venerdì 24 maggio 2024

“Il grande freddo” (1983) regia di Lawrence Kasdan


 
Cult Movie


“Il grande freddo” (1983)



regia di Lawrence Kasdan

con: Glenn Close, Kevin Kline, William Hurt, Tom Berenger, Jeff Goldblum, Meg Tilly, JoBeth Williams, Mary Kay Place.


«Chi avrebbe detto che avremmo fatto i soldi, noi contestatori?»


Dopo l’ennesimo disco anni sessanta:

“Harold, non hai nessun'altra musica, che so...di questo secolo?"

"Non esiste altra musica...non in casa mia"

"C'è stato un mare di musica fantastica negli ultimi anni..."

"Sì? Quale?”


Michael: Dove lavoro io abbiamo una sola norma editoriale: non scrivere niente di più lungo che un uomo medio non legga durante una cacata media. Sono stufo che il mio lavoro venga letto nei cessi.

Harold: La gente leggeva Dostoevskij nel cesso.

Michael: Non in una cacata sola però!


Sam: Se ci fossimo sposati, andremmo a fare la spesa così.

Karen: No: se ci fossimo sposati mi ci avresti mandato da sola.


«Voi che credete? Che stando in contatto con lui lo avreste salvato? Fate quell'effetto lì sulla gente, nella vostra vita? Li rendete tutti allegri? Ma ragionate: siamo tutti soli, là fuori, e domani ci ritroveremo là fuori di nuovo. Trovo che ha fatto bene Alex a non fare della sua vitaccia un nitido fasullo condensato alla Reader's Digest per nostro svago: sono così stufo di gente che svende la sua psiche per un po' di attenzioni!»


Se c’è un film manifesto sui cosiddetti e “maledetti” boomers, è proprio questo. Una commedia dai toni leggeri, ma intelligente, e assai puntuale nella caratterizzazione. 

Sono tanti i film made in USA che rappresentano un’intera generazione, le sue speranze e le sue illusioni, ma questo è quello più ingenuo, romantico e toccante, lo è senza strafare, è semplice, quasi naif, con una colonna sonora pazzesca e all’insegna della nostalgia. 


Lo è molto più, per esempio, di “Easy Rider”, di “Fragole e sangue” o di “Hair”, perché è un film meno “ribelle”, più riservato al microcosmo esistenziale, più intimista, ma anche più ironico e più vicino alla realtà di quelli che, verso la fine del “trentennio glorioso”, avrebbero voluto cambiare il mondo.


“Il grande freddo” non è il film della fine definitiva delle illusioni, perché il rimpianto e la nostalgia agiscono da collante in maniera ancora intensa sui personaggi. Anche i brevi cenni di cinismo e i contrasti non riescono a intaccare la solida corrente affettiva che scorre all’interno di questa piccola comunità di amici. 


Ci si avvia verso un tenue e dolce tramonto, nel quale, tuttavia, la forza dell’amore tiene avvinti i protagonisti. Lo fa con una tenerezza e una levità assolute, senza i clamori, la pretenziosità e l'autocelebrazione di altre pellicole, in un’età di passaggio, inizi anni ottanta, in cui parte dell'innocenza è ancora intatta.


Lawrence Kasdan può contare su un cast giovanile d’eccezione, all’interno del quale nessuno cerca di rubare la scena agli altri, la stessa armonia che lega i personaggi, tiene avvinti anche gli attori, che si esibiscono in una sobria ed essenziale recitazione, ma ad alti livelli qualitativi. Ogni attore collabora e interagisce in maniera estremamente naturale. Alcuni di loro diventeranno famosi dopo questo film.


Una curiosità: Kevin Costner, invece, non fu particolarmente fortunato, interpretò la parte di Alex, l’amico suicida, col funerale del quale si apre la storia, e il cui ricordo è il motivo stesso della reunion celebrata nel film; ma le scene girate che dovevano fare parte dei flashback, furono poi tagliate in sede di montaggio. 


Peccato per Costner, ma probabilmente fu la scelta migliore, preferendo un unico piano temporale. I flashback potevano rischiare di frammentare e di compromettere la scorrevolezza della storia.

Ma anche perché in definitiva Kasdan rifiuta di trasmettere un messaggio che resta ingabbiato nella nostalgia del passato. È un film sul presente che ha la pretesa di mantenere viva una speranza sul futuro, una speranza più concreta e meno utopica.


Emozione e commozione procedono di pari passo insieme alle canzoni della colonna sonora, di cui col tempo sono state pubblicate diverse versioni, contenenti molti out-takes. Spiccano in particolar modo: “I Heard It Through the Grapevine” di Marvin Gaye, “A Whiter Shade of Pale” dei Procol Harum, “You Can't Always Get What You Want” dei Rolling Stones, “Gimme Some Lovin’” dello Spencer Davis Group, Aretha Franklin con “(You Make Me Feel Like A) Natural Woman” e Wilson Pickett con “In The Midnight Hour”; ma solo quando arriva “The Weight” della Band, arriva anche il colpo al cuore definitivo.

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