giovedì 27 giugno 2024

“Il Casanova di Federico Fellini” (1976)

 


Cinema - Cult Movie 


In memoria di Donald Sutherland 


“Il Casanova di Federico Fellini” (1976)


regia di Federico Fellini 

con Donald Sutherland, Tina Aumont, Carmen Scarpitta, Olimpia Carlisi, Cicely Browne, Daniela Gatti, Leda Lojodice, Sandy Allen, Margareth Clémenti, Chesty Morgan.


«(...) Ho scelto per interpretarlo Donald Sutherland, un attore dalla faccia cancellata, vaga, acquatica, che fa venire in mente Venezia. Con quegli occhi celestini da neonato, Sutherland esprime bene l'idea di un Casanova incapace di riconoscere il valore delle cose e che esiste soltanto nelle immagini di sé riflesse nelle varie circostanze»

Federico Fellini


«Posso solo dirle che le prime 5 settimane sono state le peggiori della mia vita e che nei 12 mesi successivi mi sono posto tutte le domande che un attore e un uomo dovrebbe farsi nella vita. La mia relazione con Federico era molto problematica e lo è stata a lungo, poi improvvisamente intorno alla quinta settimana di riprese come per magia tutto ha cominciato a funzionare. Lui si sedeva sulle mie ginocchia, mi chiedeva cose impossibili e io le facevo, come stregato.»

Donald Sutherland 


«Il Casanova non è un romanzo cinematografico, non ha progressione logica né veri nessi narrativi. I raccordi fra i nove o dieci capitoli sono rapidi e precari, ricordano le didascalie nei comics. Il gran circo di Fellini non è lontano dall’avanguardia, come hanno ben capito i cineasti americani dell’underground fin dai tempi di 8 ½. Nonostante i miliardi spesi con prodigalità, non ci troviamo dalle parti di quella che Flaubert chiamava “l’arte industriale”; siamo più vicini al “privatismo” sfacciato di un Andy Warhol.»

Tullio Kezich 


«Esercitiamo un totale potere sulle donne... È un'autentica tirannia che noi siamo stati capaci di far accettare solo perché esse sono più buone, più ragionevoli, più generose dell'uomo. Tali qualità che avrebbero dovuto dar loro la superiorità su di noi le hanno invece messe alla nostra mercé... Perché gli uomini sono di fatto cento volte più irragionevoli, più crudeli, violenti, più inclini per natura ad opprimere.»


«Ma chi non parla mai male delle donne non le ama: perché per capirle ed amarle devi soffrire per loro colpa. Allora e solo allora puoi trovare la felicità sulle labbra della tua diletta.»


Qualche recensione fa, a proposito del Napoleon di Ridley Scott, “disquisivo” di biopic e di quanto assurdo fosse pretendere il rigore storico da opere del genere, così come lo scrivevo riferendomi a Milos Forman e al suo “Amadeus”. Ma a ben vedere, Federico Fellini era già andato oltre diversi anni prima con “Casanova”, rendendo ridicola qualsiasi obiezione sulla credibilità storico-biografica. Questo rapporto tra l’immaginazione e la verosimiglianza nelle ricostruzioni storiche, torna di frequente, generando sempre polemiche del tutto inutili. 


Diverso è invece il caso in cui si fa un’operazione ideologica o propagandistica spacciandola come verosimile. Allora è giusto criticarne i fondamenti.

“Il Casanova di Federico Fellini” si trova infatti in un territorio completamente liberato da qualsiasi vincolo di attendibilità, pur riuscendo a mantenersi in una zona di confine in cui non viene mai superata la soglia della sospensione dell’incredulità. Viene resa un'immagine del settecento veneziano ed europeo funzionale alla narrazione felliniana. 


È una ricostruzione che in qualche modo collega il Casanova felliniano al coevo “Barry Lyndon” di Stanley Kubrick, ma in senso contrario: fantasiosa ricostruzione, nel primo, rigorosa ambientazione, nel secondo. Due logiche diverse, ma funzionali entrambe alle necessità della prospettiva con cui si narra. Due modi opposti di esercitare geniale arbitrio. Kubrick stesso, nell'inseguire ossessivamente una presupposta oggettività, manipola con somma eleganza la realtà storica, con la “biografia” di un uomo mai realmente esistito.


Il film di Fellini ha avuto una lunga e sofferta gestazione, costellata da litigi con produttori e maestranze, caratterizzato da un difficile rapporto del regista col personaggio e col testo da cui è stata tratta la sceneggiatura. Alla sua uscita, infine, è stato accolto negativamente da critica e pubblico. Solo col passare del tempo, in molti ci hanno ripensato e hanno compreso che grande capolavoro fosse.


L’essenza di questo film è racchiusa tutta nei suoi primi venti minuti. Innanzitutto, nella sequenza iniziale del folle carnevale di Venezia, che culmina con l’emergere della testa gigante della dea Luna dal Canal Grande. È questa la chiave interpretativa dell'intera storia: un mondo popolato da maschere carnascialesche, dominato dal fantastico e allusivamente caricaturale. 


Nella scena successiva, abbiamo la ricostruzione di un mare in tempesta fatto di teli di plastica, mentre Casanova aspetta su un isolotto l’arrivo di suor Maddalena, amante dell’ambasciatore: un effetto speciale talmente risibile da apparire geniale, che sottolinea ancora di più il contesto artefatto da fiaba surreale. I venti minuti si concludono infine, con la sequenza grottesca e stracolma di suggestioni visive in cui culmina il rapporto sessuale tra Casanova e la monaca.


Solo su questa stupefacente sequenza si potrebbe scrivere un intero saggio, tante sono le cose che contiene. Dall’uccello meccanico, con carillon incorporato, che come un metronomo scandisce gli atti “amorosi” di Casanova, all’abbigliamento dei due amanti, alla comica danza erotica simile a quella di due marionette disarticolate e dissociate, all’ambasciatore che spia dietro un dipinto raffigurante un pesce, fino all’atto sessuale da automi, misto di estasi e dolore, che sembra non avere più nulla di umano, se non fosse per l'invocazione finale di amore di un Giacomo oramai estenuato, ma di nuovo per un attimo umano.


Sesso, godimento, malattia e morte costituiscono il leitmotiv in cui si muove anche il resto del film, nel quale il grottesco pieno di barocchismi “eccessivi” la fa da padrone. È, in fondo, un’altra prolungata versione del circo di “8½”. Il contesto è unicamente funzionale a se stesso, all’uso dell’estetica come mezzo per veicolare l’immagine dell’incubo e del sogno, della disperazione di Casanova nel tentativo di voler razionalizzare i sentimenti e l’istinto sessuale, per sfuggire alla sua solitudine; con il protagonista stesso trasformato in fenomeno da baraccone. Un cialtrone che vive di menzogne e di contraddizioni.


Gli stessi atti sessuali nel corso di tutto il film sono chiaramente rappresentati come simulati. Il trucco c’è e si vede. Gelida satira nei confronti di un mondo del tutto artificioso. 

È l’esaltazione dell'effimero, del kitsch e dell'ambiguità finalizzata quasi esclusivamente alla cura estetica dei particolari, si veda la geniale sequenza di musica lirica con al centro la mantide religiosa androgina “en travesti” con contorno di castrati, che oggi farebbe quasi di sicuro scandalizzare il neo moralismo reazionario da web. Ma che è priva, all’opposto, di ogni accondiscendenza alle mode woke odierne, così carica di ironia e di sarcasmo.


Oppure la scena onirico-visionaria con al centro il “ventre” della balena di Giona, che celebra la “mona”. E ancora, il malinconico episodio sulla gigantessa lottatrice, persa come Casanova in un mare di solitudine senza fine. 

Fino ad arrivare alla bambola meccanica, un po' l’apice di tutto il film, in cui Giacomo forse gode veramente per la prima volta.

Dosi di grand guignol a volontà, perfino un occhio al “Gargantua e Pantagruele” di Francois Rebelais.


Casanova è Donald Sutherland, doppiato da un grande Gigi Proietti. 

Quanti di noi dopo aver visto questo film, hanno da quel momento in poi, associato il libertino veneziano e la sua immagine alla versione resa da Fellini, e di conseguenza, all’interpretazione di Sutherland? Credo sia inevitabile, al di là di quanto si conosca effettivamente Giacomo Casanova come personaggio storico. 


Fellini ha cambiato l'immaginario collettivo di intere generazioni. La potenza del suo Cinema sta proprio in questo, scava una traccia indelebile in ognuno di noi, lo fa soprattutto con le immagini e con il grande maestro Nino Rota a fare da contrappunto musicale. Per questo Casanova è anche, e forse soprattutto, Federico Fellini, il suo autoironico alter ego.


È comunque sicuramente spettacolo per gli occhi, prima che per la mente, fatto di siparietti a sé stanti, piccoli episodi, aneddoti ripetuti in un teatrino delle marionette, ma ognuno con una sua particolarità, ecco perché è inutile voler seguire la trama o l’evoluzione del personaggio. Non c’è nessuna trama. E anche il prima e il dopo la prigione dei “Piombi” è solo un inganno del regista che vuole far credere ad una vera e propria linea temporale. Ed è per questo che è molto liberamente tratto dalle memorie del libertino (“Storie della mia vita”), pur essendo in qualche modo in sintonia col suo spirito.

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