martedì 28 maggio 2024

“Le relazioni pericolose” (1988) Regia di Stephen Frears

 


Cult Movie

“Le relazioni pericolose” (1988)

Regia di Stephen Frears 


Con: Glenn Close, John Malkovich, Michelle Pfeiffer, Uma Thurman, Keanu Reeves.


«Quando feci l'ingresso in società avevo quindici anni; e io già sapevo che il ruolo a cui ero condannata, vale a dire stare zitta ed obbedire ciecamente, mi dava l'opportunità ideale di ascoltare e di osservare. Non quello che mi dicevano, che non era di nessun interesse, ma tutto quello che la gente cercava di nascondere; ed ho esercitato il "distacco". Imparai a sembrare allegra, mentre sotto la tavola mi piantavo una forchetta nel palmo della mano e finii per diventare una "virtuosa nell'inganno". Non era il piacere che cercavo, era la conoscenza; e consultavo i più rigidi moralisti, per la scienza dell'apparire, i filosofi, per sapere cosa pensare, e i romanzieri, per capire come cavarmela; e alla fine io ho distillato il tutto, in un principio meravigliosamente semplice: "vincere o morire".»


«Io credo che sia alquanto avvilente avere un marito come rivale: è un'umiliazione se fallisci e un luogo comune se hai successo.»


«Io vi volevo ancor prima di conoscervi, lo esigeva la mia presunzione. Poi, quando cominciaste ad inseguirmi io vi volevo da morire… la sola volta in cui mi son sentita dominata dal mio desiderio in un singolar tenzone.»


«È stato senza precedenti...Ella ha un genere di charme che io non credo d'aver mai trovato in tutta la mia vita.

Una volta che si è arresa si è comportata con perfetto candore:

Totale e reciproco delirio che per la prima volta ha travalicato il piacere stesso.

È stata sbalorditiva, a tal punto che ho finito per crollare sulle ginocchia e implorare il suo amore eterno...

E sapete che in quel momento, e per diverse ore successivamente, io ne ero convinto...

é straordinario...non è vero?»


«Quando una donna mira al cuore di un’altra raramente lo manca, e la ferita è invariabilmente fatale.»


«La vanità… e la felicità… sono incompatibili.»


Questo è il caso in cui gli Oscar assegnati sono assolutamente meritati, e, in verità, anche pochi rispetto all’effettivo valore dell’opera. 

A mio parere, oltre a sceneggiatura, scenografia e costumi, qualcuno in più non sarebbe stato affatto di troppo, lo avrebbero sicuramente meritato anche Stephen Frears e Glenn Close.

Tutto è, infatti, in perfetto equilibrio nel film: oltre ai tre riconoscimenti, anche la regia, la scelta del cast e la recitazione risultano essere pienamente riusciti. “Le relazioni pericolose” è un vero e proprio gioiello.


L’interpretazione di Glenn Close è semplicemente leggendaria. Da manuale.

Siamo di fronte a uno di quei casi in cui un testo per lo più ingiustamente poco conosciuto, viene promosso da un prodotto cinematografico di grande qualità. Il romanzo omonimo è quello in forma epistolare del 1782 di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, scrittore e militare francese, che offrì i suoi servigi, prima sotto la monarchia e poi, dopo la rivoluzione, sotto la repubblica. 


La sceneggiatura di Christopher Hampton è abbastanza fedele nel riprodurre il soggetto originale, ma forza un po’ la mano a de Laclos, ne capovolge quasi gli intenti, con accenti più moderni nella narrazione e nell’atmosfera, travolge gli argini, sottolineando le dinamiche di potere, più che la “perversione” che diventa solo un pretesto. È la prospettiva che muta, in quanto Hampton lo trasforma in romanzo storico, mentre per de Laclos non poteva esserlo, in quanto era una critica ai costumi dei suoi tempi. 


La resa del contesto storico è più rispettosa nell’ambientazione, nei costumi, nella scenografia e nei dialoghi, straordinariamente credibili, che nella caratterizzazione dei personaggi e nell’interpretazione di tutta la storia. Ma è meglio che sia così, questo è ciò che rende unico il film. L’azione della regia di Stephen Frears, in una delle sue migliori prove in assoluto, è magistrale nel modellare la storia.

Il film, soavemente “immorale”, è impostato soprattutto su canoni puramente estetici. La trama si dipana senza ricorrere a facili moralismi e manierismi, lontana anni luce dall’odierno politically correct. 


La recitazione dei quattro principali protagonisti arriva fino alla perfezione: lo sguardo ferino da sadico predatore di Malkovich, la gelida, ma bramosa, determinazione da dominatrice di Glenn Close, l’infelice espressione da animo dolente resa dalla Pfeiffer, completamente travolta dalla passione, la gioia che infiamma di vergogna e poi di piacere il volto di una giovanissima Uma Thurman, restano impressi in maniera indelebile.


Al centro della storia, c’è la fitta rete di crudeltà, vendetta  e inganno intessuta dai due libertini: la Marchesa Isabelle de Merteuil (Glenn Close) e il Visconte Sébastien di Valmont (John Malkovich), ai “danni” di Madame Marie de Tourvel (Michelle Pfeiffer) e di Cécile de Volanges (Uma Thurman). È un intrigo erotico in cui si intrecciano in maniera avvolgente le dinamiche di potere e di seduzione. Una guerra dei sessi senza esclusione di colpi


Siamo nel Settecento, alle porte della Rivoluzione francese. La “filosofia nel boudoir”, già prima della pubblicazione del libro del famoso marchese, è l’ultima moda dell'alta società europea. È il secolo di una nobiltà decadente dedita alla trasgressione più o meno clandestina dei costumi sessuali e sentimentali. È il secolo del Marchese de Sade, appunto, di Casanova e di Cagliostro. L’aristocrazia è in piena irreversibile decadenza, soprattutto in Francia.


L’amore e il sesso vengono branditi quasi come fossero armi di una forza distruttiva maligna, ma incredibilmente irresistibile e vitale. È un gioco al massacro tra carnefice e vittima, ma anche tra carnefice e carnefice. Carezze, baci, gesti appena accennati, passione e amplessi, anche e soprattutto nella loro dolcezza, si trasformano in mezzi violenti di manipolazione e di sopraffazione, mantenendo però intatte le fragilità a cui ognuno è soggetto, anche degli stessi due manipolatori. 


Il potere, oltre ad essere distruttivo, è sempre alla lunga anche autodistruttivo. Niente è capace di fermarlo, l'odio e il disprezzo sono soverchianti e neanche l’amore riesce ad annullarli. Può lasciarli solamente alle loro miserie. Il trucco, quando viene svelato, non si può far altro che lavarlo via come uno strato di cerone grottesco.

Il finale è sublime, ma allo stesso tempo agghiacciante.


Una parola di elogio non può mancare, infine, per lo splendido commento musicale, sempre in tema e mai fuori contesto, al contrario di quel che accade sovente in questi attuali anni di declino. 

La colonna sonora di George Fenton che, in questo caso, si ispira ai maestri di musica barocca e a quella da camera del classicismo, non poteva che essere la scelta migliore.

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