domenica 23 giugno 2024

AA.VV. "Donna, vita, libertà” (2023), a cura di Marjane Satrapi

 


AA.VV. "Donna, vita, libertà” (2023), a cura di Marjane Satrapi 

«L’assassinio di Mahsa Amini ha dato avvio alla prima rivoluzione femminista della storia sostenuta dagli uomini. Nelle prossime pagine vedrete gli episodi che hanno segnato il movimento “Donna, Vita, Libertà”, che è stato in grado di unire persone dentro e fuori l’Iran, e i tanti modi in cui le iraniane e gli iraniani si sono mobilitati, a volte a costo della loro stessa vita.»


«Da quarantaquattro anni, tutte le alte sfere del potere sono occupate da 2500 uomini provenienti da un ristretto numero - al limite dell’incesto - di famiglie del clero… Il numero delle donne autorizzate ad andare all’università è limitatissimo e molti ambiti di studio rimangono proibiti perché giudicati poco femminili.

Le donne non possono lasciare il Paese o farsi operare senza l’autorizzazione di un “maschio”, che sia il padre, il fratello, il marito eccetera…

… Eppure, malgrado tutte queste vergognose limitazioni, ci sono più donne laureate, che uomini, più donne autrici e imprenditrici di prima e un numero sproporzionato di autrici di best seller in Iran e nella diaspora.»


«Anche i radical chic che, negli anni, hanno denigrato il movimento delle donne e la lotta contro l’hijab obbligatorio definendoli capricci della piccola borghesia, ormai capiscono che, se le donne non sono libere e con pari diritti, la libertà e la democrazia non possono essere parte della società.» 


«L’uomo che vuole controllare il tuo corpo, la tua vita, vuole anche controllare cosa pensi e cosa non pensi. È per questo che la questione non si limita al velo… È una lotta per la libertà d’espressione e per i diritti umani!!!»


Per ricordare Mahsa Amini, ragazza iraniana morta il 16 settembre 2022, a causa delle percosse ricevute dalla polizia morale per aver indossato male il velo, a un anno dalla sua morte, viene pubblicato questo volume dalla casa editrice “L’Iconoclaste”, ed è curato da Marjane Satrapi. Esiste quindi un collegamento con l’autrice di “Persepolis” e con le manifestazioni di piazza che da due anni si svolgono in Iran.


La Satrapi e il suo “Persepolis” sono il punto di riferimento di questa operazione editoriale di notevole impatto visivo e contenutistico, perché il volume è una raccolta di fumetti, di racconti e di testi illustrati, che si pone in continuità proprio con la famosa graphic novel di Marjane, che, oltre alla cura editoriale, si limita solo a scrivere la presentazione, qualche testo e a fare qualche disegno, dato che l’artista ha deciso di porre fine alla sua attività di fumettista nel 2004. 


La maggior parte del volume, quindi, ospita gli interventi di altri autori, con la collaborazione in particolare di tre persone, oltre alla Satrapi: Farid Vahid, politologo, esperto di storia dell’Iran, Jean-Pierre Perrin, reporter prima di “Libération” e poi di “Mediapart” e Abbas Milani, storico del dipartimento di Iranian Studies a Stanford.

I disegnatori sono quattro iraniani e tredici tra europei e americani. 


Il protagonismo delle donne in Iran viene da lontano, il movimento di protesta degli ultimi due anni non è una cosa improvvisa, inaspettata, ma è legato a una storia che è lunga millenni, il libro, con i contributi raccolti, racconta anche di quanto sia particolare la cultura persiana e di quanto peso abbia da sempre in un Paese con una storia molto travagliata come l’Iran.

Segue quindi anche un breve profilo di Mahsa Amini che spiega perché questo episodio ha prodotto una così viva reazione; e perché è stato scelto proprio lo slogan “Donna, vita, libertà” che ha poi dato nome all’intero movimento.


Lo slogan viene dalla lotta dei curdi della regione autonoma del Rojava che lo avevano a loro volta preso dal PPK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), partito di opposizione curdo.

I curdi del Rojava avevano creato dieci anni prima un laboratorio di democrazia dove le donne avevano un grande peso, anche formando battaglioni esclusivamente femminili che combattevano contro lo Stato Islamico che le voleva sterminare.


Viene analizzata in ogni strofa la canzone «Barâyeh» di Shervin Hajipour, inno della rivolta. La canzone accenna a diversi temi, tra cui: la violenta disuguaglianza tra sessi; la povertà che colpisce soprattutto i bambini; la repressione brutale; l’inquinamento; la devastazione urbana; i cani maltrattati perché considerati impuri; milioni di afghani rifugiati in Iran, che che non hanno gli stessi diritti degli iraniani; gli edifici costruiti senza tener conto delle norme antisismiche, grazie alla corruzione che favorisce le oligarchie; il carcere inferno di Evin, dove i prigionieri vengono sottoposti a torture e umiliazioni.


Il regime islamista si comporta come l’Inquisizione cattolica ai tempi di Giordano Bruno e di Galileo: pretende l’abiura.

Se vivete in Iran, scordatevi le manifestazioni di protesta autorizzate: sono tutte vietate e le piazze sottoposte a controllo ossessivo. Quindi, bisogna imparare alcune tecniche per riuscire a organizzarsi e per sfuggire alla polizia e ai picchiatori di regime.


Il venerdì nero del 6 ottobre 2022 è stato uno dei giorni peggiori, quando la polizia sparò sui manifestanti che si erano riuniti per protestare contro lo stupro di una ragazza di 15 anni del Belucistan da parte del capo della polizia, ma anche su semplici passanti e sui bambini, uccidendo sessantasei persone e ferendone circa un centinaio. I beluci, sciiti non persiani, vengono discriminati da più di quarant’anni.


L’anima della nuova protesta sono le generazioni più giovani, oltre ovviamente alle donne. È un movimento femminista e di popolo vivo che lotta per la propria liberazione e per quella di tutta la società iraniana, ed è vergognoso che dai movimenti politici occidentali venga pochissima solidarietà per motivi ideologici, subalterni a logiche geopolitiche da tifoserie calcistiche: le opposizioni iraniane non meritano manifestazioni e cortei perché sarebbero eterodirette dai media occidentali, dagli USA e da Israele. 


In Occidente molti movimenti credono alle menzogne della propaganda iraniana e le ripetono a pappagallo, molti hanno paura di passare per islamofobi: “Persepolis” è proibito in molte scuole americane proprio per islamofobia. 

La Satrapi dice nel colloquio finale: «Molti film iraniani che si vedono a Cannes sono concepiti per piacere ai francesi… la collina, un asino, l’esotismo… ma merda! Siamo umani come te! Una giuria di ricchi che assegna premi a film orientali che sembrano poveri. Si chiama buona coscienza.» E io aggiungerei che è anche un misto tra senso di colpa e razzismo.


Khomeini diceva: «Posso mentire su tutto, se lo faccio in nome di Dio.»

La manipolazione delle coscienze tramite l’informazione, infatti, è uno dei punti cardine della Repubblica islamica. La TV diffonde informazioni false, diffama gli oppositori. Il regime crea account troll sui social, crea dal nulla oppositori demagoghi che nessuno conosce, minaccia i membri della diaspora. Cose che, in alcuni casi, vediamo anche da noi, ma che sono enfatizzate ed estremizzate in maniera imparagonabile. Una vera e propria pressione ossessiva che si estende in ogni ambito della vita quotidiana.


Farid Vahid, con l’aiuto di alcuni disegnatori, denuncia le molte condanne alla pena capitale, le studentesse gasate a novembre del 2022, le intercettazioni, le minacce, il controllo orwelliano a cui sono sottoposti i cittadini.

Abbas Milani, Farid Vahid, Perrin e la Satrapi si alternano nel raccontare la storia del Paese: le tre rivoluzioni, la caduta dello scià, la guerra con l’Iraq, l’introduzione della Sharia, come sono ripartiti i poteri politici, cos’è la polizia morale, creata nel 2005 da Ahmadinejad, e cosa sono i terribili e potenti Guardiani della rivoluzione islamica, che rappresentano terrore, corruzione e fanatismo.


Il regime di Khamenei in cambio del sostegno degli oligarchi, li sostiene economicamente e questi godono di privilegi, di assoluta libertà, non devono sottostare alle coercizioni e alla censura imposte dalla legge, mentre la maggioranza dei cittadini diventa sempre più povera e più oppressa. È il classico sistema di scambio mafioso. Il regime ormai si regge solo su di loro e sul terrore, perché il consenso in quarant'anni è quasi del tutto svanito. La debolezza dell’opposizione però è la divisione interna e il fatto che molti dei cervelli migliori sono emigrati.


La differenza di ricchezza tra le regioni, le città e addirittura i quartieri è impressionante, perché è concentrata nelle mani delle classi benestanti.

La censura opera in maniera capillare, ma in modo a dir poco grottesco e ridicolo con tagli e cancellazioni anche su vecchie pellicole.

L’opposizione in Iran è trasversale, coinvolge tutte le classi sociali, credenti e non credenti.


Il compito della diaspora è importante, si occupa di informare l’opinione pubblica occidentale, con molti rischi e scarso successo purtroppo.

Alcuni autori ci rivelano che, dopo quarant'anni di Repubblica islamica, la fede religiosa è purtroppo ai minimi storici. Il regime, quindi, per eterogenesi dei fini ha danneggiato un'intera religione.

Alla lunga il fondamentalismo finisce sempre per fare del male innanzitutto alle proprie religioni di riferimento.


Assai toccante è la parte dedicata alle vittime della repressione dalla morte di Mahsa Amini in poi, tutti giovani o molto giovani. 

Mentre è tra il serio e il faceto la ricostruzione a fumetti della storia e della composizione della diaspora, circa otto milioni di iraniani, sparsi in tutti i continenti, in cui regna molta diffidenza a causa degli infiltrati e degli informatori di regime, che spesso tiene in vero e proprio ostaggio i familiari rimasti in Iran.


Alle donne è vietato partecipare a molti eventi sportivi, anche solo come tifose, ma le sfide al divieto non mancano: travestendosi da uomini, o più recentemente, partecipando senza velo alle gare sportive consentite.

«Vivere da sola, fare jogging, truccarsi, mettersi lo smalto, farsi un piercing, indossare il velo lasciando vedere i capelli, o non indossarlo affatto, lavorare, cantare, flirtare» sono piccoli grandi gesti di disobbedienza da parte delle donne. «Sono gocce che fanno il mare» (proverbio persiano).


Sono molti i dissidenti famosi arrestati e torturati. Nel volume ne vengono presentati alcuni. 

Una delle torture più terribili è quella della cosiddetta “tortura bianca”, denunciata nel 2022 dalle testimonianze di quattordici donne, raccolte dall'avvocatessa Narges, detenuta anche lei, che consiste nel chiudere la prigioniera in una stanza interamente bianca, costringendola a non avere più la percezione del giorno e della notte per spingerla quasi fino alla follia.


Molto istruttivo e divertente è il fumetto posto alla fine del volume che riporta il colloquio tra Perrin, Vahid, Milani e la Satrapi, di cui è autore il disegnatore ebreo Joann Sfar, amico di Marjane da trent'anni, in cui vengono affrontati vari temi: su Iran, Francia, Occidente e sull’emancipazione della donna e di come questa sia oggi centrale per favorire ogni cambiamento sociale. Il popolo iraniano comincia a non avere più paura, è il regime ora ad avere paura.

Il volume si chiude con un messaggio finale di grande speranza che auguro ardentemente agli iraniani di riuscire a realizzare.


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