lunedì 23 ottobre 2023

Gustav Landauer, "Esilio e Anarchia, scritti ebraici"

 


Consigli di lettura


Gustav Landauer, "Esilio e Anarchia, scritti ebraici"


«Ebreo tedesco o ebreo russo: considero queste espressioni improprie. Il mio essere tedesco il mio essere ebreo non si fanno del male a vicenda. Non ho mai sentito il bisogno di semplificarmi o di unificarmi attraverso un rinnegamento di me stesso; io accetto la complessità che sono e spero di essere ancora più diversificato di quanto io sappia.»


«Non elemosiniamo, non temiamo nulla, non facciamo loro l'occhiolino; conteniamoci come Giobbe tra i popoli che nella sofferenza è giunto all'azione, abbandonato da Dio e dal mondo, per servire Dio e il mondo. Costruiamo la nostra economia e le istituzioni della nostra società in modo da poter gioire del nostro lavoro e della nostra vita dignitosa; una cosa è certa: se stiamo bene nella povertà se le nostre anime sono felici, i poveri e i meritevoli di tutti gli altri popoli, tutti, seguiranno il nostro esempio.»


«Al tempo della massima lontananza del divino, c'è stato in Germania un uomo che come nessun altro su questa terra in questa epoca ha invocato la conversione. Per il volere di una nuova comunità a venire, che la sua anima vedeva e desiderava, combatteva contro la disumanità in cui doveva vivere. Ma la sua vera battaglia disdegnava la lotta fittizia della politica. Non si è unito a nessuno dei partiti che si sono scagliati contro l'esistente per impadronirsi dell'esistente. Il sistema dei partiti, con la sua associazione fittizia rimuove il naturale venirsi incontro e l'agire l'uno con l'altro, le unioni naturali degli uomini, gli sembrava la parte più marcia del marcio sistema statale.»

(Martin Buber su Landauer, 1919)


Gustav Landauer è stato un anarchico ebreo tedesco, filosofo e scrittore, purtroppo scarsamente noto, ma dalla notevole personalità politico religiosa, amico di Martin Buber, che alla sua morte curò la pubblicazione dei suoi scritti. Visse a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Un eretico irriducibile.


È davvero singolare iniziare a parlare di Landauer con un libro di frammenti, e non  coi suoi saggi più famosi, lo riconosco. Ma un percorso da qualcosa deve pur iniziare e l'incontro con questo intellettuale per me parte da qui.

Mi riprometto comunque di tornare su di lui, segnalando altri suoi scritti.


Come dice Libera Pisano, nel saggio introduttivo, Landauer fu un personaggio scomodo, strumentalizzato, a lungo dimenticato e rimosso. Cercò di coniugare il socialismo libertario con una visione mistica. Rifiutò l'anarchismo violento. Era un pacifista radicale che vedeva la rivoluzione come un impegno quotidiano per il presente e non un'utopia per il futuro. Nel suo pensiero e nella sua azione c'è un'urgenza del qui e ora, che deve essere accolta.


Le sue idee sono sicuramente influenzate dal "privilegio" anarchico del popolo ebraico della diaspora di vivere fuori dallo stato nazione. Perché in Landauer, la diaspora è basata su un'eredità del concetto del tempo e non dello spazio, e su un rifiuto radicale della statolatria. È basata sulla comunità anarchica del mutuo soccorso e dell'autogestione, in contrapposizione al centralismo statalista. Quindi, su quell'ideale anarchico che viene da lontano dal proudhonismo, ma che si arricchisce di spirito mistico ebraico.


Nel 1919 partecipò alla Repubblica dei Consigli di Monaco di Baviera, ed ebbe modo, poco prima della morte, di affinare ed elaborare ancora il suo pensiero comunitario.

Le concezioni comunitarie di Landauer si incrociarono con le nascenti, interessanti esperienze libertarie dei kibbutz. Tale laboratorio politico in Palestina trasse non casualmente giovamento dalle idee di Landauer.


Venne purtroppo ucciso a Monaco sempre nel 1919, e toccherà quindi a Buber di farne continuare a vivere il messaggio, come martire ebreo.

Il suo era un socialismo libertario, fuori dalla gabbia dello stato, caratterizzato dal ritorno alla terra. Una particolare forma di sionismo, non legata alla costituzione di uno stato nazione, ma a un esperimento comunitario sociale, estraneo e avverso allo statalismo, dove ogni individuo può sentirsi a casa, nella piena realizzazione di sé. 


Partecipando alla Repubblica dei Consigli, Landauer andò consapevolmente incontro al martirio, non si sottrasse, alla morte e rifiutò di fuggire, restando a Monaco fino alla fine.

Qui sono raccolti alcuni scritti e appunti inediti di importanza differente, scritti di esilio e scritti di anarchia, messi in ordine cronologico dal 1901 al 1919 che mostrano l'evoluzione del particolare pensiero di Landauer.


Quello che traspare da queste pagine è lo sforzo nel voler coniugare ebraismo, socialismo e anarchia.

In appendice due saggi su di lui a firma degli amici Martin Buber e Fritz Mauthner, la parte forse più emozionante del libro.


Landauer affronta vari temi, iniziando dall'antisemitismo, dallo sciovinismo nazionale e dal reciproco disprezzo e sentimento di superiorità tra non ebrei ed ebrei, dagli stereotipi e dai diffusi pregiudizi antisemiti, in maniera particolare in Germania. Tutto questo nel primo saggio intitolato semplicemente "Ebraismo", dove cerca di individuarne e indagarne le cause.

Nel secondo saggio, offre un primo abbozzo della sua idea di socialismo e di come armonizzarla con l'ebraismo.


Commoventi e poetiche sono le pagine che dedica all'amico Martin Buber, alla sua raffinata cultura e alle sue leggende chassidiche, alto esempio di letteratura mistica ebraica, in cui allo sfondo di tristezza per l'esilio, si aggiunge il senso della misura e la suggestione della malinconia.

Nelle parole di Landauer traspare un intenso sentimento di appassionata compartecipazione per il giovane esordiente filosofo, mediante una prosa che è essa stessa colma di vibrante malinconia. 


Nello scritto "Pensieri eretici sull'ebraismo?". Sostiene che la nazione ebraica deve avere un compito nei confronti dell'umanità ed è quello di unire per uno scopo. Cercare di armonizzare l'ebraismo con il socialismo. Appaiono i primi segnali del suo essere anarchico. Una ricerca febbrile. 


«Ciò che qui viene descritto è una nuova creazione, qualcosa di simile a una nazione in divenire che, come una nuova comunità per la costruzione delle basi iniziali di una società giusta e libera che scatena forze creatrici, si lancia in modo indignato contro tutti i vecchi stati nazionali, gli stati dinastici, gli stati dell'ingiustizia e della violenza.»

«Essere una nazione significa avere un compito e dov'è il mio compito allora lì c'è la mia patria.»


«La rivoluzione, che io non avevo previsto in questo modo, è arrivata. La guerra, che avevo previsto, è arrivata; in essa avevo visto già per tempo il crollo e la rivoluzione prepararsi inesorabilmente».

Così inizia "Come Giobbe tra i popoli", prefazione alla seconda edizione del saggio "Appello al Socialismo", è l'ultimo articolo della raccolta, scritto durante la Repubblica dei Consigli a Monaco di Baviera.


Lo spirito libertario di Landauer prende definitivamente il volo, nelle parole con cui critica chi non si rende conto delle opportunità offerte dal socialismo, e il dottrinarismo marxista.

La prosa si fa apocalittica nell'annuncio dell'utopia socialista e nella condanna del capitalismo.


Tuttavia, la trasformazione delle istituzioni non può avvenire per via rivoluzionaria.

«... l'enorme pericolo è che la routine e l'imitazione si impadroniscano anche dei rivoluzionari, che essi diventino filistei del radicalismo, della parola vibrante e dei gesti violenti, e che essi non sappiano e che non vogliano sapere che la trasformazione della società può avvenire solo nell'amore, nel lavoro, nel silenzio.»


Quello che ci mostrano queste pagine è un'utopia, una speranza, lo spirito del tempo in cui vivevano certi rivoluzionari. Ma anche le grandi intuizioni di Landauer circa la degenerazione autoritaria delle stesse rivoluzioni, la volontà di portare se stesso al sacrificio per le proprie idee.

Tuttavia, non vi è solo idealismo in queste ultime note, è anche presente un richiamo al realismo e all'organizzazione del lavoro, all'ottimismo, citando come esempio Pëtr Kropotkin.


In appendice, Martin Buber tesse un appassionato necrologio, dal titolo "Landauer e la rivoluzione" (sempre del 1919), sottolineando il suo grande impegno per una società socialista antiautoritaria, comunitaria, fuori dalle istituzioni statali, che non riguardava un tempo di là da venire, ma il presente. Una guerra continua contro lo stato e la violenza, l'unica guerra lecita.

«Ha annunciato la fine di questo mondo del non spirito in cui viviamo, di questo mondo instabile, senza centro, della civiltà capitalistica», un mondo a causa del quale la cultura occidentale sarebbe andata in rovina.


A Landauer, sostiene Buber, non interessava diventare un esempio, si sentiva anche estraneo a quella rivoluzione, interessava mettersi in gioco per spirito di solidarietà, sacrificarsi.

Buber lo difende dalle tante menzogne, soprattutto della stampa, ma avanzando anche qualche fraterna critica proprio sull'errore di essersi sacrificato, per motivi puri, non pensando però così al futuro essenziale contributo che avrebbe potuto portare alla causa socialista in Germania. La sua "colpa" è stata quella di essere rimasto fedele a se stesso fino alla fine.


«Gustav Landauer era un ebreo tedesco. Era come pochi uomini completi, veramente tedesco e veramente ebreo.»

«In una chiesa di Brescia ho visto un dipinto murale, la cui superficie era coperta di crocifissi. Il campo delle croci si estendeva fino all'orizzonte e da ogni croce pendevano uomini dalle diverse stature e volti. Questa è - mi pare -  la vera forma di Gesù Cristo. A una di queste croci ho visto appeso Gustav Landauer.» Così conclude Buber.


"In memoria di Gustav Landauer" è il titolo del necrologio, altrettanto appassionato, con cui si conclude il libro. Ne è autore Fritz Mautner, il suo più vecchio amico, che invece pone l'accento sulla sua solitudine. L'anarchico appariva ai seguaci come il fondatore di una religione della non violenza, pur non sentendosi lui affatto il portatore di un nuovo vangelo. Era influenzato da Tolstoj e da Proudhon. 

Nonostante le divergenze, soprattutto sulla rivoluzione tedesca, Landauer e Mautner rimasero sempre legati da grande amicizia.


Si impegnò invano per far prevalere la sua concezione di anarchia non violenta all'interno della rivoluzione stessa. «Dopo, la fine che ad oggi non si conosce bene. Pestato a morte probabilmente come un cane, sepolto come un cane in una fossa comune, trattato come un cane dai giornali nazionali tedeschi e da quelli cattolici. L'ira per come va il mondo è per me quasi più grande del dolore per la perdita dell'amico. Mi sembra solo un dovere confessarglielo.»


Non era un politico, voleva abolire la politica, ma appariva come un politico. Viveva la sua solitudine con coerenza, come un comandante senza un esercito. Era un anarchico, un eretico nato, che rifiutava qualsiasi tipo di dominio. Aveva combattuto per questo la socialdemocrazia e il marxismo con sorprendente acume e con grande bagaglio culturale.


«Si affidò alla sofferenza, si affidò alla morte. Risplende davanti a noi come una cometa che svanisce, unendo la sua luce alla luce dell'infinito. E dietro di lui in una parvenza irreale si staglia la meschinità che domina su tutti noi.» Queste le parole finali di Mautner.


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