venerdì 14 giugno 2024

“Gli spietati” (1992) - regia di Clint Eastwood

 



Cinema - Cult Movie 


“Gli spietati” (1992)


regia di Clint Eastwood 

con Clint Eastwood, Morgan Freeman, Gene Hackman, Ed Harris, Jaimz Woolvett, Anna Thomson, Frances Fisher.


«Era una giovane donna avvenente, dal promettente futuro. Per questo alla madre si spezzò il cuore quando decise di sposarsi con William Munny, un rinomato ladro ed assassino, uomo dal temperamento notoriamente vizioso e violento. Quando ella morì, non fu per sua mano come la madre si sarebbe potuta aspettare, ma di vaiolo. Era il 1878»


«È una cosa grossa uccidere un uomo: gli levi tutto quello che ha... e tutto quello che sperava di avere.»


«Amico sei un vigliacco figlio di puttana! Hai sparato a un uomo disarmato!»

«Avrebbe dovuto armarsi se voleva decorare il suo saloon con il sangue del mio amico.»


«Tu sei William Munny del Missouri, hai ucciso donne e bambini.»

«Sì, ho ucciso donne e bambini, ho ucciso creature che camminano e strisciano in tempi lontani, e ora sono qui per uccidere te Little Bill, per quello che hai fatto al mio amico.»


«Allora, sto uscendo. Se vedo qualcuno là fuori l'ammazzo. Se qualche figlio di puttana mi spara addosso non ammazzo soltanto lui, gli ammazzo anche la moglie e tutti i suoi amici. E poi gli brucio anche la casa. Meglio che nessuno spari. […] Voglio che facciate per Ned un bel funerale! E non azzardatevi più a sfregiare prostitute! Altrimenti torno e vi ammazzo tutti, figli di puttana.»


Quando per la prima volta, appena uscito, vidi “Gli spietati”, ebbi la certezza che Eastwood sarebbe rimasto per sempre tra i registi fondamentali della storia del Cinema. Non solo. Per molti anni, considerai questo film il mio preferito della sua intera produzione. E ancora oggi, sono incerto se lo sia o meno.

Non è un dubbio di così rilevante importanza, lo so, ma ho voluto evidenziarlo, per il fatto che questa è comunque l’opera che segna un momento di passaggio, di svolta nella sua filmografia. Ma è di svolta anche per il Cinema di genere. Almeno per quello western.


Innanzitutto, è con questo, il tredicesimo film western interpretato, che Clint Eastwood si emancipa definitivamente da Sergio Leone. Non perché smetta di rendere omaggio al grande regista italiano, ma perché ogni paragone non ha più senso. La dedica finale a lui e a Don Siegel non è affatto casuale e va a favore di tale interpretazione: è un omaggio a sigillo di un'epoca ormai definitivamente chiusa.


La sceneggiatura e il soggetto, scritti nel 1976, sono di David Webb Peoples. Il primo a interessarsene fu Francis Ford Coppola che negli anni ottanta voleva realizzarci un film con John Malkovich nei panni di Munny. 

Ma nel 1983, ne acquistò i diritti Eastwood che aspettò altri nove anni. Fu lo stesso Clint a dire il perché in un'intervista: «Gli anni passavano e quando alla fine si è presentata l’occasione avevo l’età del personaggio e il ruolo mi stava come un guanto». 


Il “cavaliere pallido” non riesce neanche più a salire in sella ad un cavallo e si accompagna a un amico che più improbabile non si può. 

Due ex bounty killer, ormai in “pensione”, sono di nuovo attratti più che dai soldi, dall'avventura, anche se non osano ammetterlo. Certo, il compenso in denaro è il motivo per cui Munny, ormai vedovo e con due figli piccoli a carico, si convince ad accettare. Ma non è l’unico.


“Gli spietati” è un film che stravolge i canoni del Western, compresi quelli che hanno reso ineguagliabile Leone. Chi vuole, può  vederci anche delle affinità con “Il buono, il brutto e il cattivo”, dove Munny potrebbe essere un “Biondo” con una storia di ferocia, redenzione e disperazione. 

L’eclettismo di Eastwood trova compimento per la prima volta in unico film. Il vero punto di svolta, infatti, è proprio questo. Lo schema si riproporrà poi più volte nel prosieguo della sua carriera in film di tutt’altro filone, e fino a quando tornerà al genere western solo nel 2021, con il film “Cry Macho”, un’opera, però, sui generis e “fuori tempo massimo”. 


Non è tanto l’apparente capovolgimento dei buoni e dei cattivi a funzionare, anche perché questo schema, ad un certo punto, nello svolgimento della trama, va a pezzi, in corto circuito, lasciando di sasso lo spettatore. Non è più una questione di buoni e di cattivi e neanche una questione di ruoli che si confondono, quanto invece di tragedia che si fonde con la commedia e con il grottesco. Tutto si stravolge. L'epicità viene buttata fuori dalla porta per rientrare dalla finestra. Ma la negazione del mito in senso tradizionale è evidente. Nulla sarà più lo stesso nel western e nulla sarà più lo stesso nella filmografia di Clint.


Il mito della frontiera viene destrutturato, svuotato, ridicolizzato e ridotto ai minimi termini. Per essere ricostruito in maniera diversa. La morale viene completamente negata, a favore di una realtà contraddittoria, fatta di un nero e completo pessimismo. Nel contempo, però, alcuni canoni restano intatti. 

Il finale nella sua crudezza, è pura ricomposizione del mito, con un Munny-spettro che pare arrivare da un altrove, direttamente dal regno dei morti. 

Sembra non esserci più redenzione per Munny, questa però potrebbe forse trovarsi, non solo nella violenza della vendetta, ma soprattutto nello sguardo e nel sorriso di una prostituta sfregiata.


I personaggi principali e le interpretazioni meritano un discorso a parte. Innanzitutto, nessuno di loro ha punti di contatto caratteriale con gli altri. Sono come degli universi separati, delle isole in un oceano di disperazione.

Certo, la prova attoriale di Gene Hackman è inarrivabile, e rende alla perfezione l’odiosa e maligna sicurezza senza scrupoli dello sceriffo Little Bill Daggett.


Le altre interpretazioni, tuttavia, non sono poi così da meno.

Da un Clint Eastwood che ritrova, alla fine, estremizzati in una funerea sintesi, Joe, il Monco e il Biondo della Trilogia del Dollaro; passando per un Morgan Freeman, assai misurato ed efficace nei panni del leale e coscienzioso Ned Logan; per un funambolico, caricaturale e buffonesco Bob l’Inglese, interpretato da Ed Harris; fino all’ingenuo Schofield Kid di Jaimz Woolvett. Senza dimenticare una dolce Anna Thomson e una determinata Frances Fisher, nella parte delle due protagoniste di sesso femminile.

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