venerdì 31 maggio 2024

Virginia Woolf, “Orlando” (1928)

 


Classici 


Virginia Woolf, “Orlando” (1928)


«… la migliore definizione che si possa dare di Woolf è quella di esteta apocalittica, per cui l’esistenza umana e il mondo sono sostanzialmente giustificati solo come fenomeni estetici…

… Più di mezzo secolo dopo la morte di Woolf, quest’ultima non ha rivali tra romanziere o critici di sesso femminile, sebbene queste ultime godano della liberazione da lei profetizzata.»

Harold Bloom


«Starà allo storico della letteratura decidere; spetterà a lui dire se oggi stiamo inaugurando, completando, o stiamo ancora vivendo nel mezzo di un grande periodo per la prosa, perché, trovandoci in pianura, riusciamo a vedere ben poco. Sappiamo solo che a ispirarci sono determinati debiti e conflitti; che alcuni sentieri sembrano condurre a una terra fertile, altri alla polvere e al deserto; e forse di questo converrà dare qualche resoconto.»

Virginia Woolf 


«Lui—perché sul suo sesso non c’erano dubbi, sebbene la moda dell’epoca contribuisse in parte a mascherarlo—era intento a menar sciabolate contro la testa di un moro appesa alle travi del soffitto. Del colore di una vecchia palla di cuoio, ne aveva più o meno la forma, a eccezione delle guance scavate e di un paio di ciuffi di capelli secchi e ispidi come l’esterno di una noce di cocco. Il padre di Orlando, o forse suo nonno, l’aveva tagliata via dalle spalle di un pagano grande e grosso spuntato da sotto la luna nelle barbare pianure d’Africa; e ora oscillava, lentamente, senza sosta, nella brezza che soffiava incessante dentro le soffitte della gigantesca casa del Lord che lo aveva ammazzato.»


«Orlando era diventato una donna—non si può negarlo. Ma sotto ogni altro aspetto, Orlando restava precisamente tale e quale a prima. Il cambiamento di sesso, sebbene modificasse il loro futuro, non ne alterava in nulla l’identità.»


«Non esiste passione più forte in cuore all’uomo del desiderio di portare gli altri a credere a ciò in cui crede lui. Nulla mina alla radice la sua felicità e lo fa infuriare quanto la sensazione che qualcuno disprezzi ciò che lui valuta di più al mondo…

… Non è l’amor di verità, ma il desiderio di prevalere a mettere una parte contro l’altra, e a far sì che ogni parrocchia si auguri la rovina dell’altra.»


A dar retta ad Harold Bloom, nel Canone letterario possono entrare solo opere che riescano a dimostrare la loro singolarità, la loro originalità, pur restando ferma l’idea che «Le poesie, i racconti, i romanzi e le opere teatrali nascono in risposta a poesie, racconti, romanzi e opere teatrali precedenti». 

Se questo è il senso, l’“Orlando” di Virginia Woolf ci rientra a pieno titolo quindi, e naturalmente Bloom nel saggio “Il Canone Occidentale” non fa che confermarlo.


È questo un romanzo che non assomiglia a nessun'altra opera precedente, seppure ci siano espliciti richiami ad autori del suo passato e a suoi contemporanei, come scrive anche la Woolf nella prefazione, in cui afferma di sentirsi in debito con diversi scrittori.


È assai divertente rintracciare la miriade di coltissimi riferimenti letterari, e non solo letterari, disseminati lungo tutto il testo. Così ci vuole poco ad accorgersi, per esempio, che all’inizio c’è molto anche della “Chanson de Roland”, dell’“Orlando furioso”, del “Don Chisciotte” e di Shakespeare; e più avanti di Alexander Pope, Jonathan Swift, Charles Dickens, Jane Austen, Charlotte Bronte, Oscar Wilde e Joseph Conrad. Tuttavia, la maggiore fonte di ispirazione è lo scrittore Daniel Defoe con il suo “Moll Flanders”.


Tuttavia, la singolarità è evidente, come è evidente il fatto che tanta letteratura successiva debba molto a questo romanzo, e non solo la letteratura, a cominciare da alcune costruzioni ideologiche e culturali, e a prescindere dal fatto che lo facciano o meno in maniera appropriata. 

È un'impresa ardua dire di che cosa parli “Orlando” evitando di dilungarsi troppo. Ma ci proverò lo stesso. Comunque, più che raccontato, dovrebbe essere letto e riletto. È un’opera difficilmente riassumibile, se non parzialmente e a grandi linee.


“Orlando” è concepito come una vacanza dalla scrittura impegnata, una sorta di delirio e di tributo assoluto alla libertà. Il titolo completo sarebbe “Orlando: una biografia”. Ed è infatti strutturato come se fosse una biografia di genere fantastico, in cui vi si trovano innestati desideri di carattere personale e letterario. 

L’eroe della Woolf attraversa i secoli e all’incirca a metà strada cambia sesso.


Il cambio di sesso però non cambia davvero Orlando, la sua identità resta la stessa così come la sua essenza. Virginia Woolf tiene particolarmente a questo concetto, come allo stesso modo rifiuta di attardarsi a disquisire sull'identità sessuale. E infatti scrive: «Ma lasciamo che altre penne si occupino di sesso e sessualità; noi liberiamoci il prima possibile di argomenti così tediosi.»

Tuttavia, nel quarto capitolo la scrittrice cerca di precisare la mutazione, che è profonda, ma contraddittoria. 


La differenza tra i due sessi c’è e non è semplificabile.

La complessità della nuova situazione non può essere qui riassunta, ma va letta e gustata direttamente dalle parole della Woolf.

La scrittrice descrive, in maniera suggestiva la “delizia” che coglie con sorpresa Orlando a causa della sua nuova condizione sessuale, preda di sensazioni mai provate per le attenzioni particolari che riceve dagli uomini, delizia, mista però a confusione, disappunto e inquietudine, avendo conservato memoria delle sensazioni precedenti da uomo.


Il conflitto interiore si estende di conseguenza anche ai diversi ruoli che uomini e donne sono costretti a “recitare”, all’accettazione delle convenzioni sociali. L’acume della Woolf tocca livelli di notevole capacità analitica e ci si chiede se quelle parole si adattino solo al Settecento, oppure se valgano in buona parte anche per il suo presente. In effetti, la scrittrice torna più volte sullo stretto legame estetico e culturale tra il Settecento e il Novecento. Sembra come se l’Ottocento, con il suo rigore vittoriano, non le sia molto congeniale.


Non c'è nulla di politico in senso stretto in questa fantasia della Woolf, ma molto di autobiografico. Sbaglierebbe chi vuole vederci la proiezione di un'utopia femminista in senso assoluto. Secondo Quentin Bell, suo nipote e biografo, come ci ricorda Harold Bloom, la scrittrice inglese non era marxista, né femminista.


Ciononostante, non è questo l’aspetto fondamentale del romanzo. Certo il cambio di sesso è un evento centrale che caratterizza indelebilmente tutta la storia. Come è indubitabile che la Woolf sia molto animata da spirito di emancipazione a favore del sesso femminile. Ma “Orlando” è soprattutto altro.


“Orlando” è un viaggio nella Storia lungo più di trecento anni. Dalla fine del cinquecento agli anni venti del XX secolo, con cui servirsi principalmente per motivi squisitamente estetici: lanciare a briglia sciolta la fantasia e la narrazione. È per questo anche un romanzo storico e d’avventura straordinariamente bello e un tributo appassionato alla lettura e alla letteratura. È un delirio poetico e visionario con un crescendo incredibile, fino alla fine. Un romanzo con pochissimi dialoghi, tanto è preso da un vortice narrativo e descrittivo.


Il libro è dedicato a Vita Sackville-West, amica e amante della scrittrice, ed è un po' come se fosse la sua biografia romanzata in chiave storico-satirico-fantastica. 

A metà strada tra il romanzo e la biografia,”Orlando”, quindi, è un libro sui generis. Deve aver fatto un’impressione incredibile quando fu pubblicato: considerato magari come letteratura sperimentale e d’avanguardia, un libro eccentrico e scandaloso, insomma.


Ma stranamente non ebbe problemi con la censura come accadde all’amica di Virginia, Radclyffe Hall, autrice de “Il pozzo della solitudine”.

Ciò fu dovuto anche alla prudenza della Woolf nel dissimulare alcune parti, al fatto che alcuni passaggi vennero eliminati, e al carattere fantastico dell’opera che la rende adattabile a diverse interpretazioni, al contrario de “Il pozzo della solitudine” dove i dettagli storici e il contesto generale non sono per nulla equivocabili. Molta materia fa parte del simbolico e quindi può essere facilmente mimetizzata.


L’aspetto biografico però non è parte solo di un gioco letterario. 

Il genere biografico in Inghilterra è tenuto tradizionalmente in grande considerazione. E quello della Woolf è come se fosse anche un tributo alle biografie, in particolare ai libri di Samuel Johnson e di altri autori dello stesso tipo.

La scrittrice non nasconde affatto la sua passione per questo genere, dato che fu autrice anche di saggi e articoli a carattere biografico.


“Orlando” è una biografia, ma è anche un’autobiografia, perché in fondo il/la protagonista è lei, Virginia, non è solo l’amica Vita. Tuttavia, è anche un romanzo sulla letteratura, sul piacere di raccontare e di leggere: contiene infatti diversi personaggi storici, soprattutto letterari. Potrebbe quindi essere definito una biografia della letteratura, in particolare di quella inglese.


È bene anche precisare che la spontaneità e la libertà del romanzo è tale perché non è ingabbiata nelle categorie che molto più in là si imposero anche come stereotipi: sesso biologico, identità di genere, orientamento sessuale e altro ancora, una fiera delle vacuità che conosciamo bene oggi. Era solo sesso e sessualità, libertà e invito alla liberazione sessuale senza bisogno di ulteriori definizioni. Il “sex” per la Woolf era un concetto molto estensibile, che comprendeva molteplici possibilità.


È pur vero, che “Orlando”, a prescindere dalle intenzioni della sua autrice, potrebbe aver influenzato le costruzioni ideologiche e culturali che sono venute alla ribalta negli ultimi decenni del XX secolo e nei primi del secolo successivo e che ancora oggi animano le polemiche intorno alla sessualità. Se la Woolf fosse d’accordo o meno con queste è materia solo di speculazione, è questione non verificabile. Che fosse addirittura favorevole all’istituzionalizzazione normativa delle categorie sessuali, mi pare assai improbabile, considerato lo spirito assolutamente libertario che la animava e che anima “Orlando”.


Ciò che importa veramente è che “Orlando” abbia valore letterario ed estetico per quello che è: un romanzo fantastico biografico nato in un contesto preciso, che punta molto sulla tecnica metanarrativa. 

Politicizzare strumentalmente la letteratura si rivela sempre un esercizio sterile e a volte anche dannoso.

Tra l’altro, è solo a partire dagli anni ottanta, che “Orlando” fu considerato un romanzo lesbico e dagli anni novanta “queer”, acquisendo un particolare valore per certe aree politico-culturali.


A mio parere, invece, restando a quello che il grande capolavoro di Virginia Woolf racconta, è una storia in cui la sessualità ha un ruolo fondamentale, ma che va anche ben oltre il sesso, è una favola storico romantica che ha come protagonista principale l’amore e l’esistenza vissuti dagli esseri umani a prescindere dal sesso. È un romanzo sulle contraddizioni che non devono essere per forza risolte nella loro definizione, ma vanno lasciate lì come sono. Ed è soprattutto un libro visionario sulle sensazioni, sulle suggestioni emotive legate all’intera esistenza e sulla molteplicità dell’io.


Il libro è diviso in sei capitoli ed è un vero godimento osservare come cambiando le epoche, anche il linguaggio, lo stile di scrittura della Woolf si adatta al tempo in cui si svolge la narrazione. Nel primo capitolo, siamo in epoca elisabettiana, nel secondo agli inizi del Seicento, il terzo è dedicato all’epoca della Restaurazione, il quarto al Settecento, il quinto al romanticismo e all'epoca vittoriana, il sesto alla fine dell’Ottocento e al presente della scrittrice. 


Una delle parti più  intense è contenuta nel primo capitolo: l'incontro con la principessa russa Saša Romanovič. Tra i due esplode una passione incontenibile, fatta di sospetti, gelosie, ma anche di estasi. La figura di Saša condizionerà tutto il romanzo, anche dopo la separazione da Orlando e anche dopo il suo cambio di sesso.


Il delirio visionario descrittivo di esplicita impronta shakespeariana della Woolf, con epilogo apocalittico al primo capitolo, tocca vette eccelse, tra incubo e sogno, con lo sfondo di una Londra ghiacciata come fosse preda di un incantesimo, nella quale si tiene anche la rappresentazione dell’“Otello”, a simboleggiare lo stato d’animo preda di inquietudine di Orlando con affianco una Saša / Desdemona.


Si percepisce come la scrittrice in queste pagine stia già preparando il lettore alla perdita dell’esatta dimensione del tempo, con la collina di Orlando al centro di questo universo in espansione o in contrazione del tutto soggettivo, che, però si ripercuote sugli avvenimenti narrati.

La stessa formula si proporrà alla fine del libro, anche se non più con impronta Shakespeariana, ma in pieno febbrile stile alla Woolf.


Attraverso i secoli, sarà presente una costante: Orlando scrive e riscrive, nell'arco del tempo di circa trecentocinquanta anni, lo stesso poema, “La Quercia”, titolo che è un riferimento diretto a John Locke e al suo “Saggio sull'intelletto umano” e che sarà posto come una sorta di sigillo alla fine del racconto, al «dodicesimo colpo della mezzanotte, giovedì undici ottobre millenovecentoventotto.»

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