mercoledì 5 giugno 2024

“M, il mostro di Düsseldorf” (1931) regia di Fritz Lang

 


Cult Movie


“M, il mostro di Düsseldorf” (1931)


regia di Fritz Lang 


con Peter Lorre, Otto Wernicke, Gustaf Gründgens, Theo Lingen, Inge Landgut.


«Scappa scappa monellaccio,

se no viene l'uomo nero

col suo lungo coltellaccio,

per tagliare a pezzettini

proprio te!»


«Forse si tratta di un individuo che quando non è reso dalla mania assassina, è un povero essere innocuo, dall'aspetto borghese, incapace di fare del male a una mosca. Forse nel suo stato normale gioca con i bambini della sua padrona di casa o gioca a carte con gli amici. Senza questa – non so come definirla – innocenza privata di certi assassini non sarebbe stato possibile che certi famosi criminali della storia abbiano potuto vivere per anni in mezzo ad una comunità senza suscitare il minimo sospetto.»


«Ma chi sei tu? Ma cosa dici tu? Chi sei tu che vuoi giudicarmi? E chi siete voi? Un branco di assassini, di malviventi. Ma chi credete di essere? Solo perché sapete come si fa a scassinare una cassaforte, o ad arrampicarsi sui muri e sui tetti. Sapete fare questo e niente altro. Non avete mai lavorato, in vita vostra! Non avete mai imparato un lavoro onesto. Siete un branco di maiali. Niente altro che un branco di maiali pigri! Ma io, che posso fare? Che posso fare altro? Non ho forse questa maledizione, in me? Questo fuoco, questa voce, questa pena!»


«Nessun uomo ha il diritto di giustiziare una persona che non è responsabile di quello che ha fatto, nessun uomo! Nemmeno lo Stato e voi... meno che mai! Lo Stato ha il dovere di far sì che questa persona irresponsabile non rechi danno e che essa non rappresenti un pericolo per il prossimo.»


Fritz Lang è universalmente noto soprattutto per “Metropolis”, film culto dell'espressionismo tedesco uscito nel 1927, che è anche uno dei primi film di fantascienza della storia. 

Tuttavia, la pellicola oggetto di questa recensione è, a mio parere, qualitativamente superiore. Ed era anche il film preferito dello stesso regista.  Fu scritto, come altri suoi film, con la moglie Thea von Harbou.

Maestro del cinema muto, Lang qui, per la prima volta, si confronta col sonoro e il risultato è semplicemente strepitoso.


“M, il mostro di Dusseldorf” è un esempio di cinema da manuale: l’espressionismo che incontra il noir e il thriller, è, nel caso specifico, una formula più che felice. 

Lang sapeva giocare perfettamente con la cinepresa e lo sapeva fare con i pochissimi mezzi messi a disposizione all’epoca. La sensazione di vertigine data dai bambini che fanno la conta in cerchio, ripresi dall’alto, la tromba delle scale, la spirale in vetrina è la stessa vertigine che coglie il mostro.


L’ideogramma “M” è sicuramente un richiamo alla “A” del romanzo “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne. “M” è l’iniziale di Morder (assassino) e di Monstrum, ma anche di Mabuse, il protagonista di un altro capolavoro di Lang che era l’incarnazione del male o mal (“M” in italiano in spagnolo e in francese). E, per finire, la “M” è anche l’iniziale di Metropolis. Tutti collegamenti che non è superfluo indicare e che svelano l’ambiguità, i riferimenti e la forte simbologia contenuti nell’opera di Lang.


Ogni immagine, ogni inquadratura è un’opera d’arte. Prospettive, primi piani e piani sequenza si integrano l’uno con l’altro in maniera più che naturale. 

Il cinema sonoro si alterna ancora, in alcune sequenze, con quello muto. Scende a tratti un silenzio inquietante, come a sottolineare la cupezza della trama. 

Il sonoro, tranne che per le parti recitate, infatti, fu aggiunto dopo, ma solo per alcune scene.


L’apparizione, nel corso di tutto il film, di cancelli, porte di legno e di metallo fatte di travi e di sbarre sono lì ad annunciare un destino già scritto, ma simboleggiano anche la mente chiusa in una gabbia, non solo del maniaco, ma di un’intera società.

Così come la filastrocca, apparentemente innocente, ma crudelmente realistica, recitata dai bambini in circolo, che appare nella sequenza iniziale, introduce alla più nera tragedia.


Nel titolo in italiano si nomina Düsseldorf, nella versione originale in tedesco, però, è semplicemente “M” e le scene sono state girate a Berlino. 

Tuttavia, Düsseldorf non è scelta a caso, perché Lang si era ispirato ad un famoso caso di cronaca nera avvenuto proprio in quella città nel 1925, quello rimasto nella memoria proprio come il “Vampiro di Düsseldorf”.


Siamo nella Germania di Weimar pochi anni prima dall’avvento del nazismo, arrivo che si percepisce già nella violenta atmosfera del film. Lang e Lorre furono poi costretti a lasciare il paese.

Un serial killer rapisce, violenta e uccide delle bambine. L'ossessivo motivo del “Peer Gynt” di Edvard Grieg, fischiato dal maniaco, è ciò che lo contraddistingue e lo condanna.


Strepitoso Peter Lorre, attore teatrale e allievo di Bertolt Brecht, con la sua maschera di alienata sofferenza, di terrore e di odio.

Eccellente l’interpretazione di Otto Wernicke nel ruolo dell’untuoso e arrogante commissario Karl Lohmann. Bravissimi tutti gli attori, cresciuti nella “palestra” del cinema muto e dell’espressionismo tedesco.


Le indagini poliziesche non danno i frutti sperati. Lang mostra con divertito sarcasmo l’incompetenza delle forze dell'ordine, oltre a sottolineare la loro propensione a perseguire indiscriminatamente cittadini di tutti i tipi. Il totalitarismo è, infatti, a due passi.

La situazione di controllo ossessivo si fa insostenibile per tutti, e la criminalità organizzata si accorda con i mendicanti per condurre delle indagini parallele finalizzate alla ricerca del colpevole.


Strabilianti le sequenze della riunione delle istituzioni alternate con quella delle organizzazioni criminali, tese deliberatamente a ingenerare confusione nello spettatore: nella sostanza, la logica appare proprio la stessa. 

Tuttavia, la trovata maggiormente geniale è quella kafkiana del processo gestito dai criminali, al cospetto di un’enorme folla nei sotterranei di un caseggiato abbandonato. Il processo replica non a caso le dinamiche proprie della giustizia ordinaria.


Da antologia sono l’arringa di un criminale contro la pena di morte, nelle vesti dell’avvocato difensore, e il monologo di Peter Lorre, che sembra anticipare quello finale del “Monsieur Verdoux” di Chaplin.

Consiglio assolutamente la versione originale sottotitolata, che trovate qui su youtube, e non quella doppiata in Italiano. Fare a meno della recitazione in tedesco, vuol dire perdere molta dell’essenza del film.


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