venerdì 26 luglio 2024

“Il delitto perfetto” (1954) - regia di Alfred Hitchcock

 


Cinema - Cult Movie 


“Il delitto perfetto” (1954)

regia di Alfred Hitchcock 

con Grace Kelly, Ray Milland, Robert Cummings, John Williams, Anthony Dawson


«Prima di lasciare Il delitto perfetto, del quale abbiamo parlato come di un film minore, vorrei dirle che è uno di quelli che ho rivisto più spesso e ogni volta con molto piacere. È apparentemente un film di dialoghi, tuttavia la perfezione del découpage del ritmo, della direzione dei cinque attori è tale che si ascolta religiosamente ogni frase. Credo veramente che sia molto difficile riuscire a fare ascoltare con attenzione un dialogo ininterrotto; ancora una volta è riuscito a fare qualcosa che sembra facile, ma che in realtà non lo è affatto.»

Francois Truffaut 


«Tutta l’azione del Delitto perfetto si svolge in un soggiorno, ma questo non ha alcuna importanza. Girerei altrettanto volentieri un intero film in una cabina telefonica. Immaginiamo una coppia di innamorati in una cabina. Le loro mani si toccano, le bocche si uniscono e accidentalmente la pressione dei corpi fa in modo che il ricevitore si sollevi da solo e apra la linea. Ora, all’insaputa della coppia, la centralinista può seguire la loro conversazione intima. Il dramma ha fatto un passo avanti. Per il pubblico che guarda queste immagini, è come se leggesse i primi paragrafi di un romanzo o come se ascoltasse una commedia. Quindi, una scena dentro una cabina telefonica lascia a noi registi la stessa libertà che la pagina bianca allo scrittore di romanzi.»

Alfred Hitchcock 


«Nei romanzi le cose vanno come l'autore vuole che vadano; ma nella vita no, mai. Il mio delitto sarebbe come il mio bridge: farei qualche stupido errore e me ne accorgerei quando mi sentissi guardato da tutti.»


Se non esiste il delitto perfetto, esiste però il meccanismo perfetto con il quale costruire un film. E questo è il caso anche del “Delitto perfetto”, pellicola del 1954, nella quale Grace Kelly recita per la prima volta diretta da Hitchcock.

Questo film ebbe però la “sventura” di uscire pochi mesi prima di una delle più celebri opere del maestro del brivido inglese, quella “Finestra sul cortile” che vide di nuovo la collaborazione tra i due. Lo stesso Hitch non nutrì mai troppa considerazione per questa sua creatura, sottovalutandone invece l’impatto e il successo. E pensare che lo girò in soli trentasei giorni. 


Eppure, “Il delitto perfetto” è un vero e proprio gioiello, che avrebbe potuto fare la fortuna di qualsiasi regista, con quattro attori nei maggiori ruoli maschili assolutamente all’altezza del ruolo, a partire da un sinistro Ray Milland, tagliente e assai efficace nell’interpretazione di un personaggio con la mania del controllo. La struttura del plot si regge tutta sullo svelamento immediato del colpevole. Quindi, non è un giallo che poggia sul solito "chi è stato?”. 

Ma non per questo mancano i colpi di scena: sono due e sono posti uno al centro del film e l’altro alla fine.


Quasi tutto il film si svolge in una stanza e la struttura è quella del dramma teatrale, schema che si era già presentato soprattutto in “Nodo alla gola” e che, da un’altra prospettiva, si ripeterà anche nel successivo “La finestra sul cortile”. 

Infatti è tratto proprio dall’opera teatrale omonima del 1952 di Frederick Knott.

Questo taglio teatrale permette a Hitch di congegnare dei dialoghi molto fitti, in cui vengono dettagliate le motivazioni del delitto e, poi, il conseguente svolgimento, e in cui si inserisce magnificamente la fotografia a cura di Robert Burks.


Tutto è relativo e capisco che, quando ci si trova al cospetto di una filmografia ad altissimo valore artistico, una pellicola come questa può essere inserita nella produzione minore. Tuttavia, facendo attenzione proprio ai particolari e alle sfumature, si può comprendere quanto “Il delitto perfetto” debba invece essere considerato come un anello di congiunzione essenziale nella produzione del regista inglese.


Anche quando, quelle poche volte in cui la macchina da presa abbandona il soggiorno e la casa di Grace Kelly e Ray Milland, non sembra affatto abbandonarla davvero: sono solo piccoli brevi inserti, che non fanno altro che radicare la convinzione nello spettatore, che la vera storia può svolgersi solo lì e da nessun'altra parte. Si guardi per esempio alla sequenza che contiene insieme il processo e il carcere, che avviene in una sorta di non luogo onirico da incubo, e che si risolve in pochissimi minuti con una assai sintetica girandola vorticosa.


Hitch non si accontenta di questo, va oltre: crea anche una certa dose disorientamento, confondendo lo spettatore sulle intenzioni reali di almeno quattro dei personaggi principali, e forse anche dello stesso ispettore Hubbard, e lo fa in momenti diversi del film. La stessa Grace Kelly, che sia nella “Finestra sul cortile”, che in “Caccia al ladro” incarna perfettamente un’affascinante donna stupendamente lineare, priva di qualsivoglia ambiguità, qui, viene a trovarsi sotto la luce della trasgressione, non fosse altro per il suo palese tradimento erotico amoroso, tenuto prudentemente sotto traccia dal regista, ma lo fa con sorprendente candore, quasi fosse una cosa del tutto innocente.


Le sequenze da antologia sono diverse: quella della telefonata, col tentato omicidio e con le forbici, e quelle diverse sulle chiavi. 

Come al solito, a Hitchcock riesce perfettamente e in maniera del tutto naturale di tenere viva l’attenzione, giocando appunto anche solo sui particolari.

Proprio per rendere la profondità prospettica di alcune delle suddette sequenze, il film fu girato originariamente in formato stereoscopico, la prima versione del 3D, che non credo sia purtroppo facile da trovare.


Nonostante la costruzione della trama su una pièce teatrale e la fitta rete di dialoghi, il film mantiene alta la tensione dall’inizio alla fine, comunicando suspense ed emozioni analoghe a quelle di un film d’azione. Questa era la genialità di Hitchcock: creare suggestioni visive e narrative, servendosi di tutti i mezzi a disposizione. 

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