel corso della sua esistenza, con racconti e romanzi, in diversi generi letterari: fantastico, gotico, thriller, mistery, horror, crime, surrealismo, mainstream, e sempre ad alti livelli, con grande classe. In poche parole, un autentico maestro della letteratura del Novecento.


Questo invece è il suo romanzo di fantascienza, uno dei primi della fantascienza italiana contemporanea. Un romanzo sorprendente, dall'atmosfera straniante, dickiano e ballardiano insieme, anticipatore, in parte perfino del cyberpunk.

È un libro poco noto e ingiustamente sottovalutato, considerato, a torto, minore nella produzione letteraria di Buzzati. Ed è invece intensamente filosofico e di notevole profondità.


L'incipit del romanzo potrebbe portare facilmente alla mente quello del "Processo" di Kafka, infatti la vicenda del professor Ermanno Ismani, inizialmente, ha più di qualche analogia con quella di Josef K. Ma chi ama Buzzati sa benissimo quanto riesca ad essere di un'originalità unica, anche "Il grande ritratto" è lì a dimostrarlo senza alcun dubbio, con uno stile e una trama che hanno dello stupefacente.


Lo scrittore inoltre, più che giustamente, non amava il paragone con Kafka, in quanto, il più delle volte, veniva rappresentato come se lui ne fosse un semplice emulatore, cosa che lo ha ossessionato, così diceva, per tutta la vita, e su cui certa critica insisteva pervicacemente.

È bene comunque precisare che questo racconto prende poi una strada del tutto diversa da quella del capolavoro del narratore praghese.


"Il grande ritratto" è stato pubblicato nel 1960 ed è ambientato nel 1972. Dodici anni nel futuro.

I luoghi sono del tutto di fantasia anche se con generici riferimenti a paesi reali.

L'azione sembra in ogni caso ambientata in Italia. La suggestione iniziale ha molti aspetti in comune con "Il deserto dei Tartari": un mistero aleggia nell'aria e nessuno sa bene di cosa si tratti.


Ismani si sente preso in una sorta di morsa e non riesce a comprendere perché la scelta di condurre un esperimento di carattere militare, per la progettazione di qualcosa di misterioso, sia caduta, insieme a pochissimi altri, proprio su di lui.

Un segreto gira attorno ad una storia inquietante e irreale che circonda il famigerato Centro della zona 36, in un paesaggio isolato di montagna. 


La zona è controllata e nello stesso tempo anche i controllori sembra che lo siano a loro volta da qualcun altro, ed è protetta da un'imponente muraglia e da una fitta nebbia, con saracinesche e portoni che si alzano e si abbassano, con mura che si susseguono le une alle altre, alla stregua di un gioco di scatole cinesi.

Ismani viene condotto lì con sua moglie.


Nella zona si svolgono discussioni elettrizzate attorno al segreto, senza svelare nulla, con reticenze e deviazioni dal discorso, che, in un primo momento, creano uno stato di aspettativa parossistico. In un'atmosfera teatrale, molto più che surreale, quasi fuori dal tempo e da ogni luogo conosciuto, i personaggi si affrontano in un' incontinente sfida verbale. Poi, all'improvviso, lo svelamento.


Il segreto è custodito dietro una struttura inquietante, avvolta in un'atmosfera spettrale, che al suo interno contiene l'indicibile, l'inaudito, l'osceno mostro meccanico.

Tra visioni metafisiche, scrupoli di natura etica, si profila all'orizzonte il transumano, l'intelligenza artificiale, un nuovo linguaggio, prodotto dall'infelice alienazione di un uomo, soffocato dal dolore. 


Un amore che si trasforma in ossessione e da ossessione in delirio.

La macchina viene elevata a ideale, la sostanza inerte prende vita, l'incubo si materializza, la pietra e il metallo anelano alla distruzione della carne.

Il contrasto tra la bellezza mozzafiato dei luoghi e l'orrore rende ancor più l'idea dell'abominio, con un angoscioso, cupo e definitivo destino.

La potenza descrittiva di Buzzati raggiunge vertici di sublime poesia.


Tutta la storia viene tenuta insieme dalla sferzante e gelida ironia che ha come bersaglio principale il mondo scientifico, pronto a manipolare anche la vita, pur di sottomettere persino i sentimenti. 

Il romanzo è anche un apologo sui ricordi e sulla memoria, di quel che resta effettivamente e di quanto va perduto irrimediabilmente, a prescindere dai disperati e maldestri tentativi dell'essere umano di farli tangibilmente rivivere.


La narrazione è contestualizzabile all'epoca in cui il racconto è stato scritto. Seppur caratterizzata dall'eleganza e dal genio di Buzzati, è sempre fantascienza anni sessanta, anche se scritta con stile raffinato e colto. 

Tuttavia, il sapore dell'anticipazione è inconfondibile e impressionante, e il finale lascia completamente inebetiti, per cui restano un profondo senso di vertigine e un vuoto incolmabile.

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