Il pensiero critico nasce sempre da un’elaborazione individuale, una dura elaborazione che non si arresta mai. È sostanzialmente un costante e continuo “work in progress”, un percorso coerente ma che prevede anche aggiustamenti, ripensamenti e rielaborazioni, in base alle proprie esperienze.
Può diventare anche collettivo, dopo un libero confronto tra individui, ma non è necessario che lo sia.
Sovente, quello collettivo può portare a letali cortocircuiti cognitivi, perché viene sacrificata l'autonomia individuale a una pretesa linea di gruppo.
Per alcuni, invece, l'adesione acritica alle teorie del complotto o ad elaborazioni palesemente rigide, date come certe e indubitabili, oppure addirittura a quelle manipolative della logica e della realtà fattuale, offre l'opportunità di sentirsi parte di una minoranza più intelligente e più consapevole, rispetto alla massa imbelle, ma nasconde storie di frustrazioni mai risolte.
Intimamente, infatti, questi soggetti si sentono inadeguati a comprendere e a interpretare la realtà autonomamente, anche se non lo vogliono ammettere neanche a se stessi. Quindi le risposte semplicistiche, che portano direttamente a un'indiscutibile preconfezionata verità alternativa, fanno sentire meno soli, e contemporaneamente li sollevano dal fastidio di dover approfondire criticamente studiando gli aspetti della complessità, dietro i quali si nasconde molto più che una facile schematizzazione.
Sostanzialmente lo stesso speculare atteggiamento di chi crede alle verità ufficiali.
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