domenica 6 ottobre 2024

“Masquerade” (1967) regia di Joseph L. Mankiewicz


Cult Movie [capolavoro]

“Masquerade” (1967)

regia di Joseph L. Mankiewicz 

con Maggie Smith, Rex Harrison, Susan Hayward, Cliff Robertson, Capucine, Edie Adams, Adolfo Celi

«Lo sa cosa sarebbe magnifico? Che la vita fosse come un copione di film. Desideri qualcosa... Dissolvenza... Ce l'hai. Non trova che il mondo sarebbe migliore?»

«Le ore possono essere buone e cattive, lo sa? Agli orologi importa quali ore misurano? No. Ma a noi sì, a noi pochi eletti: noi rallentiamo quelle buone, le sorseggiamo goccia a goccia come vino pregiato, e acceleriamo le cattive. La gente da poco, i mediocri, ingoiano il tempo come i panini: cento anni di panini ben ripieni, e tutti si accontentano.»

«Non sono mai esistiti altri tempi, abbiamo solo dimenticato il piacere di vivere in questo!»

Uno dei migliori modi per ricordare Maggie Smith è, per quanto mi riguarda, la recensione di questa commedia nera di Mankiewicz. Arriva cinque anni prima dell’altro gioiello, che aveva una trama e un impianto scenico assai simili: “Gli insospettabili”, di cui mi sono occupato qualche settimana fa, e molti anni dopo “Eva contro Eva”, dramma fondato anch’esso sull'inganno.

Ci troviamo ancora in una villa con dei passaggi segreti come negli “Insospettabili” e delle stanze collegate come se fossimo in un labirinto. Ma stavolta il luogo è ben preciso: Venezia. Ed è un'altra occasione per riflettere sul teatro e il suo rapporto col cinema, un cinema che riadatta e rielabora modalità, trucchi e tempi teatrali. Sette personaggi: quattro donne e tre uomini, si contendono la scena.

Di solito, Maggie Smith viene associata alle sue cose più recenti, anche per questo ho invece voluto privilegiare un film dove era ancora una giovane attrice. Qui, inoltre, è semplicemente deliziosa, appare inizialmente, primo tranello di Mankiewicz teso agli spettatori, come poco più che una comparsa, circondata da un cast di attori che sanno tutti il fatto loro. 

E da comparsa, lentamente, finisce per rubare la scena a tutti gli altri, in ogni senso. A mio parere, la sua interpretazione è più affascinante di quelle della seducente Susan Hayward, della conturbante Capucine e della esuberante Edie Adams. I veri mattatori del film sono lei, Maggie, e un effervescente Rex Harrison, che interpretano personaggi caratterialmente completamente all’opposto.

“Masquerade”, la cui sceneggiatura è firmata dallo stesso Mankiewicz, è tratto soprattutto da una commedia del XVII secolo di Ben Johnson, nota con il titolo di “Volpone”. Infatti il film si apre con Cecil Fox (Rex Harrison) che assiste proprio ad una mediocre rappresentazione di questa pièce teatrale. Ma non è l’unica fonte di ispirazione. 

Il regista si rifà anche ad un’altra commedia: “Mr. Fox of Venice” di Frederick Knott, già famoso come sceneggiatore del “Delitto perfetto” di Hitchcock, “Masquerade” ha infatti diverse analogie proprio con il film di Hitch; e, infine si basa anche sul romanzo di Thomas Sterling “The evil of the day”. Fox è Volpone, e il suo “segretario” McFly è il Mosca della commedia di Ben Johnson.

Con la consueta maestria da illusionista, Mankiewicz tira fuori dal suo cilindro un autentico capolavoro, che non ha nulla da invidiare alle cose migliori di Hitchcock.

La sua accentuata attitudine per la commedia rende la storia molto godibile e divertente e con un ritmo assai elevato, per non parlare dei dialoghi, squisitamente teatrali. “Masquerade” è in sostanza una storia sulla venalità e sull'astuzia. Inizia con una messa in scena basata su uno scherzo, una sciarada, una burla, che cela però anche una truffa. Tuttavia, a circa metà, vira improvvisamente nel thriller. Il tutto condito anche da un surreale pizzico di musical.

Anche Mankiewicz si diverte e, divertendosi, si prende gioco dei suoi personaggi, degli stessi attori e soprattutto degli spettatori. L’andamento della trama ricca di intrecci, di colpi di scena, di capovolgimenti inattesi, del sovrapporsi di molteplici inganni, spiazza qualsiasi ipotesi sul finale, anzi sui finali. Perché come negli “Insospettabili”, il finale ne contiene anche altri, lasciando libera interpretazione sull’evoluzione successiva.

Uno dei temi del film è rappresentato da una moltitudine di orologi. Ce ne sono soprattutto quattro, che fanno bella mostra, ognuno diverso dagli altri: una meridiana, una clessidra, un orologio barocco con carillon e un orologio in stile avveniristico con svariati quadranti che indicano contemporaneamente l’ora in una serie di capitali poste nei luoghi più disparati del globo. Il tempo infatti è al centro della storia, sia il tempo che passa inesorabile per Cecil Fox, sia quello relativo alle coincidenze sull’esecuzione dei “delitti”, a cui non poteva ovviamente mancare la "Danza delle ore".

L'espediente delle diverse voci narranti in alcuni passaggi del film si armonizza perfettamente con la logica della storia e con la visione che lo stesso Mankiewicz aveva del cinema. L’inafferrabile e astratta misura delle apparenze, che nascondono altre apparenze.

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