lunedì 2 settembre 2024

“Gli insospettabili” (“Sleuth”) (1972) - regia di Joseph L. Mankiewicz

 


Cinema - Cult Movie 


“Gli insospettabili” (“Sleuth”) (1972)


regia di Joseph L. Mankiewicz

con Laurence Olivier e Michael Caine 


Una cosa è certa: “Gli insospettabili”, ultimo film di Joseph L. Mankiewicz, non è affatto quello più famoso, anche se meriterebbe senz’altro molta più considerazione. Ma è del tutto comprensibile, visto che si tratta del regista di “Eva contro Eva”, "Giulio Cesare” con Marlon Brando, “Bulli e pupe”, “Improvvisamente l’estate scorsa” e “Cleopatra” con Liz Taylor e Richard Burton. 

Si potrebbe obiettare che in fondo, però, è solamente un giallo, seppur confezionato molto elegantemente, se non fosse invece per il fatto che è anche un raffinatissimo gioco di ruolo.


Questa, infatti, è l’opera più impegnativa e intelligente di Mankiewicz. Oltre due ore con solo due attori sulla scena: Laurence Olivier e Michael Caine, protagonisti di quello che è un adattamento cinematografico dell'opera teatrale “L’inganno” del drammaturgo inglese Anthony Shaffer. Successivamente riadattato anche da Kenneth Branagh nel 2007, il remake si avvale addirittura della sceneggiatura di Harold Pinter, ed è interpretato da Jude Law e di nuovo da Michael Caine, che però veste i panni del personaggio che nel primo film erano stati di Olivier. 


Un livello qualitativo molto alto, Mankiewicz lo ottenne anche con un altro film poco noto: “Masquerade”, a cui dedicherò un’apposita recensione.

L’amore del regista americano per il teatro è più che esplicito, come dimostra anche il suo adattamento del “Giulio Cesare” di Shakespeare. 

Negli “lnsospettabili”, a tal proposito, non si risparmia certo in metafore da palcoscenico.


La prima è sul mondo della ribalta tout court. I due personaggi incarnano due momenti diversi della linea del tempo: la tradizione e il rinnovamento, il cui schema si ripete allo stesso modo nel mondo dello spettacolo in epoche differenti. A questa ne consegue un’altra: i due attori appartenenti a generazioni diverse sono protagonisti di un conflitto generazionale insanabile. Una vera e propria sfida che si sostanzia in un capovolgimento dei ruoli e che ha una sua evidente motivazione.


Potrebbe sembrare, a questo punto, che il film sia stato tagliato su misura sui due fuoriclasse inglesi, se non fosse per il fatto che la pièce teatrale lo precede nel tempo. Ciò non toglie il fatto che l’estrema bravura dei due attori emerga in maniera talmente palese, che ben pochi sarebbero stati in grado al loro posto di reggere l’interpretazione dei ruoli a quei livelli.


Se a questo aggiungiamo che la sceneggiatura esige un ritmo assai elevato, tale è infatti l’originalità della trama, con continui colpi di scena e sorprendenti trovate visive, allora è facile capire che la scelta di Olivier e Caine è assolutamente azzeccata.

Su tutta la storia, inoltre, aleggia il tema del doppio, dell’ambiguità e del conseguente inganno, contraddistinto dal mascheramento e dai trucchi disseminati lungo l’intero film, nel quale il confine tra falso e vero è del tutto aleatorio.


L’ultima metafora è, però, sulla letteratura di genere. Olivier interpreta uno scrittore di gialli attempato, autore di una serie di romanzi e inventore di un investigatore, che deve la sua fortuna alla capacità, come ogni buon artigiano della letteratura, di manipolare efficacemente alcuni stereotipi, ma che non regge il confronto con la realtà e con l’esigenza di rinnovamento.


Certi meccanismi e intrecci narrativi risultano non più applicabili a un contesto che muta, sia nella realtà che nella fantasia, e finiscono per essere obsoleti, se si reggono solo su cliché, che per quanto possano essere originali ed elaborati, mancano dell'universalità che solo il genio letterario può garantire, e che prescinde dai generi.


Il conflitto rappresentato è in sostanza un gioco di inganni reciproci portati alle estreme conseguenze in un universo interamente maschile, in cui le donne non appaiono, restando solo fantasmi astratti e strumentali oggetti della diversa narrazione dei due sfidanti. Difatti, il conflitto generazionale, come spesso accade nei conflitti, cosiddetti “orizzontali”, si nutre di luoghi comuni, traendo origine dal pregiudizio. È così che da quello generazionale, replicandosi, si allarga, e si sposta al pregiudizio etnico-culturale e a quello di genere sessuale, dinamica molto ben rappresentata nel film.


La pellicola è girata quasi interamente nel salone colmo di giocattoli e automi meccanici della villa del giallista, l'intento è quello di porre in luce l’universo in cui è chiusa la mente dello scrittore, autoreferenziale e priva della necessaria flessibilità creativa. L’arrivo di Caine nella villa, accolto dalla prova del giardino a forma di labirinto, prelude a quello che lo aspetterà accettando di partecipare al gioco. Le atmosfere sono influenzate chiaramente dallo spirito di Edgar Allan Poe, con suggestioni visive apertamente hitchcockiane.


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