lunedì 19 agosto 2024

“Dr. Cyclops” (1940) regia di Ernest B. Schoedsack

 


Cinema - Cult Movie 


“Dr. Cyclops” (1940)

regia di Ernest B. Schoedsack

con Albert Dekker, Thomas Coley, Janice Logan, Charles Helton, Victor Kilian, Frank Yaconelli, Paul Fix, Frank Reicher


I motivi di interesse legati a questo B-movie da culto sono quasi tutti relativi a fattori visivi, e cioè alla curiosità che può destare un’opera di più di ottant'anni fa, come primo esempio di fantascienza in technicolor. Ed è proprio l’uso del technicolor uno degli elementi più qualitativamente apprezzabili. 

Desta abbastanza stupore, inoltre, come certe trovate sceniche e certi effetti speciali possano conservare il loro fascino dopo tanti anni. Il Cinema fa di questi miracoli.


Certo, tutto è relativo, per cui l’evidente usura del tempo gioca la sua parte. Soprattutto sulla sceneggiatura e in parte sulla regia. Tuttavia, l’impegno artigianale profuso è encomiabile e può essere ancora oggi ritenuto oggettivamente un elemento di grande qualità. 

La storia è un riadattamento dei miti di Prometeo e di Polifemo fusi insieme in chiave fantascientifica. 


Il protagonista principale della storia è uno scienziato in pieno delirio di onnipotenza, il dottor Thorkel, che gioca a fare Dio, manipolando i delicati equilibri naturali. Scopre come miniaturizzare gli esseri viventi con l'ausilio dell’energia atomica. E coinvolge in questa impresa in maniera casuale un gruppo di scienziati, che aveva convocato solo per un consulto.

Il crescendo di follia è a questo punto inevitabile.


L'analogia con la storia di Polifemo è notevole, ma l’espediente narrativo è esattamente capovolto.

Nel mito omerico, Ulisse e i suoi compagni non subiscono alcuna mutazione fisica, si trovano catapultati al cospetto di un gigante. In Dr. Cyclops, è la riduzione delle dimensioni dei malcapitati ad essere fuori norma, e quindi a far sì che vengano alterate le percezioni dei due punti di vista.


Inoltre, il punto di vista delle vittime è quello dominante nella narrazione, si identifica immediatamente con chi ha subito un sopruso e diventa anche quello dello spettatore. Questo viene confermato da alcuni aspetti, come la percezione dei movimenti del “ciclope” da parte delle vittime e il suo provvisorio accecamento, così come è anche provvisoria la miniaturizzazione.


La provvisorietà della situazione che vivono i personaggi è anche la chiave di interpretazione del film. La condizione è provvisoria in quanto è artificiosa e dipende da fattori esterni a quelli naturali. 

Anche l’incipit del film, calato in un'atmosfera onirica, è velato da un gioco di ombre e da riflessi colorati, come se fosse ancora in bianco e nero. È la rottura dell’equilibrio che conduce quindi all’irrompere del potente e innaturale colore.


Il regista, Ernest B. Schoedsack, all’epoca era già famoso. Aveva diretto insieme a Merian C. Cooper, il mitico “King Kong” del 1933. E, sempre in duo con Cooper, anche “Gli ultimi giorni di Pompei” del 1935.

L’interpretazione di Albert Dekker ha il merito di donare al film la dose di qualità necessaria per entrare a far parte della leggenda. Il gigante calvo con gli occhialini è qualcosa che resta indelebile nella memoria. Da bambino, era uno dei miei film preferiti, sospeso tra terrore e fascino. Un retrogusto di quella sensazione è ancora presente quando mi capita di rivederlo.

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