sabato 3 agosto 2024

“I vivi e i morti” [House of Usher] (1960) - regia di Roger Corman

 


Cinema - Cult Movie 


“I vivi e i morti” [House of Usher] (1960)

regia di Roger Corman

sceneggiatura di Richard Matheson

con Vincent Price, Mark Damon, Myrna Fahey, Harry Ellerbe


«Il simbolismo mi permette di mettere in luce le angosce del subcosciente. L'idea della morte, della sepoltura in un enorme eterno silenzio, il ritorno alla matrice, sono terrori che risalgono all'infanzia. È ciò che fa la grandezza di Poe. Egli aveva trovato, prima di Freud, la strada del subcosciente.»

Roger Corman


«In “I vivi e i morti” mi imbiancai totalmente i capelli e misi un semplice trucco bianco e sopracciglia nere - non penso che qualcuno lo avesse fatto dai tempi di Conrad Veidt - e c'era quella strana faccenda che il personaggio era ultrasensibile alla luce e al suono, così cercai di dare l'impressione che egli non fosse mai stato esposto alla luce e che semplicemente avesse perso colore.»

Vincent Price


«Roger Corman era fatto così: uno che girava con una velocità incredibile, sempre buona la prima e via a fare un'altra inquadratura. Però era uno che sapeva benissimo quello che faceva, non era per niente uno stupido, sorrideva e sembrava timido e gentile, ma in realtà era duro come l'acciaio e niente lo fermava. Un uomo davvero eccezionale! Lo sceneggiatore abituale dei film di Roger Corman era Charles B. Griffith, ma l'incarico di scrivere “I vivi e i morti” fu dato a me. Di sicuro fu per questioni di denaro: a me diedero solo 5.000 dollari per quel copione.»

Richard Matheson 


Nel 1839 Edgar Allan Poe pubblicò per la prima volta uno dei suoi racconti più memorabili: “La caduta della casa degli Usher”, costruito attorno alla storia di una famiglia maledetta e della loro casa in rovina, avvolta nella foschia di un perenne, grigio e oscuro tramonto di ghiaccio. 

Roger Corman, mago del terrore cinematografico, inaugura proprio con questa storia (intitolata “I vivi e i morti” nella versione in italiano) la sua fortunata serie di adattamenti di racconti di Poe e la sua collaborazione con Vincent Price. Dal 1960 al 1964 uscirono otto film.


L’opera è una libera trasposizione della novella, che può giovarsi della sceneggiatura del genio letterario di Richard Matheson, il quale lascia un segno abbastanza inequivocabile sull’intero film. 

Edgar Allan Poe, secondo Corman, Matheson e Price, è una formula più che vincente. Il film, a mio parere, risulta essere il migliore della serie e uno dei capolavori del Cinema gotico. Fu anche il primo horror a colori della produzione.


La vicenda è resa alla stregua di un dramma teatrale con solo quattro personaggi, a parte le comparse che interpretano i fantasmi. Vincent Price, attore di formazione da palcoscenico, fa la parte del leone, con la sua prima interpretazione veramente da manuale, drammatica e ironica allo stesso tempo, ma gli altri tre sono comprimari assolutamente all’altezza. Particolarmente bravo Mark Damon che fu premiato col Golden Globe nella categoria di miglior attore debuttante. Qualche anno dopo, trasferitosi in Italia, sarà nel cast del capolavoro di Mario Bava “I tre volti della paura” nell’episodio dei "Wurdalak".


Il quinto protagonista del film è una casa assai sinistra, cinta da un’inquietante atmosfera gotica e circondata da un lugubre scenario, con le sue tetre stanze, pesanti arredi barocchi, un’angosciosa cripta e molteplici passaggi segreti che si aprono all’improvviso vertiginosamente. Sembra che sia la casa a essere l'origine del male e non a esserne infestata. La sensazione è ambivalente: si fonda su uno scambio che si muove a doppio senso.


Richard Matheson cambia diverse cose nella trama inserendo il personaggio di Philip (Mark Damon) fidanzato di Madeleine, che nel racconto non c’è, che sostituisce quello del narratore testimone, amico di Roderick Usher. Ma resta fedele allo spirito del racconto e all'impostazione letteraria di Poe, ponendo la mente umana al centro dell’orrore. Matheson aggiunge anche il personaggio non così secondario del maggiordomo, che contribuisce con un accento tragicomico alla gelida ironia cormaniana.


Stempera il rapporto a due, con l’inserimento di un “terzo incomodo", ma nello stesso tempo accentua la tematica incestuosa, sottilmente camuffata nel racconto di Poe, rendendola più palese con la gelosia, e la carica di fosche tonalità psicologiche. Nell’originale, infatti, nonostante il personaggio di Madeleine appaia solo all’inizio e alla fine, al centro di tutta la vicenda ci sono i due fratelli Usher. In “I vivi e i morti”, invece, il personaggio di Philip Winthrop è pienamente protagonista e cerca di interferire, cambiando il destino della sua amata Madeline. 


La tensione che non si placa mai in tutto il film, nonostante il ritmo, come di consueto lento, e i molteplici dialoghi, conserva, infatti, decise e macabre analogie con la tensione di carattere sessuale. Madeline incarna il conteso oggetto del desiderio, filtrato attraverso l’eros e thanatos freudiano. La pulsione di morte è intensa e soverchiante.


La storia, a ben vedere, quindi, contiene anche una metafora del dominio maschile, di natura e per motivi diversi, esercitato dall’opprimente pressione dei tre uomini sulla povera Madeleine, la quale vorrebbe fuggire, ma non ci riesce, assumendo alla fine le sembianze di una furiosa e terribile Nemesi.


La scenografia di Dan Haller, gli effetti speciali e la fotografia di Floyd Crosby,  completano l’opera in modo magistrale. I mostruosi ritratti espressionisti, orribilmente trasfigurati, che raffigurano i predecessori, sono simboli della malvagità della famiglia Usher, e contribuiscono a rendere più chiara la sensazione del disfacimento della casa, accentuando l’opera del male che si manifesta tangibilmente soprattutto nell’enorme crepa che affligge l’edificio da tempo immemore.


La sequenza cult del film è l’incubo nebbioso di Philip, girato in bianco e nero con filtri colorati, soprattutto con l’uso ossessivo del rosso, predominante in tutto il film, sarà un espediente che accompagnerà anche altri film del regista, usato per sottolineare in modo particolare alcuni momenti topici.

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