venerdì 13 settembre 2024

“Solaris” (1972) - regia di Andrej Tarkovskij


 Cult Movie


“Solaris” (1972)


regia di Andrej Tarkovskij

con Donatas Banionis, Natal'ja Bondarčuk, Danijelic Mijliorinic, Jüri Järvet, Anatolij Solonicyn, Sos Sarkisjan


«La scienza? Sciocchezze. In questa situazione la mediocrità e il genio sono ugualmente inutili! Noi non vogliamo affatto conquistare il cosmo. Noi vogliamo allargare la terra alle sue dimensioni. Non abbiamo bisogno di altri mondi: abbiamo bisogno di uno specchio. Ci affanniamo per ottenere un contatto e non lo troveremo mai. Ci troviamo nella sciocca posizione di chi anela una meta di cui ha paura e di cui non ha bisogno. L'uomo ha bisogno solo dell'uomo!»



Quando uscì in Italia, “Solaris” di Tarkovskij fu presentato come «la risposta della cinematografia sovietica a “2001, Odissea nello spazio”», una banalità, che poteva forse avere senso solo in piena Guerra fredda, sfruttando quel contesto a fini promozionali. Definire in questo modo il capolavoro del regista russo, non solo  è assolutamente riduttivo per il suo film, ma lo è anche per quello di Kubrick, dando una falsa percezione di due opere d’arte assolutamente imparagonabili, se non per il fatto di rientrare nella generica definizione di space opera.


Sarà la terza o la quarta volta che vedo “Solaris”, la precedente è stata molti anni fa, e non ho mai provato un’emozione così forte, colpito in particolare dalla prima parte, lasciata ovviamente in russo con i sottotitoli, quella ambientata sulla Terra, ignobilmente tagliata per intero nella versione italiana del 1974, ma non è l’unico taglio, ce ne sono altri qua e là, per tutta la durata del film, un vero e proprio scempio, con doppiaggio rimaneggiato per coprire i vuoti di logica narrativa. 


Devo dire che sono stato di nuovo sedotto dalla suggestiva sequenza del viaggio in automobile, quello del ritorno in città dell’ex astronauta e di suo figlio, mentre percorrono gallerie, autostrade e attraversano paesaggi metropolitani desolati, e che ha un deciso sapore avveniristico. Tutto in uno sterile, ma affascinante, bianco e nero che sfuma alla fine di nuovo nel colore del caos urbano, inquadrato con una panoramica ripresa dall’alto. E sono stato altrettanto sedotto dalle atmosfere oniriche che avvolgono le scene degli incontri con la moglie e con la madre di Kelvin.


Il Cinema di Tarkovskij, il poeta delle immagini, è il trionfo dell'incanto della lentezza, dei grandi spazi, dell’anatomia dei particolari e dei prolungati silenzi; è gioco di contrasti tra il bianco e nero, il colore e i filtri della cinepresa; è la meraviglia del tocco delicato, la malinconia dei chiaroscuri.

Ma che cos'è di preciso Solaris? È forse il dolente, bellissimo volto e il corpo seducente di Hari, interpretata dall’affascinante Natal'ja Bondarčuk, figlia del famoso regista.


Ho già avuto modo di scrivere, nella recensione sul romanzo di Stanislaw Lem, che ben poche essenziali cose legano le due opere. Quella di Tarkovskij non è solo un adattamento cinematografico del forse massimo capolavoro della fantascienza letteraria, è soprattutto altro, a cominciare proprio dal prologo terrestre, che manca del tutto nel romanzo, così come è assente il sorprendente e spettacolare epilogo ideato dal regista.


Se paragone tra il film del regista russo e l'Odissea di Kubrick non può sussistere, forse ancora meno senso ha mettere a confronto le due diverse bellezze: quella letteraria e quella cinematografica di “Solaris”. 

È del tutto ovvio che Tarkovskij si sia ispirato al romanzo di Lem, ma lo ha reso volutamente un territorio liberato da qualsiasi vincolo di fedeltà.

La cosa l'aveva ben capita lo scrittore polacco, quando sottolineò l'enorme differenza dei presupposti alla base del romanzo e del film, e questo leggendo solo la sceneggiatura, senza poi volerlo vedere.


Stanislaw Lem quindi criticò Tarkovskij per questo, perché disse che il suo intento come scrittore era stato quello di porre al centro un’indagine filosofica sulla conoscenza umana e sui suoi limiti, e non sullo spazio interiore di carattere psicologico, tema ricorrente nella produzione del russo.

Pur avendo torto nel criticarlo, ne aveva comunque rintracciato esattamente i termini della diversità. Anche se poi non volendo, lo spazio interiore ballardiano emerge inevitabilmente lo stesso anche nell’opera letteraria, seppur con minore intensità.


Il tema della manipolazione mentale e della follia che ne consegue è invece l’oggetto principale della visione filosofica del russo.

Ben rappresentato dal disordine e dal caos che regna nella stazione spaziale in orbita attorno al pianeta, con oggetti abbandonati, cavi elettrici rotti che penzolano un po' dappertutto.

In entrambi, è comunque rintracciabile la critica allo scientismo, anche se in misura ein modi diversi, molto più accentuata nel romanzo.


L’amore è indistruttibile, trascende persino la morte, non si estingue neanche a milioni di anni luce di distanza. È questa la vera follia, che pare voler mettere in luce Tarkovskij, e un oceano pensante di un pianeta sperduto nella galassia e lì a ricordarlo a Kelvin, come a tutti noi.

Ma forse, proprio per questo è anche così orribile. Ci si potrà mai abituare a tali continue resurrezioni?

Tuttavia, se l’uomo desidera illudersi, l’oceano, che rappresenta l'espansione della nostra coscienza, gli dona illusioni, persino quella dell’immortalità.

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