lunedì 27 maggio 2024

David Ambrose “Superstizione” (1997)


David Ambrose

“Superstizione” (1997)


«C'è della superstizione anche nel rifuggire la superstizione»

Francis Bacon.


«Come scienziato, Sam si era impegnato a fornire una risposta razionale a ogni cosa. Era convinto che la ragione e la logica fossero gli unici strumenti che l'uomo aveva a disposizione per tentare di penetrare il mistero della propria esistenza; ma quanto avanti ci si potesse spingere in questa ricerca era una domanda a cui Sam riusciva a rispondere con sempre minore certezza. Negli ultimi mesi aveva visto aprirsi un abisso sempre più vasto fra le cose che accadevano e qualunque sua capacità di darvi un senso. E in quell'abisso avevano cominciato a insinuarsi le ombre della superstizione, diffondendosi in ogni angolo della sua mente come la nebbia su Manhattan al crepuscolo, che penetra ogni crepa e fessura della città. La superstizione, come ormai sapeva per dolorosa esperienza personale, era l'unica cosa contro cui non ci si poteva difendere con la ragione.»


«Questa cosa straordinaria era semplicemente il fatto che mi trovavo lì… vivo, cosciente, parte di quel corpo che potevo vedere, se solo abbassavo lo sguardo, con i piedi che si posavano uno dopo l'altro sulla strada. E in un modo che non avevo mai compreso prima ero anche parte del paesaggio attorno a me… che all'improvviso era diventato strano e nuovo, ma al tempo stesso non era cambiato per nulla. Era una sensazione spaventosa ed eccitante in parti quasi uguali. Non posso avere trascorso in quello stato più di un paio di minuti, ma avevo perso la cognizione del tempo. In un certo senso, da allora il tempo non ha più contato, per me.»


«Che cosa significa, in un universo differente? Sto parlando di mondi paralleli? E se sì, che cosa significa 'mondi paralleli'? È solo un'idea, uno dei molti modi in cui cerchiamo di descrivere la stranezza della natura quando la esaminiamo da vicino. Sappiamo che in realtà c'è un solo mondo: quello in cui viviamo. Sappiamo anche che concetti come lo spazio e il tempo sono solo costrutti della nostra coscienza, non cose che esistono 'là fuori', indipendentemente da noi.»


Il merito maggiore di questo romanzo, al di là della fantasiosa trama, è di esaltare il dubbio, di porre delle domande, di farlo con una certa dose di ironia, senza lasciarsi andare ad asserzioni categoriche. Lo fa in maniera intelligente, seguendo una costruzione logica, anche se in parte allucinata. La sospensione della realtà si mantiene entro dei precisi limiti narrativi. Una boccata d’aria in un periodo come il nostro, che cerca di imporre una visione della scienza come religione totalitaria, ancora di più di quello che accadeva quando fu scritto.


Non siamo più nell'età dei lumi. Sul finire del secolo scorso fisica e matematica, le più razionali tra le scienze, sono arrivate a mettere in discussione alcuni dei fondamenti ultimi della conoscenza razionale, nutrendosi di dubbio.

Nulla è più così certo e razionale come si era portati a credere molti decenni fa. Niente è impossibile, alcune delle cose che si reputavano tali sono forse solo altamente improbabili, molte anzi non sono più neanche questo, niente a che vedere con le “verità” spacciate dai sacerdoti della scienza.


Non ha alcun senso il conflitto insanabile tra scienza e superstizione, tra pensiero razionale e credenze irrazionali. Tutto quello che rigidamente non contempla l'idea che ogni cosa possa solo essere possibile e non assolutamente certa, ogni teoria che non rientra nel principio di falsificabilità di Popper, è destinata a ricadere nel raggio della superstizione. Ma non solo, della superstizione non si può fare a meno, non ne fa a meno neanche la mente più libera e meno dogmatica. Siamo condannati alla superstizione e stavolta non ci salva neanche la consapevolezza di esserlo.


Da queste idee di fondo e dallo spunto di un esperimento realmente accaduto a Toronto nel 1973, durante il quale otto persone, tra cui alcuni scienziati, provarono a creare un fantasma, nasce questo intelligentissimo romanzo di Ambrose, scrittore inglese.

Romanzo difficilmente catalogabile, parte come un semplice thriller e del thriller conserva la struttura di base, ma poi altri elementi si intersecano nello svolgimento della trama: il mystery, la fantascienza, il gotico e l'horror. 


Ma ben oltre l'espressione da romanzo di genere si trova il vero valore di questa storia. Ambrose mette su un'opera altamente complessa, filosofica e teologica, sviluppando con originalità temi cari alla letteratura dickiana. Infatti può solo erroneamente trarre in inganno il facile accostamento al grande scrittore americano, dato che di universi paralleli e di percezione della realtà si parla. 


Pur conservando lo stesso tipo di concetto di fondo, rispetto al valore universale del dubbio, Ambrose procede su un piano tutto suo, elaborando una storia ricchissima di sense of wonder e di un susseguirsi inarrestabile di colpi di scena, che tengono col fiato sospeso dall'inizio alla fine.


Un romanzo godibilissimo e divertentissimo, ma che è anche assolutamente inquietante, visto che pone interrogativi ai quali nessuno sembrerebbe in grado di rispondere (almeno allora), rendendo per una volta una dignitosa idea della parapsicologia, lontana dallo scetticismo iper razionalista e dal folklorismo di santoni e mistificatori. 


Un romanzo dalla lettura a più livelli. Il primo, il più importante, che attraversa tutto il romanzo, è relativo alla realtà come percezione soggettiva e non più oggettivabile, tanto da portare, per esempio, al paradosso che il passato è solo un'idea del presente, di quanto la coscienza individuale e poi collettiva riesca a costruire e a rendere di esso. 

È una concezione non così assurda e che non si muove solo nell'ambito di concetti apparentemente metafisici, ma anche di quelli, per esempio, legati anche alla memoria storica. 


Altro livello, appena secondario, e conseguente a quello della visione oggettiva della realtà, è il rapporto che l'uomo, ogni singolo individuo, potenzialmente ha con la percezione di sé come dio, creatore del mondo circostante, e quanto questa idea, seppur entro certi confini può definirsi naturale, corre costantemente il rischio di degenerare fino alla follia e all'autodistruzione. L’ossessiva e patologica affermazione di verità assolute, condita da delirio di onnipotenza, può condurre non solo alla morte del dubbio, ma anche a quella dell'umano.


In ultimo, la metafora, la grande metafora della creazione del fantasma che diventa reale, rappresentazione di quello che la storia della letteratura nel corso del tempo ha saputo produrre: personaggi fantastici, che sono divenuti talmente vivi da essere reali e che in qualche modo hanno influenzato il corso della realtà stessa, se non addirittura lo hanno mutato.


Lo scrittore inglese si tiene con astuzia ed intelligenza lontano da qualsiasi interpretazione definitiva della realtà e della logica e da qualsiasi facile conclusione di carattere morale. Il suo è un lavoro da entomologo, che si diverte con perizia a scandagliare le possibili alternative date dall'esistenza e le possibili soluzioni per poterla interpretare.

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