sabato 14 ottobre 2023

Ursula K. LeGuin, "La Falce dei Cieli" (1971)



Consigli di lettura


Classici della fantascienza


Ursula K. LeGuin, "La Falce dei Cieli" (1971)


«All'esterno delle porte di vetro del ristorante, la folla si stava facendo più fitta: gente che si dirigeva al Palazzo dello Sport di Portland (un enorme colosseo, costruito con grande prodigalità) per lo spettacolo pomeridiano. La gente non stava più in casa a guardare la TV: nella Federazione dei Popoli, la televisione funzionava soltanto due ore al giorno. Il modo di vivere moderno imponeva di socializzare, di stare insieme. Era martedì: oggi doveva esserci la lotta libera, massima attrazione della settimana fino al football del sabato sera. In verità morivano più atleti nella lotta libera, ma lo spettacolo non aveva gli aspetti drammatici, catartici del football, la pura carneficina che coinvolgeva 144 uomini, gli schizzi di sangue che giungevano fino ai sedili degli spettatori. L'abilità dei singoli lottatori era piacevole a vedersi, ma non dava lo splendido scatenamento abreativo dell'uccisione di massa.»


«— Noi siamo nel mondo, non contro di esso. Non si può cercare di stare all'esterno delle cose e di comandarle, così. La cosa non funziona, è contraria alla vita. C'è un solo modo, seguire la vita. Il mondo esiste, indipendentemente dal modo in cui vorremmo che fosse. Bisogna stare con esso. Bisogna lasciarlo stare.»


«Mentre Haber gli applicava gli elettrodi, comunque, Orr fece un ultimo tentativo per comunicare con lui. — Mentre venivo qui — disse, — ho visto un Arresto di Cittadino per eutanasia.

— E qual era il motivo?

— Eugenetica. Cancro.

Haber annuì, attento. — Non mi stupisco che lei fosse depresso. Lei non ha ancora accettato pienamente l'uso controllato della violenza per il bene della comunità; anzi, forse lei non riuscirà mai ad accettarlo. Il mondo che abbiamo qui, George, è un mondo duro. Un mondo realistico. Ma, come ho detto, nella vita non c'è la sicurezza. È una società dura, e diventa più dura di anno in anno: ma il futuro lo giustificherà. Ci occorre la salute. Noi, semplicemente, non abbiamo posto per gli incurabili, per i portatori di tare genetiche che degradano la specie; non possiamo permetterci le sofferenze che non sono utili a nessuno.»


«— E dov'è finito il governo democratico? La gente non ha più alcun diritto di scelta. Perché ogni cosa è così scadente, ogni persona è così infelice? Non si riesce neppure a distinguere una persona dall'altra, e, più giovani sono, più sono identici tra loro. Questa faccenda dello Stato Mondiale che alleva i bambini nei Centri...»


Qualcuno una volta disse, non ricordo chi, che "La Falce dei Cieli" è il miglior romanzo di Philip Dick, scritto da Ursula LeGuin. Una frase ironica dal doppio senso, che però contiene un fondo di verità. Un romanzo del genere non avrebbe destato molte sorprese se lo avesse scritto Dick, e non la scrittrice Californiana, il cui genere era più tendente allo sci fantasy, che alla realtà parallela e alla manipolazione della mente.

Tuttavia, la LeGuin con questo splendido romanzo dà vita a un'opera originalissima, che non rassomiglia a nessun'altra fino allora scritta, e di conseguenza, leggendolo, fa riflettere su quanta letteratura successiva abbia influenzato.


Il fatto che sia il suo migliore romanzo è una cosa che avvalora ancor più l'ironia della frase.

Per una volta che la LeGuin, romanziera anarchica, esce dal suo ambito solito, scrive un grande capolavoro. Non è che fino allora i capolavori le fossero mancati. "La mano sinistra delle tenebre", pluripremiato, per citarne uno, era già una pietra miliare della fantascienza.

Successivamente a questo ne arrivò un altro: "I reietti dell'altro pianeta", conosciuto anche come "Quelli di Anarres". Senza parlare del ciclo fantasy di Earthsea.


Questi due romanzi, in particolare, hanno in comune con "La Falce dei Cieli" la critica sociopolitica della realtà e in particolare delle dinamiche di potere, che in questo libro assumono, però, aspetti anche più radicali e inquietanti.

Qui infatti viene trattato il tema dell'applicazione della medicina psichiatrica al controllo sociale e alla manipolazione della mente, oltreché le tematiche dell'eugenetica e del malthusianesimo.


Il romanzo è ambientato nel 2002 a Portland, nell'Oregon, e ha come protagonista un certo George Orr, che a causa di un overdose di psicofarmaci, che si era procurato illegalmente, usando non solo la sua, ma anche la Tessera Farmaceutica di un altro, aveva rischiato di finire al creatore. 

Tutto questo nell'intento di privarsi della facoltà di sognare.


Orr nella simpatica società del controllo "automatico" nella quale vive, dove esistono istituzioni quali il Controllo Sanitario e la Terapia Obbligatoria, viene condannato al Trattamento Terapeutico Volontario e finisce nelle "sapienti" mani di uno psichiatra.


George Orr soffre infatti di una singolare patologia: i suoi sogni cambiano la realtà, non solo quella futura del giorno dopo, ma anche retroattivamente. E della realtà precedente l'unico che ne conserva memoria è solo lui. Peccato che dei sogni l'essere umano non può farne a meno, ne ha bisogno come del cibo, dell'acqua e dell'aria e non è sufficiente un sonno senza sogni, anzi non è possibile senza pagarlo con la vita.


Il dottor Haber è apparentemente un uomo gentile, positivo, sicuro di sé, che trasmette serenità. Non usa farmaci durante le sedute, ma solo l'Aumentore e l'ipnosi, anzi è contrario all'uso dei farmaci in quel contesto.

I farmaci sarebbero dannosi per la sua terapia. Così almeno racconta e fa all'inizio, ma poi, l'uso dei farmaci viene adottato e si intensifica sempre più, perché necessari alla buona riuscita del suo obiettivo. 


Lo psichiatra convintosi della cosa, cerca, neanche a dirlo, di manipolare la coscienza di Orr tramite la Macchina dei Sogni, detta anche Aumentore, dopo avergli fatto ovviamente firmare il Consenso all'Ipnosi. Ciò, prima, per aiutarlo a guarire da quella che ritiene essere una malattia mentale, e poi, al fine di rendere "migliore" la realtà, adattando il cambiamento determinato dai sogni ai suoi desiderata, alla sua personale "utopia" progressista. 


Orr non ripone fiducia nei metodi dello psichiatra, capisce di essere manipolato e chiede l'assistenza di un avvocatessa, che assumerà un ruolo determinante per l'economia della storia e per Orr. Tuttavia Haber è molto abile nello schivare certi imprevisti.


Ciononostante, cambiare la realtà non determina mai esattamente ciò che Haber si prefigge, perché non tiene nel giusto conto alcuni inevitabili "effetti collaterali".

Il fine non giustifica mai i mezzi, il mezzo è il fine, e per meglio dire: il fine è contenuto nel mezzo.

Il sogno si trasforma in incubo e inevitabile arriva la nemesi.

Ma per qualcuno arriva anche l'amore.


"La Falce dei Cieli" non è solo un'eccellente allegoria del potere in genere, lo è soprattutto del potere della scienza, del delirio di onnipotenza di chi gioca a fare Dio, scherzando col fuoco.

Tuttavia, ha anche dei lati ironici, soprattutto nella descrizione della società del futuro e dei cambiamenti generati dai sogni, comprese l'invasione aliena e la sparizione delle razze.


La LeGuin inserisce anche la tematica del riscaldamento globale e della sovrappopolazione, che già all'epoca erano un'ossessione di certa fantascienza. È infatti in certe pagine che viene fuori la sua propensione al fantasy.

Ma l'effetto risulta divertente una specie di parodia, con aspetti di comica ironia, per l'assurdo scenario che descrive, e che rendono ridicole e insensate le paure di allora su certi temi, mentre restano inquietanti sul resto: sulla manipolazione della mente e della realtà, e sul controllo sociale.


Ciononostante, la scrittrice mostra di avere grande padronanza delle dinamiche della mente umana e discreta conoscenza della materia psichiatrica. Lo dimostra l'evidenza che riesce a dare alle tecniche di condizionamento e di suggestione della mente; tutto sommato, nell'economia del romanzo è ciò che conta veramente, anche perché la realtà muta in continuazione a causa dei sogni di Orr, e sul tema, la LeGuin sfodera un'ingegnosa inventiva, mettendone sempre in evidenza gli elementi distopici.


Insomma, nel 1971, la scrittrice californiana aveva già capito cosa avrebbe potuto produrre il delirio scientista, il desiderio di certe élite di modellare il mondo in base alla loro idea di bene, un mondo asettico senza più malattie, così tanto "degnamente" rappresentato nelle utopie degli organismi sovranazionali odierni. 

Vogliamo chiamarlo spirito profetico, oppure semplicemente la capacità di certa fantascienza sociologica di cogliere il futuro e individuarne certi aspetti, quella che è la sostanza, in mezzo ad una serie di colorite ipotesi diverse? 

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