venerdì 19 luglio 2024

Amos Oz, “Una storia di amore e di tenebra” (2002)

 


Classici


Amos Oz, “Una storia di amore e di tenebra” (2002)


«Solo di libri, da noi, c'era abbondanza: da una parete all'altra, in corridoio e in cucina e in ingresso e sui davanzali delle finestre e dappertutto. Migliaia di volumi, in ogni angolo della casa. C'era come la sensazione che mentre gli uomini vanno e vengono, nascono e muoiono, i libri invece godono di eternità. Quand'ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand'anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca, a Reykjavik, Valladolid, Vancouver.»


«Ovviamente sapevamo quanto fosse dura la vita in Israele: sapevamo che faceva molto caldo, che c'erano il deserto e le paludi, la disoccupazione e gli arabi poveri nei villaggi, ma vedevamo sulla grande mappa appesa in classe che gli arabi in terra d'Israele non erano molti, forse in tutto mezzo milione a quell'epoca, sicuramente meno di un milione, e c'era l'assoluta certezza che ci fosse spazio a sufficienza per qualche milione di ebrei, che probabilmente gli arabi sarebbero stati incitati contro di noi come il popolino in Polonia, ma si sarebbe potuto spiegare loro e convincerli che da noi avrebbero tratto solo vantaggi, economici, sanitari, culturali e quant'altro. Pensavamo che entro breve tempo, qualche anno appena, gli ebrei sarebbero stati la maggioranza in Israele - e allora avremmo dimostrato a tutto il mondo come ci si comporta in modo esemplare con una minoranza. Così avremmo fatto noi con gli arabi: noi, che eravamo sempre stati una minoranza oppressa, avremmo trattato la nostra minoranza araba con onestà e giustizia, con generosità, avremmo costruito insieme la patria, diviso con loro tutto, non li avremmo mai, assolutamente mai, fatti diventare dei gatti. Che bel sogno.»


«Scrivere un romanzo, ho detto una volta, è più o meno come montare con i mattoncini del Lego tutte le catene montuose d'Europa. O costruire un'intera Parigi, case piazze viali torri sobborghi, sino all'ultima panchina di un parco, usando solo fiammiferi e mezzi fiammiferi.»


«Invero anche i libri non era difficile bruciarli, comunque io da grande volevo diventare uno di loro, se non altro avevo qualche probabilità che almeno una copia sperduta sarebbe riuscita a sopravvivere, se non qui magari in un altro paese, in una città, in una biblioteca remota, in uno scaffale dimenticato da Dio: lo vedevo da me, come i libri riuscivano a nascondersi e sprofondare nel buio della polvere tra le file stipate di tomi, sotto cumuli di fascicoli e riviste, a trovarsi un nascondiglio inaccessibile dietro altri libri…»


«Molte volte la psiche è il peggior nemico del corpo: non lo lascia vivere, non gli permette di godersi il proprio buono stato e non lo lascia riposare quando chiede requie. Se riuscissimo a tirare fuori la psiche con una piccola operazione, più o meno come si levano le tonsille dalla gola o l'appendice, tutti potremmo vivere mille anni godendoci la nostra buona salute.»


Terminata la lettura di questo libro, ho provato quasi la sensazione di commettere un torto nel chiuderlo e riporlo nello scaffale, tante sono state le sensazioni che mi ha trasmesso e la tempesta emotiva che ha fortemente suscitato dentro il mio animo. In un periodo come quello presente, pieno di banalità, in cui mi vengono a noia molte cose, è davvero tanto.

Ho deciso quindi di riservargli il privilegio di un posto nella più importante delle piccole librerie della mia camera da letto. Un modo per assicurargli una vicinanza anche fisica.


Come si scrive un romanzo autobiografico? Amos Oz ce lo mostra con questo grande capolavoro. Un'opera monumentale che parte dalla sua infanzia a Gerusalemme, nel suo piccolo appartamento strapieno di libri dove viveva coi suoi colti genitori che padroneggiavano una quantità di lingue diverse. Ci narra della Gerusalemme di allora, del 1947, delle cause del conflitto arabo israeliano. Ma anche della capacità dei popoli di vivere assieme. 

Un mondo perduto? Oggi, a più di vent'anni dalla sua prima pubblicazione, quando Oz aveva quasi la mia età, ho il timore che possa essere purtroppo così.


“Una storia di amore e di tenebra” è come uno scrigno pieno di gemme preziose, di racconti, di aneddoti, di memorie e di Storia. È un libro drammatico, comico, commovente, tragico e grottesco. Un romanzo colmo di umanità, di commozione e di pietà. È un tesoro immenso quello che si trova in queste pagine.


È un enorme esercizio di memoria quello che compie lo scrittore, o, meglio, si tratta della capacità di riuscire letteralmente a “estrarre”, come scrive lui stesso, i ricordi dalla memoria. E non importa se siano del tutto veri, non esiste la possibilità di riportare nel dettaglio gli eventi vissuti da ognuno di noi. L'importante è che sia autentico lo spirito nel volerli ricostruire, ed è anche a questo che serve la letteratura.


Racconta del fascino che esercitava sui gerosolimitani Tel Aviv, la città oltre i Monti di Tenebra, dove abitavano alcuni suoi parenti. Una città quasi leggendaria, un luogo mitico, da ammirare incondizionatamente. Amos bambino la immaginava come il luogo della felicità, non come Gerusalemme dove tutto pesava e bisognava stare attenti persino a dove poggiare i piedi. 

Avrebbe poi, più tardi, scoperto quanto si stava invece clamorosamente sbagliando, a causa dell’amara ironia della sorte, non certo per colpa di Tel Aviv.


Lo scrittore ci introduce poco per volta alle speranze degli ebrei israeliani dell’epoca, alla loro vita appesa a un filo, alle difficoltà con l’ebraico, e a quelle di tutt'altra natura, con gli arabi, alla paura del senso del ridicolo che li paralizzava.

La sua era una famiglia del ceto medio colto e di origine lituana, inserita nella società israeliana di allora, una società con decine di etnie diverse, ebrei che provenivano dai più disparati angoli del mondo. Il padre era bibliotecario e nutriva una passione smodata, carnale, per i libri. E fu proprio il padre a iniziarlo a questo grande amore.


Era presente un fermento incredibile: molteplici differenze, non solo etniche, ma culturali, politiche, filosofiche, letterarie.

È un viaggio affascinante nella memoria quello di Amos Oz, compiuto con la sua consueta sensibilità. Un viaggio nei conflitti dell’epoca. Un viaggio in cui lentamente prende forma quel mondo di allora. Tuttavia, lo scrittore israeliano intende andare anche più indietro nel tempo, rivisitando all’incirca centoventi anni di storia.


“Una storia di amore e di tenebra”, oltre ad essere una autobiografia, è una saga familiare. 

Vivevano col coprifuoco degli inglesi, in un senso di precarietà, pur non essendo poveri, dovevano arrangiarsi e pure lui dava una mano in famiglia. La Shoah era ancora cosa recente e qualche pogrom in Europa ancora si verificava, e lì pure, in Israele, avevano a che fare col muftì che invocava il massacro degli ebrei.


L’infanzia di Amos a Gerusalemme, quali erano i suoi giochi, il suo carattere, la quieta tendenza alla solitudine, questo ci presenta lo scrittore all’inizio del libro, seguito da una straordinaria riflessione sulla letteratura: quanto c’è di autobiografico nelle narrazioni, qual è il ruolo del buon lettore, l’invito a non indagare sulla vita dello scrittore, ma di provare a mettersi nei panni dei personaggi, il quinto capitolo è un vero e proprio saggio sull'arte di leggere, che può essere anche letto separatamente dal resto del libro.


“Una storia di amore e di tenebra” assume così l’aspetto di un romanzo corale con una folla di personaggi, dalla quale però di volta, in volta, spiccano degli individui, che hanno avuto un ruolo determinante nella vita di Amos bambino e adolescente, con i genitori: Fania Mussman e Yehuda Arieh Klausner.

I nonni arrivarono nel 1933 a Gerusalemme provenienti da Vilnius. La città li travolse con la sua inebriante atmosfera, ma ebbe però un effetto negativo sulla nonna. 


Ma qui è Oz stesso a inebriarci con la sua prosa, rendendo vivide le sensazioni che furono anche in buona parte proprie un po' di tutti i profughi, arrivati a quei tempi più o meno contemporaneamente.

Racconta del prozio Yosef Klausner, storico israeliano, e della moglie, la zia Zipporah, di aneddoti e dispute letterarie con il premio Nobel S.Y. Agnon.

Lo scrittore ci accompagna descrivendo l’ambiente, i vari quartieri, le differenze sociali che caratterizzavano la città, la zona degli inglesi. Quelli erano infatti gli ultimi tempi del mandato britannico.


Attraverso la nebbia del tempo, i ricordi di Amos Oz si fanno più vivi, perché vanno avanti e indietro tra periodi diversi, con l’ausilio dei quali, confronta i personaggi e le storie, li vede cambiare, ci fa assaporare i vari incontri, la vita del tempo della fanciullezza, quella più avanti negli anni e quella del suo presente. Il tutto con una naturalezza disarmante, senza mai forzare la narrazione.


I profili di scrittori, letterati e intellettuali, si alternano sul palcoscenico virtuale costruito da questo libro, e nel frattempo Amos Oz descrive le varie tipologie dei caratteri culturali, etnici e psicologici della gente di Israele, dei vari tipi di ebrei, le loro vicissitudini, le differenze, le manie di un mondo oltremodo affascinante.

Oz va ancora più indietro nel tempo per ricostruire il suo albero genealogico da parte di padre, partendo dal XVIII secolo e ripercorrendolo in più sensi in maniera minuziosa, fino ad arrivare ai Klausner alla fine del XIX secolo a Odessa.


I decenni precedenti contrassegnarono il periodo in cui nell’Europa dell’est, in particolare in Polonia e in Lituania, esplose un feroce antisemitismo, numerosi furono i pogrom, fino a raggiungere vette non più tollerabili negli anni trenta, con l’avvicinarsi dell’avvento del nazismo.

Nel 1933, dopo essere stati rifiutati da quasi tutte le nazioni del mondo occidentali, i nonni e il padre partirono dal porto di Trieste per destinazione Israele. Solo lo zio David rimase a Vilna, diventato professore universitario, si sposò ed ebbe un figlio.


Oz ricostruisce la storia del quartiere di Gerusalemme di Kerem Abraham (Giardino di Abramo), fondato a metà dell'ottocento praticamente dal console inglese James Finn e da sua moglie, per realizzare la loro impresa finalizzata a creare posti di lavoro per ebrei poveri e dove inizialmente al loro arrivo si stabilirono i nonni e suo padre.


L’universo in cui cresce Oz, lì nel quartiere di Kerem Abraham è fatto soprattutto di parole. Per il piccolo Amos non conta quello che gli accade attorno, conta quello che legge o i racconti fantastici che ascolta e che gli vengono  narrati dalla madre.

Quando racconta delle origini della madre, dei nonni, di suo nonno Hertz, commerciante di farina, della dispotica nonna Itta, e dei bisnonni materni ucraini, sembra di leggere i fratelli Singer.


Lo scrittore con la “voce” della zia Sonia continua il racconto di come arrivarono i nonni in Israele nel 1933, e poi nel ‘34 e nel ‘38, le tre figlie, per ultima Sonia, di come stesse aumentando l’antisemitismo in Europa dell’est e della percezione che per gli ebrei fosse scaduto il tempo di poter abitare in quelle terre. E di come con l’aumento del sentimento antiebraico, aumentasse tra loro la paura.

Racconta come avvenne l’incontro tra sua madre e suo padre e di come si sposarono nel 1938. Poi, passa ai primi ricordi di infanzia.


Oz arriva molto lentamente al suicidio della madre nel 1952. Aveva trentotto anni e lui dodici e mezzo. Per settimane dopo la sua morte Amos riuscì a provare solo risentimento per quella donna che si mostrava sempre gentile con tutti, ma che lo aveva mollato e aveva mollato il padre, senza farsi il minimo scrupolo.

Dopodiché alla rabbia per il suo gesto, si sostituì il senso di colpa. Pensò di essere lui la causa della sua morte che non aveva fatto niente per suscitare o giustificare il suo amore, fino a comportarsi male.


Il romanzo intero gira attorno al rapporto coi suoi genitori, soprattutto attorno alla figura della madre. Questo libro infatti è l'occasione per lo scrittore di scrivere e di parlare per la prima volta della madre, facendolo anche diffusamente e approfonditamente, in considerazione del fatto che dalla sua morte non ne aveva quasi più parlato con nessuno, e lui e il padre non ne avevano proprio più parlato tra loro, non l’avevano mai neanche nominata, soggiogati entrambi da una singolare forma di pudore, misto al crudele stato di aridità in cui li aveva lasciati.


Nella penna di Oz l’ambiente familiare dell’infanzia, genitori, nonni, zii, amici diventa qualcosa di magico e infila un episodio gustoso, dopo l’altro.

Si dilunga molto a parlare della sua infanzia e della madre, quasi che la volesse trattenere con lui tramite le mani della narrazione. Si rifiuta di lasciarla andare. E così accade per tutta la lunghezza del romanzo e fino alla fine di queste appassionate pagine.


Quando arrivarono gli ultimi mesi del Mandato britannico, arrivò anche la paura a causa dell’intensificarsi degli scontri, della guerra e degli attentati.

Intanto, il conflitto subì sempre più un fatale inesorabile crescendo, partendo appena in sordina per dilagare e influenzare ogni particolare della vita dei gerosolimitani. Nel racconto di Amos Oz, durante biennio tra il 1947 a il 1948, gli avvenimenti hanno qualcosa di predestinato, di già scritto, un destino che segnerà sempre più gli eventi. 


Lo scrittore tramite i suoi ricordi infantili arriva al 1947, alla vigilia della famosa risoluzione ONU sulla nascita dei due stati per due popoli. Ricostruisce l'inasprirsi del conflitto, attraverso le due visioni che già da allora paiono inconciliabili. Ricorda i venti di guerra ormai imminenti e inevitabili, e la spaccatura in due della sua Gerusalemme. 


Con eleganza e grande poetica, Oz si sforza di entrare nei due punti di vista contrapposti. 

La ricostruzione storica dello scrittore israeliano è contrassegnata da grande obiettività. È molto particolareggiata per quanto riguarda la città di Gerusalemme con la sua composizione etnica e le sue divisioni territoriali. Ma ribadisce molte verità scomode che ancora oggi si vorrebbero cancellare. Amos Oz era un vero uomo di pace.


I fatti e la discussione politica del periodo che precede la risoluzione dell’Onu della fine del ‘47 si sovrappongono ai ricordi di Amos bambino, perplesso dai proclami di odio degli arabi, che sono in contrasto con le sue esperienze anteriori di pacifica convivenza e persino in alcuni casi di mutuo aiuto, e già da qui sembra che emergano le considerazioni che poi andranno a formare l’opinione dello scrittore.


Ma le pagine più intense e suggestive sono quelle dedicate alla notte del voto favorevole alla risoluzione: i canti e le grida di gioia, anticipati dal ricordo infantile di una specie di urlo atavico, proveniente dalle viscere stesse della Terra.

I festeggiamenti seguirono tutta la notte, una notte che nessuno dei sopravvissuti agli eventi successivi avrebbe dimenticato mai, tramandandone il ricordo alle generazioni successive. 


Terribile è la cronaca del periodo successivo alla risoluzione ONU, ai venti di guerra, agli attentati e l'assedio di Gerusalemme. Fino alla guerra vera e propria di cinque paesi arabi che invasero lo stato appena dopo la sua dichiarazione di indipendenza.

Racconta del governo laburista di Ben Gurion e della successiva irresistibile ascesa del suo visionario oppositore Menachem Begin, che riusciva a infiammare le folle coi suoi discorsi profetici, demagogici e apocalittici.


Ma un dodicenne Amos Oz si ritrova a essere forse il solo, tra la folla di spettatori di uno di questi discorsi, a non riuscire a trattenere l’ilarità che Begin gli provocò a causa di un qui pro quo. Ilarità che gli costò comunque cara e le cui conseguenze determinarono la sua futura visione politica delle cose, con la fuga qualche anno dopo nel kibbutz, dove avvenne il dialogo con un altro ebreo: Efraim Avneri, sulle ragioni degli arabi palestinesi e sulle loro, dialogo determinante per la sua definitiva formazione.

E poi, anni dopo, in un'atmosfera kafkiana, del tutto surreale, conobbe di persona  perfino il padre della patria David Ben Gurion.


L’ultimo periodo di vita della madre fu caratterizzato da una distanza siderale che si frappose tra i tre componenti della famiglia. Lo scrittore descrive questo periodo con toni cupi e ossessivi, adeguati alla sofferenza e alla malattia della madre, che corrisponde anche a quello dei suoi primi turbamenti. 

Non sono mille anni luce quelli che li tengono separati, seppure vicini nell’amore. Sonno mille anni tenebra.


Dopo la morte di Fania Mussman, i rapporti tra Amos e il padre si complicarono e si fecero sempre più difficili. Il padre si risposò e lo scrittore, ormai adolescente, decise di andare a vivere nel kibbutz di Hulda, e successivamente, cambiò anche cognome da Klausner a Oz, sancendo la rottura col padre, anche se non sarà mai definitiva, continueranno a frequentarsi e a scriversi. E ad amarsi.


Il contesto rurale di Hulda cambia completamente la vita di Amos che deve adattarsi a nuove esigenze sia esistenziali che lavorative, scopre le forme di collaborazione proprie di un kibbutz con le sue esigenze di condivisione.

La galleria di personaggi si arricchisce di nuove figure stupendamente pittoresche, a cominciare da quelle che formavano la sua “famiglia adottiva".


E fu proprio a Hulda che iniziò la sua vita di scrittore. Dopo aver letto montagne di libri il suo incontro fatale, alla stregua di un’epifania, fu con il libro di racconti "Winesburg, Ohio” del quasi sconosciuto scrittore americano Sherwood Anderson. Fu quello il momento che decise il suo futuro. Gli si aprì un mondo che non aveva neanche immaginato ed era semplicemente lì a portata di mano, nell’universo che gli ruotava attorno. 


Struggente, romantico e altamente poetico è il ricordo di Orna, la sua prima volta. Sono pagine bellissime che suggellano definitivamente l’iniziazione adolescenziale alle gioie del sesso. Il ricordo di tanti momenti, ma che trovano l’apice in una notte e nell’incontro inquietante di tanti anni dopo.

E poi, la vera storia d’amore: quella con la sua futura moglie Nilli. 


La tenebra che tanto aveva cercato di rimandare, si stende inesorabile alla fine del racconto. Quando il ricordo non più contenibile ci rivela nell’epilogo tutta la tragedia dei suoi dodici anni e mezzo. Una tragedia che pone alla fine quando non può più trattenere ciò che nel racconto ha invano rimandato, ma che è riuscito a far rivivere nel dispiegarsi di tutto il romanzo.

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