sabato 12 ottobre 2024

“Monsieur Verdoux” (1947) regia di Charlie Chaplin

 

Cult Movie
[capolavoro]

“Monsieur Verdoux” (1947)

regia di Charlie Chaplin 
con Charlie Chaplin, Martha Raye, Isobel Elsom, Marilyn Nash, Robert Lewis

«Per quanto il Pubblico Ministero sia stato parco nel farmi complimenti, nondimeno ha ammesso che ho del cervello. Merci, monsieur. Ne ho. E per trentacinque anni l'ho usato onestamente. Dopodiché nessuno l'ha più voluto. E allora l'ho utilizzato per conto mio. Se parliamo poi di massacri, non abbiamo autorevoli esempi? In tutto il mondo si fabbricano ordigni sempre più perfetti per lo sterminio in massa della gente, e quante donne innocenti e bambini sono stati uccisi senza pietà, e magari in modo più scientifico! Eh, come sterminatore sono un misero dilettante, al confronto. »

Che valore può avere per noi oggi un film come quello di Chaplin? Il suo messaggio è ancora attuale oppure si è miseramente esaurito, dato che viviamo in un mondo in cui la corsa agli armamenti non solo non si è fermata ma è andata avanti indisturbata, tanto da diventare irreversibile? Ha ancora senso in un mondo in declino? Un declino non solo economico, ma etico, culturale, dei diritti e delle libertà, non solo dell'Occidente come credono certi poveri illusi o cerca di far credere chi è in malafede.
Assistiamo all’avanzare dell'autoritarismo, dello scientismo, della tecnocrazia, di forze regressive, dittatoriali e oscurantiste, qualsiasi sia la loro appartenenza ideologica o geopolitica.

Ha senso quando siamo immersi in una guerra infinita e totale, che non è fatta solo di conflitti armati, ma ha anche le caratteristiche di guerra ibrida asimmetrica non convenzionale, combattuta ovunque sul pianeta con armi tecnologiche, sfruttamento, schiavismo e strategie sempre più sofisticate, che causa in ogni caso, al pari dei conflitti convenzionali, una moltitudine di vittime? 

Una guerra che è condotta, per interessi di vario genere, tra gruppi di potere: governi, élite nazionali e sovranazionali, fondamentalismi religiosi, terroristi, major, ma anche contro l’umano, contro l’individuo e le sue libertà, in un universo del controllo sociale e della sorveglianza digitale, del panopticon totalitario. Una guerra dove trionfano i conflitti sezionali, l’antisemitismo, il razzismo e l’odio tra i popoli. Dove sembra non esserci alcuno spazio per nonviolenti e pacifisti, oggi, più di ieri.
 
Certo che ha senso. Perché, al di là dello specifico contesto storico e geografico, il messaggio del film è universale. Ha senso per poter capire dove siamo arrivati, quale percorso di autodistruzione abbiamo intrapreso, che non ha bisogno di nessun olocausto nucleare per realizzarsi. Per capire quanto Chaplin e molti altri come lui, che ci avevano avvertito, siano rimasti inascoltati.
I poveri Monsieur Verdoux sono sempre più dei dilettanti in confronto.

È parere di molti che “Monsieur Verdoux” sancisca la definitiva fine di Charlot, molto di lui ancora viveva nel personaggio di Hynkel del “Grande Dittatore”.
Qui invece abbiamo addirittura un segnale simbolico, posto esattamente all'inizio del film: la voce narrante di Verdoux che dice: «Permettete che mi presenti: sono Henri Verdoux», mentre la cinepresa inquadra la sua lapide.

Ma, nonostante sia morto con tanto di annuncio, il fantasma di Charlot continua ad aleggiare sul film: le diverse gag disseminate lungo tutte le due ore, e poste non a caso soprattutto verso la fine, lo dimostrano.
“Monsieur Verdoux” esce sette anni dopo “The Great Dictator”, ed è a mio parere l’ultimo grande capolavoro di Chaplin, forse il punto più alto della sua produzione da regista. È sicuramente il film più nero. Una tragicommedia, come lui stesso ebbe a definirla.

Bisogna tener presente che, in quei sette anni, il regista venne preso di mira dal maccartismo: definito simpatizzante comunista dalla Commissione per le Attività Antiamericane e contemporaneamente contro di lui si aprì un processo per abusi sessuali: fu accusato da Joan Barry, una giovane donna, fino a subire una condanna nel 1948.
Un clamoroso caso di “errore giudiziario”. Chaplin fu dichiarato padre di Carol Ann, la figlia della Barry, quando le prove scientifiche smentivano tale ipotesi. Ma fu obbligato ad un assegno di mantenimento mensile fino al compimento dei ventuno anni di Carol Ann.

Le due vicende vennero ad intrecciarsi e Chaplin divenne oggetto di una campagna politico-moralistica, atta a screditarlo pubblicamente. La cosa fu amplificata ulteriormente dalla relazione e dal matrimonio nel ‘43 con la sua quarta e ultima moglie: Oona O’Neill, figlia del drammaturgo Eugene, e già fidanzata di J.D. Salinger, l’autore del “Giovane Holden”. Oona all’epoca era diciottenne, rimase con lui fino alla morte del regista e gli diede otto figli, compresa la famosa Geraldine.

“Monsieur Verdoux” nasce da un’idea di Orson Welles, e si sente. Infatti, il soggetto è firmato da entrambi i registi, e trae ispirazione dalla famosa vicenda del serial killer francese Henri Landru. La trama è in parte ricalcata sul caso giudiziario del noto pluriomicida.
La differenza sostanziale sta però nelle motivazioni di carattere sociale del personaggio di Chaplin e Welles.

È bene capire che l’interazione delle vicende “processuali” di Chaplin ha molto condizionato il taglio socio-politico del film. L’accusa che gli viene rivolta, il Chaplin-Verdoux la capovolge indirizzandola alla società americana dell’epoca, ma anche alle logiche feroci del capitalismo, e all’ipocrisia militarista della corsa agli armamenti. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e dopo Hiroshima e Nagasaki, nulla è più come prima. 
Tutto così ben sintetizzato dall’epico monologo finale.

Ma attenzione, non c’è nessuna volontà assolutoria nel film. 
Il senso di colpa di Verdoux, anche se coperto dal paravento dell’ipocrisia sociale, emerge lo stesso; sia nella vicenda legata all’incontro con la giovane vedova che commuove il protagonista, sia nello stesso finale quando sarcasticamente saluta tutti con un “a ben rivederci”. Sa di essere colpevole, ma all’inferno con lui vuole portare anche l’intera società. C’è ben poco di socialismo consolatorio nella morale del film e molto di nichilista. Chaplin era esente dal moralismo spicciolo.

Chaplin, a conferma di questo, fa indossare a Verdoux una “maschera”, non a caso, da automa della distruzione, priva di qualsiasi emozione. Le sue movenze quasi da marionetta spersonalizzata sono lì a dimostrarlo. Una maschera che viene meno solo quando è in compagnia della vera moglie e di suo figlio, oppure nelle sequenze con la giovane vedova ridotta in miseria. Tutto ciò è giocato sul filo sottile tra commedia e tragedia, in cui le gag si spogliano della loro tradizionale comicità per indossa
re la veste del grottesco e della farsa.

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