lunedì 9 settembre 2024

“Il prestanome” (1976) - regia di Martin Ritt

 


Cinema - Cult Movie 


“Il prestanome” (1976)


regia di Martin Ritt

con Woody Allen, Zero Mostel, Herschel Bernardi, Michael Murphy, Andrea Marcovicci 


Si può fare un film con Woody Allen sul maccartismo che non sia propriamente una commedia? Martin Ritt ci riuscì brillantemente. “Il prestanome” è allo stesso tempo un dramma e una commedia e Woody Allen, al terzo lungometraggio che interpreta diretto da altri, dopo "Ciao Pussycat" di Clive Donner e “Provaci ancora, Sam” di Herbert Ross, è semplicemente perfetto per la parte.


Sia Ritt che Walter Bernstein, lo sceneggiatore, così come diversi attori del cast, erano stati vittime della caccia alle streghe, finiti tutti sulla lista nera. 

Il montaggio fu curato in fase definitiva da Allen e Bernstein. Allen, come al solito ipercritico, non amò molto questo film, ingiustamente, aggiungo io. Secondo me, invece, funziona e molto bene, a cominciare dall’idea originale di fondo.

Fu la prima produzione che a Hollywood si occupò del tema.


È, però innegabile, senza togliere merito ad Allen e a Ritt che il vero punto di forza del film è proprio la sceneggiatura.

Una sceneggiatura che finisce per acquisire anche un valore simbolico, visto che la trama del film immagina proprio un modo con il quale salvare tante sceneggiature dal rozzo oscurantismo del maccartismo.

E poi c’è il finale a dir poco straordinario che vale tutto il film.


L’interpretazione di Allen vira molto sul crepuscolare, accentuando la parte più malinconica del suo personaggio. Per questa sua prova un po' inconsueta si attirò un certo numero di critiche negative, giudicato poco adatto a sostenere il ruolo. Un giudizio che trovo assolutamente ingeneroso e che credo abbia condizionato anche quello di Allen. Non è forse la sua interpretazione migliore, ma nel complesso, tra sceneggiatura, regia e recitazione, è un film che resta impresso nella memoria e questo non accade certo a caso.


L’arma di Allen, nonostante il ruolo tendente al drammatico, è, anche in questo caso, l'ironia, e Ritt e Bernstein ne sono pienamente consapevoli.

Tuttavia, l’interpretazione più intensa è quella assai commovente del mitico Zero Mostel, attore comico, anche lui sulla lista nera della famigerata Commissione per le attività antiamericane.


La genialità dell’operazione sta proprio in questa sorta di terra indefinita tra dramma e commedia, in questo universo dell’assurdo, in cui saltano tutte le relazioni umane, sotto la grottesca spinta della delazione, che è lo spirito maligno che aleggia sull’intero film, paradossalmente speculare a quella del nemico che si pretenderebbe di combattere: il comunismo sovietico.


Questo è il punto fondamentale attorno a cui ruota tutta la trama: la delazione è una delle armi preferite da tutti gli autoritarismi, sia di destra che di sinistra, ma va ben oltre le ideologie. Solo gli illusi non lo sanno. Non arriverà mai nessun salvatore. Il potere di qualsiasi tipo si fonda sulla delazione, anche quello dei piccoli gruppi. Perfino nelle relazioni personali più inquinate dalle dinamiche di potere, spesso, molto spesso, si ricorre al suo uso.


La delazione non è solo un mezzo col quale estorcere informazioni. È il fine stesso, è un modo per piegare ogni coscienza, per far accettare il meccanismo inquisitorio. In fondo, non è così importante “chi” venga denunciato, l’importante è che si ceda al ricatto e si accetti di denunciare. Ecco perché è sufficiente denunciare anche chi è già stato denunciato.


Non c'è possibilità di compromesso con l’autoritarismo. Howard Prince, il protagonista del film, nel suo percorso umano da prestanome, finisce per impararlo, per prenderne coscienza, così prende coscienza del grande potenziale contenuto nella rivolta individuale, nella disobbedienza.


Il tema del doppio e dell'alter ego è il sottile espediente che rende il dramma anche una ben congegnata commedia degli equivoci e della dissimulazione, con una serie di gag molto efficaci.

Quindi, a prescindere dal contesto, sono proprio le tematiche della delazione e del doppio a tenere banco in tutta la durata del film intrecciandosi tra loro, interagendo in una specie di azione parallela, ma allo stesso tempo conflittuale.

Nessun commento:

Posta un commento

Ogni commento, prima di essere pubblicato, verrà sottoposto ad autorizzazione. Grazie

“Nodo alla gola (Rope)” (1948) - regia di Alfred Hitchcock

  Cult Movie “Nodo alla gola (Rope)” (1948) regia di Alfred Hitchcock  con James Stewart, John Dall, Farley Granger, Joan Chandler, Douglas ...