lunedì 26 agosto 2024

“Orizzonti di Gloria” (1957) - regia di Stanley Kubrick

 


Cinema - Cult Movie 


“Orizzonti di Gloria” (1957)


regia di Stanley Kubrick 

con Kirk Douglas, George Macready, Ralph Meeker, Adolphe Menjou, Wayne Morris, Christiane Harlan 


«Molti artisti, quando montano una tela bianca, cominciano con dettagliati tratti di matita. Stanley cominciava tutti i suoi film in modo concettuale, secondo me, con grandi pennellate di colori primari, e batteva su questi concetti che erano abbastanza ovvi. In Orizzonti di gloria, per esempio, ogni sequenza ha un suo messaggio chiaro, ma in ogni sequenza la regia è sottile e quasi gentile.»

Steven Spielberg 


Almeno quattro film di Kubrick trattano ampiamente di antimilitarismo e pacifismo. “Orizzonti di gloria”, meno celebrato e meno famoso del “Dottor Stranamore” e di “Full Metal Jacket”, che di solito, è proprio il caso di dirlo, si prendono tutta la scena, è il secondo atto di questa non ufficiale tetralogia dopo “Paura e desiderio” (il suo primo film in assoluto, non del tutto riuscito, tanto da essere disconosciuto dal regista stesso). 


Tuttavia, è proprio “Paths of Glory” il film in cui Kubrick rompe gli indugi per la prima volta e lo fa con una perfezione che ha dello straordinario, ma dirò di più: è questo il film antimilitarista per eccellenza della storia del Cinema.

“Orizzonti di gloria” è anche la prima opera della maturità artistica del regista. Non che i tre film precedenti siano opere da disprezzare, anzi. Soprattutto “Rapina a mano armata” è già un capolavoro. Ma quando si parla di Kubrick il metro di giudizio è direttamente proporzionale alla sua grandezza, veramente fuori norma.


Il film subì l’ostracismo della censura francese, fu vietato anche in Svizzera e nella stessa Germania, che non volevano che fossero turbati i rapporti con la Francia, ed ebbe difficoltà per lo stesso motivo negli USA, dove riuscì a passare solo grazie a Kirk Douglas, che ne era anche il produttore, portandosi appresso però polemiche e riprovazione. In Francia, venne proiettato solo nel 1974, quando fu abolita ogni forma di censura politica. L’ottusità del potere militare incontrò, non a caso, quindi, quella della censura. 


I francesi si sentirono offesi nel loro onore, non capendo che l'intento di Kubrick non aveva come obiettivo propriamente la Francia, ma il militarismo tout court, e per fare questo prese come soggetto il romanzo omonimo di Humphrey Cobb, riadattandolo per il grande schermo, e quindi la decisione di quali dovessero essere gli attori in quel contesto, con la scelta del fronte franco-tedesco della Grande Guerra, non fu dettata da altre motivazioni, se non quella offertagli da un buon modello letterario.


Seguendo la linea narrativa sulla guerra e aggiungendo anche “Spartacus” e “Barry Lyndon”, si dovrebbe avere ben chiaro quale fu il discorso complessivo di Kubrick, inserito in quello più vasto sulla violenza tout court proprio dell'intera sua filmografia. 


Probabilmente, il sottoscritto sarà stato condizionato anche dalla prima volta che lo vide. Mi fece a dir poco un’impressione enorme, eppure non era il suo primo film che vedevo. Ma restai assai meravigliato per la tecnica già avanzatissima delle riprese rispetto all’anno di produzione. 


È sufficiente guardare la sequenza di Kirk Douglas che passa in rassegna, apparentemente imperturbabile, la bolgia infernale, polverosa e dantesca della trincea, o il seguente attacco fallito al Formicaio tedesco, coi soldati francesi circondati dal fuoco delle esplosioni, un’atmosfera talmente realistica, da sconfinare nel surreale.


Tuttavia, ciò che mi stese veramente fu il finale. A mia memoria, dopo tanti anni, posso dire con relativa certezza che un finale più commovente e struggente non l’ho mai visto; e ogni volta, non mi vergogno a dirlo, sono lacrime. 

Ogni sequenza è comunque magistrale, quella del processo, immerso in un cupo e glaciale ambiente kafkiano, con tanto di pavimento a scacchi, nella quale si respira l’ineluttabile e venefica disumanizzazione della guerra e degli eserciti.


E ancora quella della cella in cui sono rinchiusi i tre poveracci che aspettano che il loro destino si compia, mentre sono in compagnia di un impotente cappellano, la cui presenza serve a conferire legittimità religiosa alla barbarie. 

Inappuntabile l’interpretazione di Douglas, tuttavia la prova attoriale migliore la offre George Macready nei panni del mefistofelico generale Paul Mireau.


La messa in scena di Kubrick della violenza consegna crudamente la degenerazione dell’essenza umana all'abominio dell’auto distruttività. Ogni giustificazione non fa altro che renderla ancora più mostruosa. Così come non esiste violenza giustificabile, non esistono guerre giuste. Il militarismo è solo il culto che la legittima, che ha come massimi sacerdoti i vertici militari, in ogni epoca e in ogni luogo.

Alla fine di ogni guerra, c'è solo morte, e proprio per questo tutto diventa lecito.


“Orizzonti di gloria” non cambiò solo il corso della vita artistica del regista americano, ma anche quello della vita privata. Fu proprio sul suo set che Kubrick incontrò l’amore della sua vita: l’attrice tedesca Christiane Harlan, unica figura femminile del film e protagonista proprio dell’ultima sequenza, che sposò nel 1958 e con la quale rimase fino alla morte.

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